Capo Bon, Tunisia. Da qui, 5 cavi subacquei di 155 km l’uno da ormai 42 anni attraversano il Mediterraneo adagiati sul fondale, facendo capolino nella riserva naturale di Capo Feto a Mazara del Vallo, in Sicilia occidentale: è il Transmed, fanalino di coda del gasdotto intitolato a Enrico Mattei, suo ideatore, che parte in Algeria, presso Hassi El Rmel, e rifornisce l’Europa dell’11% del gas, nonché l’Italia del 40% di quello da essa consumato. All’infuori dell’impatto ambientale sulla foresta di posidonia che si estende da Marsala alle Egadi e che assorbe fino a 20 000 tonnellate di CO2 all’anno, è importante notare che il gasdotto appartiene alla Sonatrach, la quale in collaborazione con Eni e Snam vorrebbe farne, in base agli accordi di libero scambio UE-Algeria del 2005 riguardanti soprattutto il fattore energetico, la base per il SoutH2Corridor, un progetto di trasporto di idrogeno dal Nord Africa all’Europa da realizzare entro il 2030, progetto in cui l’Algeria dovrebbe riuscire a produrre entro il 2040 oltre 1 milione di tonnellate di idrogeno all’anno ricoprendo così una frazione del mercato di idrogeno europeo equivalente a quella occupata oggi nel campo del gas fossile: oltre al fatto che questi soldi non andranno mai a sfiorare minimamente le casse dei comuni di Mazara del Vallo e di Marsala, e oltre al paradosso della transizione energetica “ecologica” a spese dell’ambiente marittimo e costiero, bisogna andare a vedere chi c’è dietro queste grandi compagnie.
L’Algeria é una nazione in forte crescita economica: gli ultimi rapporti ISPI evidenziano come il PIL reale sia cresciuto del 3% nell’ultimo semestre, seppur con un tessuto economico non inclusivo, molto disomogeneo nella distribuzione e poco diversificato nei settori di impresa (il 93% degli export e il 40% delle entrate fiscali derivano dagli idrocarburi), con una disoccupazione giovanile che tocca il 30%, e con anche l’inflazione che ha subito un incremento del 7% (nonostante un miglioramento rispetto alla situazione del 2023). Il Paese ha annunciato misure di sostegno all’attività innovativa per consolidare la propria posizione come pioniere africano dell’innovazione tecnologica. In barba al contesto economico stagnante per via della difficoltà degli accessi al credito, si è registrato inoltre un aumento degli scambi commerciali, forte anche dell’esperienza della Fiera Internazionale del Commercio Africano ad Algeri durante luglio, per mezzo della quale secondo le autorità algerine sarebbero stati siglati accordi per 40 miliardi di dollari. L’Algeria ha anche curato nel tempo i rapporti commerciali con la Cina: con un investimento da 4,7 miliardi di dollari in conglomerati industriali della China State Construction Engineering Corporation, l’Algeria punta a costruire il porto in acque profonde El Hamdania, che sarà costituito da 23 banchine e che avrà una capacità di movimentazione potenziale di 6,5 milioni di container all’anno, diventando il primo porto del Mediterraneo meridionale e il decimo del continente africano per capacità.
La novità maggiore relativa al potere di Algeri riguarda però il fronte diplomatico: essa è passata da essere una succursale delle volontà estere francesi a raggiungere una posizione predominante nel Mediterraneo, con un rapporto di pregiudizialità verso Parigi invertendo dunque i ruoli, in parte (sicuramente non del tutto) più per un’inefficienza della politica francese che per la bravura degli algerini, ancora lontani dalla stabilità interna ma ben allineati all’interno del mondo arabo e più in generale MENA, a differenza ormai del Marocco, con il coltello dalla parte del manico per quanto riguarda i rapporti col Sahel e con un’ottima diversificazione dei possibili partner, come conferma la nomina del nuovo ambasciatore algerino presso Minsk. L’Italia negli ultimi decenni è stata, e ora si riconferma, il partner strategico ottimale dell’Algeria in Europa. Ennesima prova ne è il forum imprenditoriale Italia-Algeria tenutosi a Roma lo scorso 23 luglio, dove il Ministro degli Affari Esteri algerino Ahmed Attaf ha confermato la convenienza reciproca del rapporto con il Belpaese, con scambi che sfiorano i 14 miliardi di euro annui e con l’Italia primo Paese cliente e terzo fornitore algerino dopo Cina e Francia. Ma che tipo di società troviamo in Algeria? Da cosa sono stati contraddistinti i suoi ultimi decenni?
