4 settembre 1950. Bruno Pontecorvo, uno dei più geniali fisici nucleari del programma atomico occidentale, sparisce nel nulla, mentre stava rientrando al segreto centro di Harwell dalle vacanze in Italia con moglie e figli al seguito. Stranamente, al di fuori degli stretti parenti, nessuno pare accorgersene. Sull’uscio della casa di Abingdon – piccolo villaggio rurale immerso nel countryside a formare una sorta di “semicerchio protettivo” al laboratorio top secret – iniziano ad accumularsi bottiglie di latte irrancidito. Anche al liceo Roysee non c’è traccia del figlio Gil e neppure la retta è stata saldata; ma è solamente al convegno di Fisica di Chamonix che l’assenza dello scienziato naturalizzato inglese viene notata. Per nulla al mondo Pontecorvo avrebbe disertato l’importante kermesse.
Il 20 settembre un allarmato direttore di Harwell chiede al MI5 di fare un controllo. Gli agenti perquisiscono la casa trovandola in ordine: libri e giochi dei bambini, nell’armadio c’è perfino la pelliccia di Marianne al suo posto. Tutto lascia intendere pensassero di tornarci. Si ricostruiscono gli ultimi giorni della famiglia Pontecorvo; si fanno interrogare i familiari dai Servizi italiani. Avevano trascorso gran parte della villeggiatura a Ladispoli, piccolo centro balneare sul Tirreno dove, il 20 agosto, s’era festeggiato il compleanno di Bruno assieme al fratello Gillo – futuro regista de La battaglia di Algeri – e alla sorella Giuliana. Nessuno ricorda qualcosa di insolito; Bruno sembrava affabile e rilassato come al solito. Nei verbali gli agenti scrivono che le risposte della sorella sembravano “evasive” e che tutti sembrano “eccitati” dalla sparizione. L’unico elemento incongruente è il telegramma inviato il giorno seguente ai genitori in Svizzera per informarli che, a causa di un piccolo incidente automobilistico, non riusciranno a incontrarsi. Non c’è traccia, però, di alcun sinistro. Qualcosa doveva essere cambiato. A Roma Pontecorvo s’incontra con il cugino Emilio Sereni, ministro del governo italiano ma, anche segretamente, membro del Cominform che probabilmente lo informa di qualcosa.
Il 29 lascia la vettura presso un carrozziere come per disfarsene, prima di prenotare cinque biglietti aerei per Stoccolma. Chi gli ha fornito i dollari necessari all’acquisto? Gli inglesi controllano il blocchetto nell’agenzia della SAS. Due persone su quel volo non saranno mai identificate; sembra il classico modus operandi del KGB di mandare due agenti a scortare i fuggiaschi oltre cortina. Nella capitale svedese, infatti, i Pontecorvo non trovano neppure il tempo per passare dalla madre di Marianne. S’imbarcano immediatamente su un volo per Helsinki. I doganieri ricordano bene quell’italiano affascinante che mancava di visto; ma il passaporto inglese è sufficiente a spalancargli le porte di un albergo dove, però, non giungeranno mai. Da quel momento e per cinque lunghi anni non si saprà più nulla di Bruno. In Italia si vocifera già di un nuovo “caso Majorana”, ma lui era solo; i Pontecorvo sono in cinque.
Il 21 ottobre la notizia diventa di pubblico dominio. Letcombe Avenue è gremita di reporter che pretendono una foto della casa della “terza spia atomica”; anche se Bruno non verrà mai accusato di spionaggio. Nascono le più strampalate teorie: che si trovi nello Xinjiang a sovrintendere i lavori di una fantomatica cittadella atomica cinese o che sia stato rapito dai russi. Gli inglesi, ironia della sorte, incaricano Kim Philby di sminuire, minimizzare, limitare i danni che l’ennesima defezione provoca con gli alleati americani. Nessuno ancora sapeva che era stato proprio l’agente-doppio del controspionaggio a informare Mosca che la CIA non si fidava più di Bruno.
