Michel Onfray, tra i maggiori filosofi del panorama francese ed europeo, vive nel nostro tempo come un soldato nemico prigioniero in una nazione occupata. In piedi sulla cima del vulcano della nostra civiltà, pronto ad eruttare e trascinarci negli abissi della storia, Onfray osserva il mondo occidentale come una megera sfatta che si orna dei suoi antichi e svenduti gioielli, ricordi di un passato ormai tramontato e rinnegato, opponendogli lo sdegno classico di chi non confonde l’ultima moda del tempo con la verità ultima dell’eterno. Come un antico patriarca dei mores maiorum, osserva un mondo pavido assordato dalle musichette dei suoi divertimenti ed accecato dai neon sfavillanti delle meraviglie della tecnica come una discarica coperta da rovine metalliche. Rovine di idee, di dogmi, di valori, di civiltà che ricoprono la vecchia Europa, che non sa più amarsi, ma solo risparmiarsi o rinnegarsi preda delle ideologie del piagnisteo e dei suoi facili quanto inutili miraggi.
Di fronte a questa sopravvivenza Onfray contrappone una visione antagonista, dissidente, eretica ispirata ad una visione del mondo che fonde l’ateismo e la nostalgia del sacro, l’edonismo e l’etica classica, la furia anticapitalista ed iconoclasta con una sete di assoluto che lo rendono un autore controverso, inattuale, proscritto, la cui voce, seppur a volte non condivisibile, non cessa mai di affascinare e stupire. Una voce che ha sintetizzato questa protesta irregolare nei manifesti edonisti, nella sua Breve enciclopedia del mondo, in cui si racchiude la sintesi del suo pensiero (Cosmo, Decadenza, Saggezza), nella sua controstoria libertina, scettica e rivoluzionaria della filosofia (arrivata al suo nono volume “Coscienze ribelli”) componendo una bibbia ribelle, un breviario di insubordinazone al nichilismo e al mainstream, a volte anche con posizione estreme e non condivisibili, racchiuse nei suoi testi filosofici, editi dalla splendida Ponte delle Grazie, e dalla sua testata Front Populaire, su cui nel suo ultimo numero ha avuto uno storico confronto con Michel Houellebecq. Per meglio comprendere questo filosofo dissidente della cultura francese lo abbiamo intervistato mentre rileggeva le bozze del suo ultimo saggio sulla natura umana: Anima.
–Secondo lei il movimento woke può essere considerato la nuova “sovrastruttura” del neocapitalismo globale?
Sì, certo, è l’ideologia del postmodernismo che pone le basi di una civiltà nuova che prenderà il posto di quella giudaico-cristiana. Sappiamo che la Rivoluzione Francese, con la sua idea dell’Uomo Nuovo, espressione presa in prestito da San Paolo, portò le idee cristiane fino alla follia, pensiamo a Chesterton, che affermava “il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane impazzite”. Queste idee del 1793 sono la malattia senile del cristianesimo, le idee del movimento woke, ovvero la malattia senile di ciò che era già una malattia senile. In questo senso il mercato liberale planetario lavora per la creazione di uno Stato universale con il suo governo mondiale. Le idee del woke stanno contribuendo a minare la vecchia civiltà per preparare il terreno a quella che seguirà e che potrebbe essere la “civiltà” del transumanesimo a cui stanno lavorando i GAFAM (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) della costa occidentale degli Stati Uniti. Il capitalismo allora potrà diventare veramente universale, planetario e dominare il mondo in modo incondizionato.
-Dopo l’inizio del conflitto in Ucraina la causa sovranista e popolare è decaduta? Abbiamo assistito alla fine del populismo?
