È interessante il dibattito che sta deflagrando sulla docuserie di Netflix “SanPa: Luci e Tenebre di San Patrignano”, incentrata sulla controversa figura di Vincenzo Muccioli e che per questo finisce la sua narrazione nel 1995, con la morte del fondatore del più grande centro di riabilitazione per tossicodipendenti d’Europa. Con un piano di lettura molto semplice: innocentisti e colpevolisti, oggi come allora.
Tra i colpevolisti cito due penne che stimo. Giorgio Cappozzo: “Muccioli ha fatto anche cose buone. Come ogni fascismo… era guidato da un’idea: i problemi si risolvono con la forza. Se sei incapace di intendere e di volere l’unico modo per riportarti a galla è toglierti la libertà”. Mentre Francesco Cancellato aggiunge: “Al netto delle catene, dei tossici chiusi in cassaforte, dei malati di Aids a cui veniva comunicato solo quando voleva lui, dei pestaggi e degli omicidi, del potere di decidere se e quando due ospiti della comunità potessero fidanzarsi o sposarsi e di un impero economico fondato sul lavoro gratuito di persone a cui non era concesso di rifiutarsi di lavorare o di lasciare la comunità, ciò che mi stupisce della parabola di Vincenzo Muccioli… è che l’Italia sia stato e sia ancora un Paese che, a maggioranza, lo colloca nel girone dei suoi eroi”.
Difatti per gli innocentisti – e per quelli che lo vedono eroe – il fine giustifica i mezzi e il documentario risulta troppo di parte. Con la dissociazione della Comunità di San Patrignano, che lo reputa “un racconto che si basa sulle dichiarazioni di ‘detrattori’” e che mette a rischio quello che Sanpa è oggi, con i mille ospiti e il business milionario del suo indotto e con diversi ex ospiti che ne hanno preso le difese, come Piero Villaggio, figlio del comico Paolo, che dei tre anni passati a Sanpa dice: “Amavo e odiavo Muccioli. Ha commesso errori, ma aveva ragione”.
Per quanto mi riguarda, attraverso le cinque puntate della serie ben diretta da Cosima Spender e prodotta da Gianluca Neri, un’opinione è possibile farsela. Con qualche considerazione. Dispiace, per esempio, che Letizia Moratti – con la famiglia del marito che in Sanpa ci ha messo oltre 300 milioni di euro – abbia detto la sua tardivamente. Al contrario, ha avuto il coraggio di metterci la faccia Andrea Muccioli, figlio del fondatore e suo successore per sedici anni, fino al 2011, quando i Moratti gli hanno tolto il comando (pare per dissidi sui conti economici). E sempre in merito al docufilm, trovo che la trama assurga a un livello superiore grazie ai tre veri protagonisti del filo narrativo. Per la “difesa” di Muccioli c’è Antonio Boschini, storico responsabile terapeutico di Sanpa. Per l’“accusa” abbiamo Walter Delogu, ex autista e guardia del corpo di Muccioli (nonché padre dell’Andrea conduttrice tv, nata e cresciuta a Sanpa). E Fabio Cantelli Anibaldi, responsabile dell’ufficio stampa di Sanpa fino al ’95. Tutti e tre entrati in Comunità a causa delle loro dipendenze e tutti e tre, con visioni diverse, splendidi ambasciatori di una profonda umanità – humanitas suona ancora meglio – che arriva con forza allo spettatore.
Detto che la docuserie è da vedere, mi piace l’idea che Netflix abbia scoperto l’humus riminese che ha consentito la nascita di Sanpa e dieci anni prima anche dell’Isola delle Rose, l’“incredibile storia” da poco sulla stessa piattaforma streaming. Non è un caso. Il territorio di Rimini è stato – e forse, attraverso la sua attuale rinascita, potrebbe anche tornare a esserlo – uno dei pochi luoghi d’Italia dove tra gli anni Sessanta e i Novanta si potevano ancora immaginare, realizzandoli, nuovi mondi, come vanno inquadrati la micro-nazione dell’ingegnere Rosa e la mega-comunità di Muccioli, che avevano di fatto l’utopica visione di essere Stato nello Stato. E purtroppo, nello stesso lasso di tempo, tra strategia della tensione e stragi di varia origine, per dilettantismo, incuria o indifferenza dei suoi vertici o di parti di esso, deviati, con le sue decisioni, indecisioni o depistaggi, è proprio lo Stato Italiano che di regole ne ha rispettate ben poche, forse ancora meno dell’“eroe” Muccioli.