OGGETTO: Il primo “rave party” d’Italia
DATA: 02 Settembre 2021
SEZIONE: inEvidenza
Sesso, droga e jazz. Nel 1927 Cole Porter scandalizza Venezia. La storia si ripete...
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Aria settembrina, tempo buono per rave party e mostre del cinema: finisce la kermesse di Viterbo e comincia quella di Venezia, città pionieristica sia in tema di free party che di festival cinematografici. Che cos’hanno in comune i due eventi? Innanzitutto il richiamo internazionale, cioè la forza di attrarre cittadini stranieri nella stessa località e nello stesso momento, caratteristica che alla luce dei pericoli attuali acquisisce ancor più rilevanza se legata, quantomeno idealmente, alla passione per determinate pratiche artistiche e performative, seppur segnate da quote differenti di riconoscimento istituzionale. C’è poi il carattere di continuità che definisce entrambe le manifestazioni – tour de force fisici e mentali piuttosto provanti per delle esperienze di piacere –, la loro presa su nicchie specialistiche e, infine, il luogo del loro concepimento.

La storia dei festival cinematografici nasce infatti con la Mostra di Venezia, istituita anche a causa della volontà degli albergatori locali di allungare la stagione turistica grazie a una rassegna che nel 1932 non ha ancora eguali al mondo, ed è proprio in quel contesto che qualche anno prima, nel 1927, era nato anche il progenitore del rave viterbese poi sgomberato a colpi di panzane giornalistiche. Già dai primi anni ’20 il turismo americano aveva di fatto contribuito alla diffusione del jazz negli ambienti urbani più raffinati d’Italia, specialmente a Venezia, capace com’era di coniugare le qualità del posto di villeggiatura a quelle mondane utili al prestigio e alle relazioni sociali dei suoi visitatori. Musicisti e intellettuali statunitensi ma residenti a Parigi – vuoi per un richiamo esotico, vuoi per l’eccessivo bigottismo del proprio paese – avevano allora cominciato ad affittare i palazzi dei signori veneziani che tra la fine di agosto e l’inizio di settembre si ritiravano nelle loro ville di campagna, lasciando le località esclusive della laguna nelle mani dei nuovi ricchi stranieri. Meta preferita dei miliardari americani? L’Hotel Excelsior, allora considerato il più lussuoso al mondo, animato, tra gli altri, dal compositore Cole Porter, autore di musica jazz e di spettacoli di grande successo.

Cole Porter a Venezia

Porter affittava già da qualche anno lo stesso palazzo veneziano in compagnia della moglie Linda – consapevole dell’omosessualità del marito ma ben lieta di condividerne i festini a tema jazz, cocaina, hashish e sesso per tutti i gusti – quando decise di farsi costruire una chiatta, la Dance Boat, con cui avrebbe potuto far risuonare i suoi componimenti in tutto il lido. Ecco il primo rave party d’Italia: musica senza sosta in un luogo fisicamente e simbolicamente separato dal resto della città (non tanto per evitare di disturbare quanto per rimanere indisturbati), in un contesto di autoregolamentazione in cui la musica, è ovvio, non era il solo ingrediente.

“Grazie al cambio estremamente favorevole del dollaro con le altre monete europee, gli americani potevano permettersi una vita di lusso […] con dieci centesimi di dollaro si poteva comprare un’ingente quantità di cocaina e di caviale”.

Camilla Poesio, “Tutto è ritmo, tutto è swing”

Ma se ai signori di Venezia, rintanati nelle residenze estive, era concesso oltre al privilegio della tranquillità anche il lusso di non assistere a certe sguaiatezze da arricchiti, i comuni cittadini dovettero presto fare i conti con quell’evento destabilizzante. Cos’era quella musica? Che combinavano su quella barca? Perché a bordo c’erano tutti quei musicisti neri? Domande alle quali i giornali locali non tardarono a rispondere. Quella musica, di lì a breve, si sarebbe trasformata nel noto e amato giazzo radiofonico; sulla barca, quegli americani, suonavano, ballavano e si drogavano; i neri li aveva infine invitati Porter per diffondere il jazz autentico dei locali newyorkesi. Nobile intento, peccato che i veneziani avessero altri piani. I giornalisti iniziarono infatti a riportare cronache sempre più dettagliate e scabrose sulle folli nottate jazzistiche e sulle abitudini tossiche degli invitati al party galleggiante, alimentando a dismisura il malumore cittadino. Tanto scrissero e tanto si lamentarono che Porter venne cacciato dal podestà. Il compositore fu colto con le mani nella cocaina mentre si divertiva con dei ragazzetti vestiti da donna e venne espulso definitivamente dalla Serenissima, libero di perpetrare le sue abitudini altrove. La formula era di fatto quella dei rave party odierni, laddove viene selezionato un non-luogo che esisterà mediaticamente solo in quanto “vittima” del rave stesso, pronto per spostarsi poco prima o poco dopo l’intervento delle forze dell’ordine.

