L'editoriale

Mario Draghi, la “finestra americana” e i Cinque Occidenti

Matteo Renzi ha sfruttato l'elezione di Joe Biden per spingere Matteo Salvini - che aveva urgenza di riaccredditarsi al livello internazionale - nel convincere l'ex capo della Bce, con l'intermediazione di Giancarlo Giorgetti, ad accettare l'incarico da premier (con queste forze parlamentari in fase di implosione).
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In molti pare non capiscano che l’incensamento (molto provinciale) della figura di Mario Draghi da parte dei giornali è in realtà un banalissimo e frettoloso riposizionamento editoriale dettato dall’incapacità di “controllare” la scacchiera informativa e strategica che sfugge completamente ai grandi direttori. La decisione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spiazzato tutti quanti, non solo Il Fatto Quotidiano, che sta pagando più degli altri questo stravolgimento repentino dello scenario politico. Fino a prima dell’estate, erano i tempi degli Stati Generali, l’ormai ex premier Giuseppe Conte sembrava intoccabile. L’opposizione nazionale era troppo debole e disorganizzata, mentre Confindustria – non un potentato politico-economico in questo contesto storico, bensì il rappresentante dei piccoli e medi imprenditori-produttori “proletarizzati” dall’epidemia – da sola contro i DPCM, non aveva scampo. “L’Avvocato del popolo”, blindato a Palazzo Chigi, continuava a crescere nei consensi (spalleggiato da una rete mediatica che alimentava la sua narrazione dello stato di emergenza) e parallelamente ampliava la sua rete di relazioni in vista delle prossime elezioni. Ma non era il solo, come ricordava a settembre Augusto Minzolini sul Giornale riportando il faccia a faccia tra Giancarlo Giorgetti, eminenza della Lega e vero regista della strategia del Carroccio, e il nuovo premier incaricato Mario Draghi.

Troppo spesso però i cronisti si dimenticano che l’Italia è un Paese a sovranità limitata, e i suoi equilibri interni sono strettamente collegati a quelli esterni. Occorreva studiare più approfonditamente le conseguenze dell’elezione di Joe Biden sul nostro Paese, per capire come sarebbe andata a finire. Del resto, Giancarlo Giorgetti, aveva usato parole importanti, per chi sa leggere tra le righe, nel colloquio informale con Antonio Polito pubblicato dal Corriere della Sera il 16 dicembre, cioè in un momento in cui sono in pochi a scommettere che il leader di Italia Viva possa andare oltre la richiesta di un rimpasto.

“Tre mesi fa ho detto a Salvini; guarda che tu devi sperare che vinca Biden. E sai perché? Perché Renzi è suo amico, o almeno crede di esserlo, e con lui alla Casa Bianca si sentirà più forte, penserà di avere l’arma nucleare, e magari sarà disposto a forzare la mano e a rischiare”.

Giancarlo Giorgetti

Poi aveva fatto notare che il leader di Italia Viva aveva «postato una sua foto con il nuovo Mr. President, come a dire: in Italia mi sottovalutate, ma io ho amici potenti». Non a caso, poco dopo Matteo Renzi, aprendo la crisi del Governo Conte II, ha insistito e bersagliato temi sensibili per Washington, tra questi la delega di “Giuseppi” ai servizi segreti italiani. Di tutto questo, anche noi già ne scrivevamo su queste colonne digitali a inizio dicembre, definendola appunto una perfetta “psyop”. Il leader Italia Viva, sicuro di vincere il braccio di ferro con i “dalemiani” nel rapporto con i Dem statunitensi, lanciava un doppio segnale: a Washington e in Via Bellerio. Chi doveva capire avrebbe capito. Si era aperta la “finestra americana” ed era arrivato il momento per Mario Draghi – personalità conosciuta dalle agenzie di rating, stimato dall’establishment americano, quando parlò ad Harvard, l’ex rettore Lawrence Summers lo presentò pronunciando le parole “my good friend”, e rispettato dalla Germania di Angela Merkel per aver “salvato l’euro” con il suo Whatever it takes – di affacciarsi. Lo aveva detto sempre Giancarlo Giorgetti, in quell’intervista: “c’è un’altra maggioranza già pronta e lo sanno tutti”.

https://twitter.com/IntDissidente/status/1350129510486781952

Ma per capirla fino in fondo questa “finestra americana” occorre studiare la dinamica dei “Cinque Occidenti”. Con la mancata elezione di Donald Trump infatti, non si è decomposta “l’anglosfera” (vedi la decisione di Joe Biden di levare il busto di Winston Churchill dalla Stanza Ovale, il giorno del suo insediamento), ma tutta la sfera occidentale. Stati Uniti, Inghilterra, Israele, Vaticano e Unione Europea, giocano oggi su dimensioni completamente diverse, a volte in competizione, altre di cooperazione. Con il nuovo inquilino della Casa Bianca, torna anche il “multilateralismo” ovvero la volontà degli Usa di condividere (e imporre) ai tavoli internazionali (Nato, Onu, Oms, ecc.) le grandi decisioni strategiche. Di fronte a questo switch, Inghilterra e Israele, che avevano ampiamente anticipato lo scenario, si sono sganciate per diventare, il primo “un piccolo regno del Nord dell’Europa” (per citare Sergio Romano), il secondo invece un “piccolo regno del Vicino e Medio Oriente”. Da qui l’applicazione del bilatelarismo multi-direzionale da parte di Londra (vedi ad esempio i recenti accordi con la Turchia all’indomani della Brexit), e il perseguimento nazional-individualista di Tel Aviv sulla politica delle vaccinazioni e l’obiettivo di risolvere le questioni regionali da sé e con i suoi nuovi partner (vedi il cosiddetto “Patto di Abramo”). Mentre il Vaticano, forte della sua autorità spirituale, senza pregiudizi, si proietta lungo la Via della Seta, per ragioni anche geopolitiche chiaramente.

Gli equilibri sono sottilissimi, infatti Joe Biden, cattolico, con la foto di Papa Francesco sulla scrivania, ha bisogno di Roma. Non solo per monitorare la Cina dalla cupola di San Pietro, ma anche perché una politica distensiva con l’Unione Europea, sempre più indipendente dalle logiche americane, è necessaria per perseguire la dottrina anti-cinese e anti-russa cominciata dal suo predecessore. Con Mario Draghi, l’Italia, e con lei anche gli Stati Uniti, hanno la possibilità di inserirsi nell’asse franco-tedesco, e contenere le sue ambizioni. È una partita complessa. In silenzio, osserveremo e uniremo i puntini.


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