Gennaio 1940. L’Europa è in guerra; una guerra però ancora “strana”. Hanno tuonato, per ora, solo i primi cannoni. Pontecorvo vive a Parigi; lavora nel laboratorio dei Joliet-Curie, la coppia di fisici nucleari con il centro di ricerca più avanzato del mondo. Bruno s’è conquistato la borsa di studio grazie agli esperimenti che, da giovanissimo, ha svolto come membro del “gruppo di via Panisperna” diretto da Enrico Fermi. La sua pubblicazione sui “neutroni lenti” aveva fatto il giro del mondo ed era stata propedeutica alla scoperta francese di come l’acqua pesante fosse il miglior metodo per moderarne la velocità. Il primo passo per sprigionare l’energia dagli atomi d’uranio. L’arma che avrebbe concluso il secondo conflitto mondiale sta per essere essere concepita ancor prima si sparasse il primo colpo tra Alleati e Asse.
Le ricerche sulla fissione diventano ovunque segreto militare prioritario. L’unico produttore su grande scala di questa particolare acqua è l’azienda elettrica Norsk Hydro a Rjukan. Il ministro degli armamenti francese muove subito le sue leve; il suo intermediario è l’azionista di maggioranza della compagnia norvegese. Bisogna salvare il prezioso liquido prima cada in mano ai tedeschi. In marzo l’intero stock (180 litri) viene trasferito a Clermont Ferrand, nel sud della Loira. Non ci si aspetta certo che due mesi dopo i panzer di Guderian penetrino attraverso la braccia di Sedan, sfrecciando a tutta velocità verso Parigi. L’esercito francese si squaglia; gli inglesi fuggono da Dunkerque. Pontecorvo come italiano è, a tutti gli effetti, un nemico della Francia e, come ebreo, nemico della Germania. Il laboratorio viene smantellato in fretta e furia: apparecchiature, campioni di berio e berillio, insieme a tonnellate di mattoni di piombo, sono spediti a Bordeaux e, via nave a Cambridge; prima di approdare oltreoceano. Riesce a rifugiarsi in Canada, dove si sta costruendo il primo reattore nucleare a Chalk River. Il programma angloamericano – Manhattan Project -si sviluppa parallelamente tra i boschi dell’Ontario, Chicago – dove Fermi realizza la prima pila atomica – e Los Alamos. Anche i tedeschi, intanto, sono a buon punto e occorre lanciare diverse operazioni speciali contro la centrale norvegese per distruggere la ricostituita scorta di acqua pesante in procinto di partire per il Terzo Reich. Storia in seguito trasposta sullo schermo ne Gli eroi del Telemark.
Agosto 1945. Hiroshima e Nagasaki hanno dimostrato al mondo il potere distruttivo della bomba atomica. La guerra è finita. Il Giappone s’è arreso e, appena tre giorni dopo, la defezione di Igor Guzenko – addetto ai cifrari del consolato sovietico di Montreal – rivela che i russi stanno da tempo spiando il programma nucleare. La rete del GRU è compromessa ma Lavrentij Berija, ormai a capo del progetto atomico rosso, seguendo le direttive del paranoico Stalin, ne ha create due parallele e indipendenti fra loro. Quella del KGB rimane intatta ma la prima testa cade comunque: Alan Nunn May viene arrestato a Londra nel marzo del ‘46. Nemmeno il tempestivo intervento di Philby riesce a salvarlo, pur evitando l’incontro con il suo contatto. Alan ha fornito campioni ai russi mentre lavorava a Chalk River ma, essendo allora ancora tecnicamente “alleati”, se la cava con una decina d’anni di carcere. Nonostante questo primo campanello d’allarme, gli angloamericani si sentono al sicuro. I sovietici sono molto indietro nelle varie fasi necessarie a produrre un ordigno, mentre si sta già studiando la bomba all’idrogeno.
