Il 3 febbraio, il misterioso pallone che nei giorni precedenti aveva sorvolato indisturbato lo spazio aereo di Billing (Montana) viene riconosciuto dai cinesi come un loro pallone metereologico fuori rotta. A quanto pare (ma le fonti cinesi smentiscono) Anthony Blinken era atteso a Pechino in visita ufficiale quando la “crisi del pallone” lo ha fatto tornare sui suoi passi. La funzionalità, che pare controintuitiva, di un tale riconoscimento da parte cinese sta tutta nel fair play di rimettersi alla legislazione internazionale, in un disegno di ideale diplomaticità che è diventato la vera e propria cifra caratteristica del Dragone nei rapporti di politica estera. Basti pensare che, poche settimane fa, Wang Wenbin aveva chiesto a Stati Uniti e Giappone di abbandonare «their […] Cold War mentality and ideological bias» per non trasformare inutilmente l’Asia in una polveriera, tendendo (o mostrando di tendere) idealmente la mano per una futura collaborazione persino con i vecchi nemici. Si potrebbe dire, sicuramente semplificando, che se la proposta di multipolarità incarnata dalla Russia passa attraverso la legittimazione della guerra aperta, quella cinese intraprende la strada della diplomazia internazionale e del legalismo esasperato.
Possono essere lette in questa chiave le vibranti proteste della Cina quando il Pentagono ha deciso di abbattere l’oggetto fluttuante. I cinesi hanno ammesso pubblicamente la proprietà del pallone, ma la reazione americana è stata, a loro dire, inusitata. Secondo Al Jazeera, da parte cinese traspare fermezza nella condanna di tale atto pur reiterando appelli alla calma, alla legalità e alla collaborazione internazionale, cercando di dimostrare che quel pallone aveva tutto il diritto di trovarsi lì. Una direzione incarnata nelle parole del diplomatico Wang Yi:
«[la Cina] Ha sempre rispettato alla lettera la legislazione internazionale, non possiamo accettare nessuna infondata diceria e nessun clamore ingiustificato. Di fronte a problematiche inaspettate, c’è bisogno che entrambe le parti mantengano la calma, comunicando fra loro in maniera diretta , per evitare errori di valutazione».
Dall’altra parte della barricata, le dichiarazioni di Lloyd Austin, segretario della Difesa americano, sono decisamente più aggressive ed avocano il diritto di neutralizzare qualunque minaccia sul proprio territorio. Tendenzialmente, l’abbattimento viene considerata come ultima ratio, nei casi in cui l’oggetto invasore abbia fatto mostra di essere un pericolo immediato per la popolazione o per la proprietà statale, e in questo caso la squadra di governo americana, anche pressata dagli oppositori, ha deciso di fare la voce grossa.
Un episodio del genere riporta prepotentemente al centro del dibattito la frontiera aerea, uno spazio talvolta dimenticato, che invece è stato fin da subito protagonista sulla bilancia dei rapporti internazionali. Una delle strategie promozionali più efficaci dell’Italia Fascista fu senz’altro la trasvolata dell’Oceano Atlantico organizzata da Italo Balbo, che unì le platee Italiane ed Americane nella trepidazione di assistere ad un evento irripetibile, composto dall’ardore dei piloti e dal fascino esercitato dalle macchine volanti che permettevano il trasvolo della frontiera terrestre. Il tentativo, in questo caso, era contemporaneamente quello di mostrare forza e celebrare la distensione dei rapporti fra Italia e USA.
Le rivendicazioni statunitensi nell’episodio del pallone spia vertono proprio sul presupposto della frontiera aerea, dove bisognerebbe esercitare la stessa sovranità che si esercita sulla Terra. Analogamente a quanto succede per l’acqua, il controllo sull’aria è essenzialmente limitato all’osservazione dei flussi (di merci, di persone, di informazioni) che l’attraversano. Si tratta di una componente irrinunciabile per l’integrità e la forza di uno Stato, basti pensare a quanto, in ambito militare, sia fondamentale il controllo dei cieli. Alcuni storici ritengono infatti che, tra i fattori che permisero agli Stati Uniti di sconfiggere il Giappone, uno dei massimi meriti sarebbe da attribuire al fatto di essere riusciti a superare qualitativamente gli Zero nipponici. Un altro esempio, più recente, è l’attacco aereo del Sinai, con il quale le forze israeliane ottennero la supremazia aerea distruggendo la flotta della Lega Araba con un attacco a sorpresa, ponendo di fatto le condizioni per la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni. Se in tempo di guerra il dominio dell’aria è un elemento che può indirizzare i conflitti in maniera così radicale, in tempo di pace occorre creare una situazione di equilibrio tra le diverse entità, regolamentata da una specifica giurisprudenza. L’esistenza di uno spazio aereo nazionale ad appannaggio dello Stato è stata ratificata in una serie di Convenzioni, delle quali la più famosa fu quella del 1944 a Chicago, che portò alla nascita dell’ICAO (Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile). In tale convenzione fu anche ribadita la completa sovranità dello Stato sullo spazio aereo, che può dunque decidere in piena autonomia quali politiche attuare nei confronti dei velivoli in entrata.
Naturalmente, il galateo non scritto dello spionaggio si è ben adattato allo spazio aereo.
Se fin dalla fine dell’Ottocento (quando il concetto stesso di frontiera aerea era ben di là da venire) i palloni costruiti à la Montgolfier erano ampiamente impiegati per indirizzare il fuoco delle batterie di artiglieria, il volo di ricognizione con fini strategici trova il suo impiego più fitto nel corso della Guerra Fredda. Basti ricordare la fortuna della Lockheed, strettamente legata ai ricognitori strategici U-2 e Blackbird, con il primo modello che, nel suo curriculum, vanta diverse imprese di spionaggio ad alto rischio portate a termine con successo. La più eclatante fu senz’altro la scoperta dell’arsenale missilistico sovietico a Cuba, nel 1962, in un’operazione di intelligence magistrale che ebbe il merito indiretto di favorire una prima stagione di allentamento della tensione fra i due blocchi della Guerra Fredda. Si danno anche casi meno noti, in cui l’aereo spia è stato scoperto, ma non è stato abbattuto. Sempre nel 1962, un U-2 che finì “per incidente” nello spazio aereo sovietico venne sulle prime scambiato per un bombardiere nucleare. Accortisi dell’errore, i sovietici scortarono l’aereo direttamente alle cure dei caccia americani che erano partiti per salvarlo. In entrambi i casi, lo spazio aereo si è reso frontiera, il cui attraversamento comporta importanti rischi e tutta una serie di operazioni da compiersi con grande attenzione. Tanto più che non sono solo le operazioni di intelligence a poter provocare incidenti diplomatici nel cielo. Sempre il 3 febbraio, ma del 1998, l’incidente del Cermis fece giurisprudenza in quanto fu uno dei primi casi in cui venne applicata la Convenzione di Londra del 1951, per cui i processi da intentare verso soldati NATO devono essere celebrati nel Paese d’appartenenza, a prescindere dal capo d’accusa. Una meccanica legislativa che ha lasciato più di qualche strascico polemico.
La frontiera aerea è uno spazio ibrido, di importanza incalcolabile nel grande teatro della storia. Con le parti in gioco e le vite delle persone così lontane, sulla Terra, ciò che vola è totalmente nascosto agli occhi, eppure terribilmente vicino.
Episodi come quello del misterioso pallone spia cinese riportano l’attenzione sul complesso gioco di forze che si dipana in ogni momento sopra le nostre teste, tra incidenti aerei, veicoli sperimentali, spie e invisibili linee di confine.