No, anzi abbiamo assistito alla sua sublimazione! Abbiamo visto l’élite globalista fare l’elogio di tutto ciò che dice di odiare. Difendere la nazione, la patria, la bandiera, l’inno, l’esercito, i confini, in una parola: la sovranità, ma dell’Ucraina! Questo conflitto ha dimostrato che non è il nazionalismo a generare la guerra, ma l’imperialismo che definisce il nazionalismo espansionista. Non è quindi tanto la fine del populismo che viene sancita da questa guerra quanto la sua sublimazione. Paradossalmente, è Zelenski, un entertainer legato col capitalismo globale, a ritrovarsi ad essere il catalizzatore di questo ritorno del popolo, di questa creazione della nazione, di questa fondazione e di un’identità nazionale se non nazionalista. Altro paradosso, è questa stessa élite globalizzata che aggiunge a questo populismo ucraino la religione di una radicale xenofobia nei confronti di tutto ciò che è russo: non putiniano, ma russo! Dobbiamo quindi, dicono queste anime belle cosmopolite, universaliste, che difendono i diritti umani, odiare Dostoevskij, odiare Čajkovskij, bruciare Puškin, sputare su Eisenstein, gettare Cechov nella spazzatura, ecc. Anche mangiare sottaceti Malossol è diventato diabolico!
-Ci troviamo di fronte ad un nuovo scontro di civiltà?
L’assetto di una nuova Europa si gioca con questa guerra che contrappone due imperialismi: quello degli Stati Uniti e quello della Russia con la spartizione di un’Europa fuori dai giochi. La Russia per il momento sembra essere partita male con il suo progetto e Putin non è tipo da perdere la faccia. Chi ha criticato le tesi di Clash of Civilizations di Samuel Huntington per preferire a lui The End of History and the Last Man di Fukuyama ne sta facendo le spese: questo conflitto è infatti un conflitto di civiltà che oppone due modi di essere cristiani dei tre esistenti: cattolico, protestante e ortodosso. L’Ucraina unita si trova dalla parte dell’Europa protestante di Maastricht e degli Stati Uniti contro la Russia cristiana ortodossa: è il deismo liberale occidentale contro la teocrazia slavofila ortodossa. Il culto dell’Essere Supremo contro il Dio Pantocratore.
-La tecnica e lo scientismo prospettano futuri avveniristici in cui l’umano sarà un ospite non richiesto e non gradito. Come il transumano sta sconvolgendo la nostra civiltà, se di civiltà si può ancora parlare? Ed esiste un rimedio verso queste maledizioni consumistiche?
Il transumanesimo è infatti il probabile nocciolo duro della futura civiltà che sostituirà l’era delle civiltà limitate nel tempo e nello spazio, circoscritte ad aree geografiche in tempi limitati (Assur, Sumer, Babilonia, Egitto, Sciti, Grecia, Roma, Mesoamerica, Europa) con una civiltà planetaria, universale, estesa a tutto il globo, cioè lo Stato-totalità di Hegel, lo Stato totale di Carl Schmitt, lo Stato universale jungeriano. Lo smartphone, che è lo strumento di questo dominio, lo è già in tutto il pianeta, dai poli ai deserti, dalle megalopoli alle case isolate in montagna. Si tratta di reificare tutto, è l’imperativo categorico di questa civiltà che, per poter comprare, finirà per vendere o affittare tutto, compresi gli esseri umani: già vendiamo sperma come vino, ovuli come dolci, affittiamo uteri come auto e vendiamo e compriamo bambini come fossero maialini da latte; stiamo già vendendo maternità surrogate neanche fosse il Black Friday…
Questa reificazione richiede la distruzione di tutte le frontiere: tra Paesi, certo, solo è l’inizio, tra esseri umani in generale, ma anche tra uomini e donne, omosessuali ed eterosessuali, umani e animali, adulti e bambini, alunni e insegnanti, bianchi e neri, giovani e vecchi. La propaganda celebra l’ibrido, non solo per le auto, il che significa promuovere contaminazioni per raggiungere un cosmopolitismo integrale, se non integralista. Ci abituano all’idea che il male sia un vecchio veicolo diesel, come metafora del mondo di ieri, oscurantista ed ecocida, irresponsabile e indicizzato sulla pulsione di morte, mentre il futuro, il futuro eco-responsabile e salvatore del pianeta, progressista e salvifico (uso volutamente il vocabolario del Vaticano…) sia comprare un “veicolo” ibrido – mentre il capitalismo esulta… E finiamo per fare lo stesso con l’uomo vecchio, bianco, cattolico, di mezza età, eterosessuale diventato l’equivalente ontologico della vecchia auto diesel di cui bisogna liberarsi in nome di una creatura ibrida.