In tema di Mostra del cinema, verrebbe allora da dire che il film sia lo stesso da più di novant’anni, una commedia delle maschere in cui ognuno ricopre fedelmente il proprio ruolo all’interno di un canovaccio consolidato. C’è il giornalista che inventa dettagli ai limiti del macabro, raccontando la festa con i toni della suora di clausura; il cittadino che invoca interventi drastici a concludere la ricreazione; e infine i partecipanti alla festa, talmente poco coscienti del contesto extra-party da non comprenderne i possibili effetti negativi. Cambia il tipo di accompagnamento musicale, ma lo scollamento col gusto comune resta lo stesso. Nel primo caso un ritmo, il jazz, che in Italia pochi conoscevano e in ancora meno apprezzavano; nell’altro la cadenza della musica techno, comunemente associata a profili poco aderenti a quello del cittadino modello e produttivo, oltre che all’uso di sostanze che a partire dagli anni ’80 si sono fuse per un certo periodo con l’idea stessa del divertimento notturno. Inoltre, se è vero che ogni buona sceneggiatura debba contenere anche un problema di fondo che aleggia sulla vicenda principale, i rave in questione dimostrano una solidità degna del Premio Osella, perché il primo vede nei musicisti neri un pericolo identitario e culturale che preoccupa perfino Mussolini, mentre il secondo è turbato dai due tormentoni dell’estate, il noto “fatevi-un-giro-nel-mio-reparto” e l’ormai classico “la-mia-libertà-finisce-dove-comincia-quella-degli-altri”. Probabile che nel ’27 i cittadini veneziani protestassero con questo secondo mantra di fronte alla nave di Porter.

L’Hotel Excelsior era stato inaugurato nel 1908. Lo sfarzo ineguagliabile e lo stile moresco della sua costruzione esercitavano già da allora un forte potere attrattivo nei confronti dei turisti americani

Facile a questo punto indovinare la sede, cinque anni dopo la fuggita del compositore, della prima edizione della Mostra. La terrazza dell’Hotel Excelsior da cui era partita la cavalcata lisergica del musicista e dei suoi compagni di scorribande ospitò, dal 6 al 21 agosto del ’32, divi come Greta Garbo e Clark Gable, anche loro stranieri arricchiti ma stelle di un cinema già da tempo elevato a linguaggio nobile e potenzialmente artistico, a differenza di quella musica ballabile che ancora per diversi anni avrebbe fatto penare tanto il regime quanto la comunità cattolica. Ecco di nuovo che il festival e il party si scoprono parenti più stretti di quanto credessero, dal momento che dietro alla frenesia del ballo e della droga della Dance boat si celava un lavorio di marketing culturale che è del tutto simile a quello che caratterizza ogni rassegna cinematografica, Venezia compresa.

Giuseppe Volpi, per dirne uno, intorno alla metà degli anni ’20 aveva invitato in laguna una giornalista mondana, Elsa Maxwell, sia per promuovere sulle riviste americane la vita notturna della città, sia per diffondere negli ambienti veneziani le mode d’oltreoceano. Grossomodo, un festival cinematografico attiva gli stessi dispositivi di promozione, da un lato alimentando la propria identità, dall’atro pubblicizzando il cinema nazionale. Così, ogni grande festival ha i suoi registi feticcio e le sue cinematografie da vendere, tanto che quest’anno in sede di presentazione c’è stato pure chi ha storto il naso per i troppi film italiani in concorso, addirittura cinque. Difficile credere siano tutti degni del concorso, così come difficile era credere totalmente a tutte le storie veneziane riportate dalla Maxwell nei suoi articoli di promozione della città. Di certo c’è che anche questa volta la commedia del rave ci ha tenuto tutti incollati alla poltrona per più di una settimana, tempo di permanenza in sala a cui qualche film in concorso alla Mostra nemmeno si avvicinerà. In compenso, è possibile che qualche divo, nel suo soggiorno veneziano, replichi in privato le abitudini dei partecipanti alla Dance boat. Insomma, saranno dieci giorno di intenso rave legalizzato. Buona visione.

Nel suo Midnight in Paris, Allen inserisce anche Cole Porter tra i personaggi magicamente incontrati dal protagonista

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