Il sogno d’onnipotenza, però, svanisce di colpo nel 1949, con l’esplosione della prima atomica russa. È lo shock che sancisce l’inizio della Guerra Fredda. Negli Stati Uniti scatta la caccia ai comunisti.
Capodanno 1950. Bruno ha 36 anni. La sua vita è a un bivio. Ad Harwell studia i neutrini oramai da quattro anni mentre osserva con sgomento il maccartismo abbattersi sull’America. May era un suo amico e a febbraio l’arresto del collega Klaus Fuchs scuote l’intera comunità scientifica. Le accuse risalgono a quando lavorava oltreoceano e portano all’arresto della rete di Mosca. I coniugi Rosemberg finiscono dritti sulla sedia elettrica, mentre Fuchs è condannato a quindici anni. Pontecorvo inizia a sentirsi braccato nonostante non ci sia (e non ci sarà mai) alcuna prova contro di lui; dopotutto da giovane s’era iscritto al Partito Comunista; anche la sorella e il fratello Gillo condividono gli stessi ideali e suo cugino Sereni faceva parte della Resistenza. La CIA è convinta, non a torto, che ci siano infiltrati ai più alti livelli nei Servizi inglesi. Philby, nel frattempo, ha scoperto che grazie al progetto Venona gli alleati hanno scoperto l’identità anche di Ted Hall (nome in codice Mlad: giovane), il più giovane fisico presente a Los Alamos, grazie a dettagli dei suoi spostamenti. Anche lui aveva passato informazioni ai russi fin dall’invasione nazista dell’Ucraina, reputando immorale non aiutarli. Altri, invece, avevano iniziato a farlo dopo le atomiche contro i civili giapponesi.
Pontecorvo si convince che l’MI5 non si fidi più di lui; tra marzo e aprile viene interrogato due volte e, a breve, è previsto il suo trasferimento ad Harward. Proprio quell’estate, infatti, sparisce senza lasciar traccia. Sarebbe lecito aspettarsi di vederlo riapparire a Mosca, spiegando i motivi della defezione e, invece, nulla. Il “mistero” rimane.
Febbraio 1955. Senza alcun preavviso viene pubblicata un’intervista a Bruno sul quotidiano Izvestija. Il 4 marzo tiene una conferenza stampa all’accademie delle scienze di Mosca. Elegante come al solito nel completo grigio con la medaglia del premio Stalin sul risvolto; conferma che da quando ha attraversato la “cortina di ferro” si trova a Dubna, centro scientifico a un centinaio di chilometri dalla capitale. Ha adottato il nome russo di Bruno Maksimovic Pontekorvo; ha imparato la lingua e la grafia con cui firma. Il patronimico è stato necessario affinché i colleghi potessero chiamarlo senza mai nominare la sua vera identità; in alternativa lo chiamavano semplicemente “il professore”. Dubna è isolata in mezzo alla foresta e le norme di sicurezza sono rigidissime. L’uomo estroverso, socievole e sciupafemmine si è trasformato in un solitario e isolato scienziato al servizio della causa. Circondato da un alone di mistero e leggenda, “Mister Neutrino” si getta a capofitto nei suoi studi sull’antimateria; senza mai ammettere di aver passato informazioni all’Unione Sovietica. L’antifascismo e la volontà di non lasciare l’arma atomica in mano agli americani l’hanno convinto a passare dall’altra parte, sacrificando la sua carriera e, probabilmente, perfino un Nobel.
Ventotto anni dopo arriva il suo primo ritorno in Italia, dove incontra alcuni vecchi colleghi senza mai rimpiangere la sua scelta. Solamente nel 1991, dopo la dissoluzione dell’URSS, ammette dolorosamente a Miriam Mafai, di aver creduto che il comunismo fosse una scienza prima di accorgersi fosse solamente una religione. Nonostante ciò, stabilisce che alla sua morte i suoi resti vengano equamente riposti in due tombe: una al cimitero acattolico “inglese” del Testaccio; l’altra a Dubna, con il cognome scritto rigorosamentein cirillico.