A lunghissimo termine, forti di questa certezza astrofisica che il pianeta Terra scomparirà non a causa del riscaldamento globale ma a causa del futuro programmato del sole che esploderà entro cinque miliardi di anni, si presume che sarà necessario che gli uomini organizzino la loro sopravvivenza fuori da questo pianeta. A questo stanno già lavorando i promotori di questa civiltà post-terrestre, tra cui oggi un certo Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo. I capi del GAFAM, cioè i capitalisti che già hanno in pugno il pianeta regolando flussi di denaro, finanza, commercio, comunicazioni, potere, finanziano questa ricerca. Le società di Elon Musk, Neuralink per il chip del cervello umano, Space-X per i viaggi fuori terra verso pianeti abitabili o stazioni orbitali autonome, e Tesla per l’intelligenza artificiale, il progetto Hyperloop per i viaggi con propulsione a idrogeno, sono l’equivalente dei progetti che Cristoforo Colombo aveva a suo tempo di scoprire un Nuovo Mondo per sfruttarne le potenzialità, nel senso capitalista del termine. Non vedo nulla che possa opporsi a questo movimento della Storia. Nessuno Stato può, la stessa Nasa, l’agenzia spaziale statale americana, non può più andare sulla luna e delega questa missione a Elon Musk che paga… Con quale etica di resistenza? Ci sarebbe bisogno di una spiritualità per poterne costituire una e quale spiritualità potrebbe riuscirci? Dubito che nessuna delle grandi religioni planetarie potrebbe… Aspetto obiezioni, ma credo che il nostro futuro sia più che in 1984 di Orwell o ne Il mondo nuovo di Huxley, a Celesteville, la capitale del Regno di Babar, inventata da Jean De Brunoff, una città ideale dove tutto è fatto per la felicità di tutti! Questo futuro è già in gran parte il nostro presente.
-La sinistra è ormai diventata la compagna segreta del capitalismo oligarchico?
Mi ritrovo perfettamente in questa definizione. Da anni parlo di maastrichtiani per classificare la destra e la sinistra che stanno costruendo questa Europa liberale decisa dal Trattato di Maastricht del 1992, sottoposto a referendum in un clima incredibile di propaganda mediatica a favore di quella che si presentava come una misura sociale e politica da Eden: è stata promessa la fine della disoccupazione, della miseria, della povertà, della xenofobia, del razzismo, dell’antisemitismo, delle guerre. Non siamo arrivati al punto di promettere la fine della morte, ma quasi! A quel tempo, i promotori di questo progetto stavano vendendo un’idea. Oggi, trent’anni dopo, questa idea è diventata una realtà che vediamo lungi dall’aver abolito tutta questa negatività: anzi l’ha accresciuta per produrre il nichilismo in cui viviamo! Mitterrand, salito al potere con idee di sinistra nel maggio 1981, le ripudiò nel marzo 1983 per adottare il progetto liberale ed europeista dell’uomo che aveva poi sconfitto, Valery Giscard d’Estaing. Il popolo, deluso, trasmigrò verso il Front National di Jean-Marie Le Pen che Mitterrand strumentalizzava per spezzare in due la destra.
Dopo aver rinunciato al sociale, per distinguersi da certa destra liberale, aveva bisogno di un segno: sarà il “societaile”, a cui Mitterrand chiederà di svolgere il ruolo che il sociale ha avuto nella narrativa della sinistra, un sociale sacrificato sull’altare del narcisismo e dell’egoismo, dei diritti civili e della globalizzazione di questo presidente che veniva dall’estrema destra e dal fascismo francese ma parlava la lingua della sinistra per essere eletto da essa. Poiché la sinistra di popolo non ha funzionato perché godeva dell’oro del potere, essa ha saputo costituire un corpus ideologico alternativo. Ha quindi adottato il programma wokista dalle università americane. Quello che ho chiamato “il popolo della vecchia scuola” è stato sostituito da un “neo-popolo” composto da minoranze presentate come il sale della terra socialista. La celebrazione dell’immigrazione ha permesso alla sinistra di passare per progressista pur difendendo il nocciolo duro dell’ideologia padronale: il capitalismo; infatti, adora questa manodopera straniera non qualificata, poco attenta alle condizioni di lavoro, poco sindacalizzata, depoliticizzata, più attenta alla religione che alla rivoluzione. Ancora oggi c’è chi si presenta come di sinistra difendendo la stessa linea dei datori di lavoro sull’immigrazione, e il peggio è che non lo trova sorprendente!
