Inzuppare Edgar Lee Masters nell’arsenico. Può essere riassunto così, in poche parole, uno dei libri più sottovalutati di Indro Montanelli: “Ricordi sott’odio”. Montanelli nella sua vita ha coltivato una produzione letteraria immensa che va dai reportage in Finlandia e Ungheria alle “stanze”, passando per la divulgazione storica, le sceneggiature e i libelli. Proprio dai libelli (“Mio marito Carlo Marx”, “Il buonuomo Mussolini”, “Addio” e “Wanda”) emergerà la vena più satirica e pungente della sua opera che riprende quella tradizione che passando da Giovenale arriva a Longanesi, di quest’ultimo era allievo ed amico. Esempio sconosciuto di questo umorismo tagliente e velenoso sono i “Ricordi sott’odio” usciti postumi nel 2011, editi Rizzoli. Ma cosa sono i “Ricordi”? Sono una antologia di epitaffi satirici scritti tra il 1955 e 1958 da Montanelli sotto l’influsso dell’umorismo longanesiano, a cui si ispira il titolo.
Gli epigrammi funerei, aggressivi e canzonatori, non descrivono un paese immaginario abitato da personaggi di fantasia come nel capolavoro di Lee Masters. I “Cadaveri eccellenti” dell’opera hanno come protagonisti i personaggi più in vista dell’Italia degli anni 50: scrittori, imprenditori, giornalisti, politici ed attori. Ma la satira del Voltaire toscano, non inveisce post mortem contro i defunti, al contrario, esclusi tre (Pio XII, Starace e Luigi Barzini Sr.) gli altri personaggi erano tutti viventi all’epoca della stesura.
Nella galleria dei ritratti funebri sono appesi gli epitaffi di Palmiro Togliatti (“Qui riposa/Palmiro Togliatti/Impiegato modello/di/Rivoluzioni/Parastatali”), descritto come un cinico carrierista, di Enrico Mattei (“Qui/Riposa/Enrico Mattei./A nostre/ spese/senza badare/ a spese”), un “incorruttibile corruttore”, Guglielmo Giannini (“Morto per il dolore di essere un uomo qualunque”) e tanti altri protagonisti dai salotti letterari e della Milano bene. Le pagine di Montanelli come coriandoli velenosi, donano un ritratto acido dell’Italia degli anni ’50, con i suoi divi ed i suoi mostri, da Ingrid Bergman al killer di Nerola (“libero in decapitazioni][…] ogni tanto perdeva la testa”), degli intellettuali che poi faranno parte dei suoi incontri come Alberto Moravia (“di cui Alberto è il personaggio più riuscito”) e Carlo Levi o dei suoi collaboratori come Guido Piovene.
Dai ritratti emerge l’influsso di Leo Longanesi, che scrisse con Montanelli alcuni degli epitaffi e che ispirò lo stile dell’opera con la sua verve satirica e il suo amarissimo umorismo che “sghignazzava per non singhiozzare” di fronte alla svalutazione di tutti i valori difesi. Dalla mancanza di una area politica seriamente conservatrice che non poteva riconoscersi né nel centro di governo né nel neofascismo, in cui non si riconoscevano in quanto furono frondisti fin dalla fine degli anni ’30, di cui non amavano né le nostalgie né le ipocrisie a babbo morto.
L’umorismo strapaesano del “Borghese” Longanesi si unisce al cinismo montanelliano creando feroci stoccate contro Arnoldo Mondadori (“editore infido/ visse di fido”), Enrico De Nicola, l’indeciso e il perenne dimissionario (“Qui/Furono accolte/le uniche dimissioni/ che Enrico De Nicola/si rifiutò/di dare”), o caricature come quelle di Starace, Pio XII e Curzio Malaparte. Il primo buffonesco “vestito d’orbace/di nulla capace”, mentre il secondo descritto come un papa medievale e feroce che sta insegnando alla morte “come si arrota la falce”. Mentre il Malaparte dei “Ricordi” è il prototipo dell’arcitaliano vanitoso ed egocentrico che solo grazie alla morte ha smesso di “Piangersi/Compiangersi/Rimpiangersi”. Nonostante gli epitaffi siano quasi totalmente inediti, abbozzati su block notes, tovagliolini e come scolii dei diari o dei taccuini, tre furono pubblicati in vita dall’autore, di cui il più interessante è quello su Longanesi. Oppure ironizzando verso la democrazia cristiana impotente e silenziosa banda di affaristi, verso cui si premoniva il profetico “turatevi il naso”, prendendo come bersaglio Amintore Fanfani:
Qui | riposa | Amintore Fanfani | amico | dei nemici | nemico | degli amici | figlio | di De Gasperi | padre | di nessuno”. O il sentimentale Cesare Zavattini che: “Non piangete | per | Cesare Zavattini | ha già pianto | lui per tutti noi.
I due infatti scrissero i rispettivi necrologi, con il Montanelli longanesiano “Genio compreso/spiegava agli altri/ciò che egli stesso/non capiva” e il Longanesi montanelliano “uomo imparziale./Odiò il prossimo suo/come se stesso”. Due carciofini sott’odio che hanno raccontato la loro epoca in maniera burlesca e cinica, facendo sempre la stecca nel coro, sia durante il fascismo, come fronda, sia durante la repubblica.
Nei “Ricordi sott’odio” lo stile di Montanelli abbandona la naturalezza degli articoli per farsi eccessivo e stravagante, ricco di iperboli e giochi di parole (“Oh Marino perché Moretti”) anche di cattivo gusto. Un Indro stralunato, strapaesano, cinico ed acido, ma anche buffonesco e schietto che sa abbandonarsi a momenti poetici, come nell’epitaffio di Dino Buzzati: “Qui/Alla Morte/ è tornato/Dino Buzzati/Che/Con lei visse/Dolcemente/Abbracciato.” Il Montanelli inedito e segreto dei Ricordi si inserisce nella tradizione iniziata con “l’Antologia di Spoon River” cambiandola, distorcendola e facendola sua. Rendendo quella collina insonne la vetrina di una pellicceria di volti noti, scegliendo di raccontare il volto più cinico, più corrosivo, più suo.