Per capirlo dobbiamo tornare indietro al cosiddetto “Decennio Nero” della guerra civile (1992-2002). Un allora 40enne Abdelkader Haddad era in servizio presso il Centro Principale Militare d’Investigazione, sotto la direzione di Hossin Boulahya. In questo luogo, in quegli anni, Haddad si è guadagnato il curioso nomignolo di “El Jinn” (“il demone”), poichè si sospetta che sotto gli ordini del presidente Chedly Benjedid e dei relativi successori abbia progettato ed eseguito molti assassinii eccellenti, come quello del colonnello Kasbi Merbah; nel corso degli anni gli verranno dirette molte altre accuse, o encomi militari, a seconda dei punti di vista, come quella di aver partecipato all’addestrato del Fronte Polisario in Sahara Occidentale, di aver fatto da portavoce per i servizi segreti algerini con l’Iran e con varie milizie sciite come Hezbollah in Libano, di avere addirittura instaurato nel decennio scorso rapporti con le milizie salafite legate all’ISIS in funzione di destabilizzazione del Sahel (specie nei confronti del Mali) e di essere implicato nell’uccisione, nel 2023, del generale Jamil Laroussi, su ordine del capo dell’esercito Saïd Chengriha.
Ma andiamo per ordine. Nel 2015 Haddad era stato vittima delle purghe dell’allora Ministro della Difesa Gaïd Salah, agli ordini del Presidente Abdelaziz Bouteflika: El Jinn era scappato in Spagna, ad Alicante, dove aveva acquistato diversi immobili, come anche a Barcellona, grazie ad un accesso illimitato al credito bancario, che in Algeria è monopolio militare; intanto, l’allora capo della Direzione Generale della Sicurezza Interna ed attuale predecessore di Haddad, Jamil Mejdoub, non era stato altrettanto accorto, finendo in carcere con una condanna a 10 anni. Ma nel giro di qualche tempo la situazione si sovvertirà: nel 2019, con la morte di Gaïd Salah e la nomina a Capo di Stato Maggiore del già menzionato Saïd Chengriha, Haddad ci ripenserà, decidendo di farsi buono Bouteflika sostenendo il suo 4º mandato presidenziale. Haddad fa quindi ritorno in Algeria, ma nuovamente il vento cambia: vince le elezioni Abdelmajid Tebboune, che intende istituire, almeno in teoria, una Neuve Algérie, libera dall’oligarchia economico-militare dei generali. Le autorità di Palazzo El Mouradia congelano quindi i conti di Haddad presso il Credito Popolare Algerino, di cui licenziano il presidente Omar Boudieb per aver concesso prestiti abnormi al Forum dei Capi d’Impresa, più importante organizzazione patronale del Paese, e allo stesso Haddad: il pretesto è che i progetti finanziati con tali prestiti sarebbero non strutturati e privi di redditività.
Sotto inchiesta per i debiti insoluti di Abdelkader Haddad anche il presidente della Banca Centrale Algerina Achour Aboud, l’amministratore delegato della Cassa Nazionale per il Risparmio e la Previdenza Rachid Metref e l’ex-premier Ahmed Wyahia; verranno però tutti scagionati grazie al rinnovo della carica di Chengriha da parte di Tebboune, che sembra aver capito dove pende l’ago della bilancia. Nel 2020, Haddad andrà a condurre il Centro Antar, il principale centro del controspionaggio interno legato alla DGSI, tornata nel 2022 nelle mani dell’anch’egli riabilitato Jamil Mejdoub fino a luglio 2024, quando per motivi di salute relativi ad un ictus di Mejdoub la carica passerà anch’essa nelle mani di Haddad, che ha sostenuto nello stesso anno la rielezione di Tebboune. Tutto sembra filare liscio, quando il 26 giugno 2025 Tebboune, forse disturbato da qualcosa, ci ripensa su El Jinn e lo rimuove dal comando supremo del DGSI facendolo arrestare; due mesi dopo il Primo Ministro Nadir Larbaoui, il quale tanto si era impegnato nel curare le relazioni diplomatiche con Italia e Spagna, viene deposto in favore di Sifi Ghrieb. Haddad viene detenuto nel carcere militare di Blida, poi condotto a Bechar e infine gli vengono concessi i domiciliari nei dintorni di Algeri, da cui però sfuggirà. Tra il 18 e il 19 settembre parte la caccia all’uomo in quella che è la più grande operazione militare della storia recente algerina dagli anni della guerra civile: migliaia di militari in centinaia di posti di blocco e di compagnie di ricerca pattugliano le strade di Algeri e delle maggiori città della Repubblica democratica popolare. Ma un giorno dopo è tutto a posto: grazie a una mediazione col governo spagnolo tra Haddad e Chengriha, il 20 settembre El Jinn si riconsegna alle autorità algerine; quello che emerge dai portavoce spagnoli è che Haddad sia giunto da harraga (profugo) su di un barcone presso la sua amata Alicante, riuscendo a eludere i controlli, a raggiungere i trafficanti senza farsi riconoscere e a mascherarsi tra i migranti grazie alla sua esperienza nel controspionaggio, poiché temeva di essere ucciso da fazioni militari a lui ostili.