–Ti consideri un ribelle, un libertino, un anarchico? E se è così, quali sono stati i maestri che hanno formato in te questa coscienza?
Sono un uomo libero che non ha più bisogno di etichette che sono tante stampelle che impediscono di camminare dritti… di arare dritti… Se dovessi ammettere un maestro, uno solo, anche se non ho mai fatto mistero su quanto Nietzsche e Proudhon abbiano contato nella mia formazione, contemporaneamente a Lucrezio e Montaigne, sarebbe… Catone il Vecchio, nostalgico di quelli che venivano chiamati Antichi Romani quando non esistevano già più. Nell’antica Roma repubblicana, ma non imperiale, mi sento a casa. Quella di Cincinnato e Muzio Scevola non di Nerone o Caligola.
-La morte è il grande tabù del secolo, il mondo del surrealismo capitalista secondo lei ha fatto della vita un feticcio della vita e della morte un vocabolo vietato?
La morte è il grande non detto della nostra civiltà al collasso e come nel caso di tutto ciò che non viene detto fa più rumore. In passato, la religione risolveva questo problema in modo immediato: la morte era solo un problema per coloro che avevano condotto una vita peccaminosa, al di fuori della religione. D’altra parte, per coloro che avevano speso la vita “morendo durante la vita” secondo i principi cristiani, l’ideale ascetico e la criminalizzazione della carne, il rigetto del corpo e il culto dell’anima immateriale, era la garanzia di una vita eterna in un corpo glorioso spogliato di ogni contingenza corporea. La morte era dunque il castigo di chi aveva vissuto male. Per coloro che avevano vissuto bene, cioè secondo i princìpi sanciti da San Paolo e che non avevano vissuto la loro vita quaggiù, c’era la certezza del paradiso. Per gli altri c’era l’inferno. Questa visione delle cose non tiene più banco, anche presso certi cristiani che a volte interrogo, compresi certi sacerdoti devoti del Concilio Vaticano II: Parusia, Giudizio Universale, risurrezione della carne, transustanziazione? Non credono più nella presenza reale del corpo di Cristo nell’Eucaristia, nell’immacolata concezione o nell’infallibilità papale! Invocano la storia, il simbolo, l’allegoria per estromettere il sacro e la trascendenza e ridurre la loro religione alla moralità moralizzante di uno scout. Quando Papa Francesco si mette in posa davanti alla foto di un Cristo cui fa indossare il gilet arancione indossato dai migranti nell’attraversamento del Mediterraneo dal Maghreb all’Europa, dice chiaramente che il cristianesimo è per lui solo la cinghia di trasmissione dell’ideologia globalista.
Da tempo, la morte è diventata un problema dissociato dalla sua soluzione religiosa, almeno in Europa. L’Islam è una religione potente che crede ancora nel paradiso e nell’inferno, e quindi in comportamenti terreni che rendono possibile ottenere la salvezza o la dannazione post mortem. Questo è ciò che gli dà la sua forza, il suo potere e la sua efficienza politica, terrena. Come risolvere allora l’enigma della morte senza l’aiuto spirituale di una religione trascendente? Per un ateo come me basta la sapienza epicurea: Lucrezio ci parla della morte che non ci riguarda: se ci sono io non c’è, quando c’è non ci sono più, questa è una rappresentazione della morte che non riguarda il presente per non comprometterne le potenzialità esistenziali edonistiche. Ma per gli altri che non sono a conoscenza di questa ipotesi filosofica? Serve la negazione, la negazione, il rifiuto di affrontare il problema faccia a faccia. Di qui il ricorso a tutto ciò che maschera gli effetti del tempo: rompere una vecchia famiglia e una vecchia coppia per ricomporre una coppia con un compagno più giovane, pensando che ci renderà più giovani; rifare con loro bambini che hanno l’età dei tuoi nipoti; tingersi i capelli, ricorrere al botox, vestirsi come un giovane, parlare la loro lingua, adottare i loro tic linguistici: “ci becchiamo”, “bella”!
