Ad un mese dalle elezioni presidenziali la guerra in Ucraina si impone e conquista il dibattito politico francese, facendo passare in secondo piano tutto il resto, pandemia compresa. C’è chi ha detto ‘la campagna elettorale inizia ora’: ai candidati la responsabilità di indicare la via migliore per tenere testa agli anni difficili che si annunciano. Il ritorno del tragico nella storia ci costringe a rivedere i nostri piani. L’invasione dell’Ucraina non significa solamente rispondere efficacemente all’emergenza, ma implica un ripensamento del più complesso assetto geopolitico. La crisi energetica, la sicurezza nazionale, il ruolo dell’Europa e della Nato, la corsa agli armamenti e le centrali nucleari: la rottura dei fragili equilibri internazionali è il ritorno del rimosso in una campagna elettorale dai toni spenti.
È in questo scenario, che Emmanuel Macron si è rivolto ai francesi il 2 marzo, con un discorso solenne in cui viene svelata tra le righe la sua ricandidatura, confermata il giorno successivo con un messaggio ai francesi nelle pagine del quotidiano Le Parisien. Preparato, deciso, sicuro di sé e patriottico: le abilità comunicative di Macron sono indubbie ed il ruolo di mediazione nel conflitto non fa che ulteriormente consolidare la sua posizione.
Il Presidente francese si trova senza dubbio nel suo elemento: tra le telefonate con Putin nelle ore più difficili e la presidenza del Consiglio dell’UE sta dando prova della sua centralità nello scacchiere internazionale. Non ha avuto nemmeno bisogno di annunciare le sue posizioni. Quando il 5 marzo tenne il suo primo incontro da candidato a Poissy, a chi gli chiese se fosse pronto un programma En Marche, Macron rispose in maniera molto vaga, rilanciando l’idea di un programma semplice e fatto di temi condivisibili che verrà svelato nei giorni a venire. Insomma, di programma non se n’è vista l’ombra: ma d’altronde dirà lui, chi meglio del Presidente può fare il Presidente? In effetti, i consensi in pochi giorni sono saliti vertiginosamente, posizionando il leader En Marche al 30,5% nei sondaggi, uno score mai realizzato prima.
Per non farsi mancare nulla, è recentemente uscito il primo episodio della webserie dal titolo ‘Le Candidat’ in cui Macron, sotto la luce tiepida della lampada del suo bureau, leva lo sguardo dalle sudate carte per rivolgersi direttamente agli chers compatriotes. In questa bolla di intimità, ricavata con un’inquadratura stretta sul volto e una musica in sottofondo, Macron fa un discorso sulla fiducia, sul futuro della Francia nei contorni della guerra in Ucraina e su tutte le incombenze a cui il Presidente-eroe-candidato deve rispondere per il bene del Paese.
L’uso dei social e delle nuove piattaforme è un classico della strategia comunicativa Macron, che già nel marzo 2021 aveva sfidato gli youtubers francesi Mcfly e Carlito a fare un video sui gesti barriera, promettendogli in caso di buzz di fargli girare un video all’Eliseo. Questo uso dei media per fare propaganda è stato da molti criticato, in quanto scavalca le regole del tempo di parola imposto ai candidati alla presidenza. È una strategia che in realtà ritroviamo un po’ à droite et à gauche in tutti candidati e le candidate, che si tratti di Zemmour o di Mélenchon. D’altra parte, quando è il governo a farlo, quella linea di confine tra informazione della Res Publica e propaganda diventa molto sottile, e dunque, molto pericolosa.
Nonostante i sondaggi in crescita e la buona comunicazione mediatica, rimangono ancora delle ombre sul quinquennat En Marche. Macron si è presentato quattro anni fa come Presidente riformatore e si ricandida ora come portatore di stabilità. É stato un mandato intenso, un condensato di storia, da cui possiamo trarre numerose conclusioni. La prima, è che se Macron crea consenso in una buona parte della popolazione, al contempo vi è un’altrettanta porzione che condanna duramente il suo operato. Se per alcuni suoi predecessori – come François Mitterand – vi è un’opinione generalmente uniforme e consensuale, per Macron, come per Sarkozy prima di lui, il clivage è assicurato.