Per la fuga, probabilmente orchestrata da Chengriha, è stato messo sotto accusa Mahrez Jeribi, capo della Direzione Centrale della Sicurezza dell’Esercito. Chengriha, in debito quindi col governo Tebboune, ha dovuto distogliere l’opinione pubblica dallo scandalo della breve latitanza di El Jinn con un’operazione antiterroristica a Tebessa il 24 settembre nella quale sono stati eliminati 6 terroristi salafiti, rivelatisi quindi sacrificabili pedine utili però in altri momenti per destabilizzare Tunisia e altri possibili avversari. Nel frattempo, sono 5 gli ex-responsabili dei servizi segreti in carcere in questo momento: Mohammed Bouzit, Bemiloud Othman, Nabil Boubekeur e soprattutto Wassini Bouazza e Mehenna Jebbar. Sicuramente da quanto appena descritto emerge il ruolo verticistico di boss intoccabile detenuto da Saïd Chengriha e più in generale lo strapotere dei generali dell’Esercito Nazional Popolare algerino, strutturato in una sorta di mafia del credito bancario e del mercato immobiliare di cui Haddad e la sua cricca risultano i detentori, e non si parla di mafia a vanvera, siccome le prime infiltrazioni della ‘Ndrangheta nel mercato immobiliare algerino risalgono ancora al 2013, con lotti di decine di migliaia di appartamenti acquistati in modo da ripulire denaro appartenente alla ‘ndrina crotonese “Grande Aracri”. E proprio attraverso la ‘Ndrangheta si arriva al successivo quesito. Perché Tebboune è nuovamente arrabbiato con Haddad? La risposta potrebbe risiedere nella riapertura, con Haddad al comando del controspionaggio interno, di vecchi casi relativi l’entourage di Abdelmajid Tebboune concernenti il contrabbando di sigarette e il traffico di cocaina, forse un tentativo di ricatto da parte del Jinn nei confronti della presidenza. Andiamo per ordine.
Da anni Zoheir Khelaf, grande finanziatore di Tebboune, è vicepresidente della STAEM, la joint venture algerino-emiratina legata a Philip Morris, e della stessa Union Tobacco Company emiratina. In realtà, si può dire che Khelaf faccia da prestanome al socio di maggioranza di entrambe le società, il magnate degli Emirati Arabi Uniti Ahmed Hassan Abdulqahar Al Shaibani, a sua volta mano della Philip Morris International nel commercio clandestino di sigarette, specialmente per quanto riguarda Marlboro ed L&M egiziane, da quando l’affarista israeliano Raoul Setrouk ha voltato le spalle, almeno sulla carta, alla multinazionale del tabacco. Molte di queste sigarette vengono prodotte in Corea del Sud, in Sudafrica o nel sud-est asiatico e vanno poi in Libia, Tunisia e infine nelle mani di Cosa Nostra, ma la maggior parte di quelle che arrivano ad Algeri si dirigono verso il mercato francese. Khelaf ed Al Shaibani si servivano come holding del gruppo statale algerino Madar, gestito dall’ex-presidente della Federazione Calcistica Algerina Charaf Eddine Amara, licenziato dopo l’arresto di Khelaf a fine luglio 2024 per mano di Haddad. Tebboune potrebbe essersi sentito minato nella sua credibilità dopo la perdità di un così rilevante finanziatore, ma non è affatto finita qui.
Facendo un altro salto nel recente passato, nel 2018 Khaled Tebboune, il figlio dell’attuale presidente, lavorava da ben 10 anni nella già enunciata Sonatrach come vicedirettore della divisione associazioni, quando venne posto sotto custodia cautelare per il coinvolgimento di alcuni alti funzionari statali a lui vicini nel traffico di cocaina in seguito al sequestro di 701 kg di tale sostanza, rinvenuta all’interno di un carico di carne proveniente dal Brasile. Il carico era da parte di un importante commerciante libanese vicino alle milizie sciite ed era diretto a Kamel Chikhi, soprannominato “El Bouchi” (“il macellaio”) per via del suo rilievo nel commercio della carne in Algeria, ma la cui vera ricchezza è data dalla partecipazione ingente al tesoro immobiliare del clan dei generali. La spina nel fianco nei confronti di Tebboune e della stessa Sonatrach proveniva forse da Chengriha, all’epoca Comandante delle Forze di Terra, come vendetta per la campagna elettorale di Tebboune fatta contro l’issaba (banda) degli oligarchi degli appalti pubblici nella quale il comandante si é sentito chiamato in causa? Sta di fatto che la vicenda venne misteriosamente gestita dalla gendarmeria anziché dalla polizia e che l’anno seguente, nel 2019, El Bouchi è stato condannato a 10 anni di carcere per corruzione e tentativo di ricatto nei confronti della Sonatrach, che ha così potuto lavarsene le mani dello scandalo, mentre l’anno seguente Khaled é stato assolto, sostenendo di essere stato incastrato e che l’unica prova a suo carico fosse una valigetta ricevuta da Chikhi contenente in realtà non soldi ma una scatola di profumi, e al suo posto é stato condannato, l’ex-direttore del DGSI Wassini Bouazza, forse per sabotare ulteriori indagini o rispondere alle intimidazioni dell’issaba.