Oltre alla negazione, possiamo indicare anche tutto ciò che rende possibile stordirsi, vale a dire praticare quello che Pascal chiama divertissement, ovvero il sesso facile, dalla pornografia ai luoghi di abbrutimento sessuale, passando per il poliamore compulsivo; andare in discoteca con musica che ti stordisca per un ballo tribale durante il quale lo scambio verbale è proibito a causa dei decibel. Ma anche il consumo di droghe, alcol, pillole come il DHB, la “droga dello stupro”. Aggiungiamo infine la dipendenza da giochi da schermo, tabacco, velocità, trasgressione, comportamenti azzardati in cui questa vita che sembra senza valore viene messa in gioco come una volgare somma di denaro al poker: una roulette russa che corre a velocità eccessive in auto o in moto, bravate sui tetti di treni o in metropolitana, rischiando decapitazioni, cadute, mutilazioni. Queste pratiche che cercano di ingannare la morte, è il caso di dirlo, fioriscono in tempi nichilisti e ne sono la massima espressione.
Il capitalismo ovviamente guadagna da queste strategie di negazione, intrattenimento e dipendenza: che l’individuo stordisca il suo corpo, il suo cuore, la sua anima, consumi, questo è tutto ciò che gli interessa. Il capitale si nutre di questa “servitù volontaria”.
–Nel mondo dell’ “euforia permanente” cosa significa per te essere un edonista? E in pieno nichilismo e crisi dei valori religiosi cosa significa il tuo ateismo?
Una domanda enorme! Ho creduto già a partire da molto tempo, è stato un quarto di secolo fa, che la fine del cristianesimo richiedesse di proporre nuovi valori alternativi fondati sulla filosofia. Così ho lavorato a questo progetto su basi etiche con La sculpture de soi, erotiche con Théorie du corps amoureux, bioetiche con Fééries anatomiques, didattiche con Antimanuel de philosophie, politiche con Politique du rebelle, estetiche con Archéologie du présent. È un ciclo che definirei edonistico. In questa direzione ho lavorato anche alla decostruzione di un certo numero di miti della nostra civiltà giudaico-cristiana: monoteismo con Traité de athéologie, psicoanalisi con Le crépuscule d’un idole, filosofia idealista con i dodici volumi della mia Contre-Histoire de la philosophie. Continuo questo progetto con l’arte contemporanea in un libro di recente pubblicazione Les anartistes. Sto anche lavorando a un progetto ateologico con una “biografia” di Gesù, in cui difendo l’idea che storicamente non sia mai esistito. È un ciclo, diciamo, demistificante.
Mi approccio a un ciclo di civiltà con Décadence. Questo libro fa parte di quella che ho chiamato con un po’ di ironia una “breve enciclopedia del mondo” perché ne sono stati pubblicati quattro volumi, ognuno di cinquecento pagine (Cosmos, Décadence, Sagesse, Anima, che esce tra due mesi) e altri due che sono in arrivo Barbarie, sul transumanesimo e Esthétique. A tutto ciò si aggiunge la pubblicazione di Patience dans les ruines, libro dedicato alla meditazione dei sermoni di sant’Agostino sulla decadenza. Un percorso però che mantiene una certezza: ero, sono e rimango edonista e ateo. Ma non sfuggirà a nessuno che sono passati più di trent’anni da quando il mio primo libro è apparso nel 1989 e che il mondo è cambiato: la fine dell’impero sovietico, il crollo spirituale del cristianesimo, l’ascesa dell’Islam politico, la cancellazione dell’Europa giudeo-cristiana, la tirannia ideologica dell’Europa maastrichiana, la diluizione della sinistra socialdemocratica nel liberalismo di destra più scarmigliato e, in questi giorni, uno tsunami ideologico con il wokismo proveniente dagli Stati Uniti, che presuppone uno schietto nichilismo! A meno che non si pensi al di fuori della Storia, senza di essa o malgrado essa, come un fanatico platonico innamorato delle idee pure, non si possono difendere le stesse idee allo stesso modo: penso ancora che Dio non esista, che la religione aliena gli uomini da loro stessi, che l’ideale ascetico è un castigo esistenziale infondato, che l’invocazione di Dio si riduca sempre a una risposta del clero, ma penso anche che il cristianesimo non ha più il monopolio della religione in Francia perché l’Islam ha preso il sopravvento.