Dopo un inizio promettente, con una vittoria al secondo turno del 66,1% dei voti contro Le Pen, già dal secondo anno i toni iniziano a cambiare. Nel luglio 2018 scoppia l’affaire Benalla: l’uomo di fiducia di Macron e responsabile della sicurezza all’Eliseo è accusato di aver usurpato la funzione di poliziotto durante le proteste dei lavoratori del Primo Maggio e di aver picchiato e arrestato i manifestanti. Lo scandalo compromise immediatamente l’immagine del Presidente, che presto sarà travolto da nuove contestazioni, ben più massicce, come non se ne vedevano da anni. È il novembre del 2018 e inizia a prendere forma il movimento dei Gilets jaunes. Una scintilla che in qualche mese riuscì a portare nelle piazze centinaia di migliaia di francesi in collera contro lo Stato. Del resto, non si trattava solo del prezzo della benzina ad aumentare: dal primo anno di governo la politica economica regressiva e neoliberale di Macron portò all’esplosione delle disuguaglianze. La ricetta dell’ex Rothschild si compone di più ingredienti messi a punto durante tutto il quinquennat. Tra gli altri, l’abolizione dell’imposta sulla ricchezza (l’ISF ora trasformata in IFI Imposta sulla Fortuna Immobiliare), l’introduzione di una flat tax sui redditi da capitale (PFU), e la famigerata riduzione dei sussidi per l’alloggio (APL) che colpì il 39% degli studenti nel 2021.
Di fronte alla forza del movimento dei Gilets jaunes, l’Eliseo fu colto alla sprovvista. Macron allora promise rivolgendosi ai manifestanti ‘di trasformare la collera in soluzioni’. Ma le dichiarazioni del Presidente al posto che apaiser les esprits, porteranno ad un aumento di intensità nel conflitto. Seguirà una repressione durissima: 2500 i feriti dalla parte dei manifestanti, 1800 i poliziotti. Per la prima volta osserviamo un impiego di forze armate inaudito, autorizzate all’uso di lacrimogeni e LBD40, noti anche come flashballs. Arma subletale, vietata in molti paesi, non è progettata per uccidere ma può ugualmente causare ferite molto gravi: secondo Amnesty International 24 persone avrebbero perso un occhio e cinque la mano a causa dei colpi degli LBD durante le manifestazioni. La violenza della polizia travolge anche l’80enne Zineb Redouane, uccisa da un lacrimogeno.
Dai Gilet jaunes in poi si assisterà ad una escalation di violenza del governo in tutte le sue forme: dalla repressione poliziesca ai discorsi di odio. Non solo infatti osserviamo la mise en place di uno Stato di polizia, ma la droitisation si insinua anche nei temi e nelle parole d’ordine. Così, quando il 16 ottobre 2020 l’insegnante Samuel Paty viene brutalmente assassinato dal terrorista Abdoullakh Anzorov, un ragazzo di 18 anni, l’islamofobia torna nuovamente ad essere al centro del dibattito politico. Qualche mese dopo, l’Assemblée Nationale voterà in Parlamento la legge di rafforzamento dei Principi Repubblicani, la quale si focalizzava senza neanche troppo nasconderlo proprio sull’Islam, considerato da molti come ‘non conforme’ ai principi della Repubblica. Queste tesi tradizionalmente di casa al Rassemblement National, saranno abbracciate dagli stessi ministri di Macron, come Gérald Darmanin e Frédérique Vidal, la Ministra dell’insegnamento superiore che domandò di aprire un’inchiesta su certi campi della ricerca universitaria francese, a suo dire di matrice militante e islamo-gauchiste (letteralmente islamismo di sinistra).
Come ultimo atto di una presidenza intensa arriva la crisi pandemica. Il bilancio è pesantissimo, più di 137 mila i morti. Anche sulla gestione del Covid-19, Macron polarizza l’opinione pubblica tra chi si dice soddisfatto della gestione della crisi e chi profondamente scontento. Ciò che è sicuro, è che la situazione di emergenza ha lasciato ancora più spazio alla personalizzazione ed accentramento del potere, già saldo nelle mani del Presidente. Dei finanziamenti a pioggia stanziati dal governo durante la pandemia, i veri gagnants sono le aziende e le multinazionali francesi, i cui profitti sono aumentati in modo esponenziale. Secondo un rapporto Oxfam, la ricchezza dei miliardari francesi è aumentata più velocemente nei 19 mesi della pandemia che in oltre 10 anni. Da marzo 2020 a ottobre 2021, la loro ricchezza è cresciuta dell’86%, per un guadagno di 236 miliardi di euro.
In conclusione, al forte entusiasmo macronista raccontato nei sondaggi non bisogna nascondere il dilagante malcontento che ha attraversato l’intera presidenza. Il riavvicinamento alla figura del Presidente potrebbe essere una risposta emotiva del momento più che un vero convincimento degli elettori. Il prossimo mese sarà dunque decisivo: il malcontento diffuso potrebbe soffiare nella direzione di altre forze politiche di estrema destra che nel solco dell’insoddisfazione e dell’odio hanno costruito la loro campagna elettorale. I Gilets jaunes che nel 2018 prendono l’Arco di Trionfo e portano centinaia di migliaia di francesi nelle piazze per protestare contro l’aumento del prezzo della benzina potrebbero non essere solo un lontano ricordo. Ad ogni modo, se Macron dovesse essere rieletto, è probabile che punterà a far passare la riforma delle pensioni e dell’indennità di disoccupazione che non poté completare durante questo mandato. A quel punto, non è difficile prevedere nuovi cicli di proteste che travolgeranno l’Eliseo.