Ma la rotta della cocaina in Algeria è rimasta attiva, come verificabile dai continui sequestri che avvengono tra le acque spagnole e quelle internazionali. È infatti tramite le milizie di Hezbollah con rapporti col Brasile, dove vive una comunità di oltre un milione di libanesi, che elementi vicini alla cricca dei generali ad esso vicini potrebbero aver conosciuto contatti, forse calabresi come confermato dagli interessi immobiliari ‘ndranghetisti nella terra berbera e vista la loro egemonia specie nel decennio scorso nella rotta brasiliana di questo mercato illecito, in grado di garantire un rifornimento, non eccezionale, sempre nell’ordine di qualche centinaio di quintali e mai di tonnellate, volto a raggiungere come nel caso delle sigarette di contrabbando il mercato francese, in particolare Marsiglia, dove la cosidetta DZ Mafia (il narcobanditismo algerino ormai non più microcriminale poiché infiltrato nel tessuto sociale e politico della città) sfida i clan della Mocro Mafia, il competitor marocchino più affermato a livello internazionale, come lo Yoda Clan (dal nome del personaggio di Star Wars presente come logo sulle panette di hashish) a colpi di kalashnikov e di fucili a pompa, servendosi spesso di ragazzini come sicari.
Ma ormai sembra che della criminalità organizzata algerina in Francia se ne preoccupino più gli stessi algerini dei francesi, come testimonia l’indifferenza delle autorità francesi e l’impunità delle azioni di fuoco a Marsiglia, ultima delle quali l’assassinio di Mehdi Kessasi, giovane franco-algerino impegnato nella battaglia contro il narcotraffico giovanile per il riscatto della propria comunità, lo scorso 13 novembre. Ma tornando agli attriti tra Haddad e la famiglia Tebboune, il 21 giugno 2022 l’amministratore delegato di Sonatrach Toufik Hakkar aveva, a distanza di 2 anni dalla sua prima assoluzione, proposto a Khaled Tebboune di tornare da loro con una nuova carica: quella di capo di gabinetto. Khaled dopo 3 giorni rifiuta, in quanto il padre, ben vigile visto il clima pesante, aveva fiutato l’odore di una possibile trappola volta ad incastrare il figlio, analoga a quella da cui egli era riuscito a sottrarlo 4 anni prima (secondo la versione sostenuta dai due). Ciò potrebbe essere stato confermato dalla riapertura del fascicolo su Khaled nel luglio 2024, con l’annuncio di un nuovo processo nel luglio 2025 ancora non fissato (e chissà quando lo si farà…).
Da questa storia, che si voglia credere o meno a una fazione o all’altra, emerge che in Algeria oggi come ieri appalti e licenze vengono assegnate in base agli interessi dei generali, i quali controllano il mercato immobiliare, e non solo, dentro e fuori l’Algeria, limitando l’accesso al credito per gli imprenditori non compiacenti. Questo è quanto sostenuto anche dal blogger Amir DZ, al secolo Amir Boukhors, antagonista dell’inquieta oligarchia algerina sin dal precedente governo Bouteflika e per questo residente in Francia dal 2018, il quale nell’aprile del 2024 è stato sequestrato e torturato per 26 ore; 1 anno dopo, lo scorso aprile, sono state arrestate in Francia 4 persone, ed è emerso che una di queste era un dipendente del Consolato algerino a Créteil, vicino Parigi, operante nell’OFPRA (Organizzazione Francese per la Protezione di Rifugiati ed Apolidi) ma legato in realtà alla Direzione Generale della Sicurezza Estera algerina del già accreditato Mehenna Jebbar. Insomma, l’Algeria ha un’ottima considerazione dell’Italia, che già durante il Ventennio ne ha aiutato l’indipendenza dalla Francia e che ha poi con Mattei contribuito a farla sognare: saremo in grado di gestire un partner così internamente turbolento?