Ero e sono ateo, ma l’urgenza ora non è sparare a un’ambulanza. Al contrario, credo che si possa difendere il cristianesimo senza essere credenti. Ho decentrato il mio ateismo. Continuo a pensare che la felicità sia il bene sovrano, quindi rimango un edonista. Ma non credo che la felicità risieda esclusivamente nel ritiro egoistico e narcisistico, tribale. Il piacere è un affare privato, intimo e personale, ma credo che questa felicità debba essere condivisa e che sia quindi una questione politica. Nessuna felicità è possibile in un mondo devastato dalla legge della giungla. Le condizioni di possibilità politica della felicità ora mi interessano più della natura della felicità o della critica di ciò che vi si oppone, siano essi ideali ascetici, religiosi o filosofici. Si possono sì criticare gli effetti deleteri dell’idealismo platonico e del suo ascetismo, ma possiamo anche formulare la domanda edonistica su come raggiungere la massima felicità per il maggior numero possibile? Questa è la mia domanda di oggi. Ho ampliato il mio edonismo, lo ho completato.
-Che immagine esce dell’Occidente dal suo confronto di 45 pagine su «Front Populaire» con Michel Houellebecq?
Michel Houellebecq e io siamo d’accordo nell’osservare che la nostra civiltà giudaico-cristiana sta crollando. Tengo a precisare che mi sembra difficile, salvo grave cecità, non sottoscrivere questa semplicissima osservazione. Scuola, giustizia, cultura, polizia, esercito, sanità, editoria, cinema, letteratura, giornalismo sono in avanzato stato di degrado. Chi nega la realtà della decadenza è lui stesso un decadente, un prodotto della decadenza. Divergiamo su alcuni punti: lui è contro l’eutanasia, io sono favorevole; lui è per la pena di morte, io sono contrario; lui difende la caccia, io no. Su altri siamo d’accordo: la critica all’Unione Europea, il rifiuto del mercato che detta legge, la necessità di una Frexit: siamo pochi nel mondo intellettuale francese a proporre questa soluzione. Sulla questione dell’Islam ragiona in termini demografici, io in termini di lunga durata della civiltà, il che non è in contraddizione, è questione del lasso tempo su cui ci si ferma a riflettere. Afferma che l’Islam opera per la distruzione della nostra civiltà, io invece penso che la nostra civiltà sia già distrutta e che l’Islam venga a stabilirsi sulle sue rovine: non distrugge, beneficia della distruzione. Formulo l’ipotesi che Michel Houellebecq sia nella posizione ontologica di chi attende la grazia cattolica. Non penso di ingannarmi dicendo che lui creda che il cristianesimo possa avere un ritorno di fiamma che consentirebbe la resistenza alla direzione presa della storia. Da parte mia, non credo. Difendo il cristianesimo da esteta, per di più da esteta ateo: sono come Plinio il Vecchio che pensa ai piedi del vulcano e muore tra le sue esalazioni tossiche. È finita, ma bisogna morire in piedi, come un romano, non piegare la schiena, non sottomettersi, né contribuire in alcun modo alla sottomissione. Ci resta solo questo: fare in modo che il nichilismo non ci attraversi sapendo che passerà. Paradossalmente, Michel Houellebecq è ottimista o meglio: ottimista quanto si può esserlo. Quanto a me, non sono pessimista, io non vedo il peggio nella vita, ma vedo la sua natura più profonda: il tragico. Cerco di vedere la realtà così com’è, e il reale non può essere altro che ciò che è, al di là del bene e del male. Con speranza, Michel Houellebecq fa un passo verso Dio; nella mia concezione tragica, Dio non c’è.
Intervista e traduzione a cura di Francesco Subiaco e Giovanni Balducci