Il mondo sta attraversando cambiamenti profondi, che segneranno i prossimi decenni e disegneranno la nuova mappa sulla quale tutti gli attori (Stati, aziende, fondi d’investimento, istituzioni, ecc.) dovranno agire e operare.
In queste ultime settimane sono stati due gli interventi che hanno sancito un cambio di passo da parte dell’Amministrazione USA, che hanno quasi definito una dottrina rispetto alla competizione in atto con la Cina e all’attuale quadro internazionale.
Il primo intervento, avvenuto lo scorso 20 aprile presso la Johns Hopkins School of Advanced International Studies, ha visto il Segretario del Tesoro Yellen definire la strategia economica degli Stati Uniti verso la Cina, il secondo intervento, il 27 aprile presso il Brookings Institution – il principale think tank americano, da parte del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan ha definito in modo più chiaro e ampio la strategia di sicurezza nazionale, con numerosi elementi economici, degli Stati Uniti verso la Cina e verso i partner internazionali.
Sullivan fornisce un quadro interpretativo di tutti i recenti atti emanati dall’Amministrazione Biden (infrastrutture, CHIPS Act, IRA, ecc.) in chiave internazionale e geoeconomica, definendo il terreno di confronto con la Cina e le altre nazioni che mirano a mettere in discussione l’attuale ordine internazionale.
Il discorso di Sullivan mette altresì in discussione il concetto di globalizzazione per come lo abbiamo conosciuto fino a qualche tempo fa, introducendo elementi di sicurezza e di ridisegno delle catene globali del valore (GVC) basati su nuovi paradigmi orientati alla vicinanza geopolitica e non a criteri esclusivamente economico-finanziari, di fatto riprendendo il concetto di friend-shoring introdotto da Yellen il 13 aprile 2022 nel corso di un intervento presso l’Atlantic Council.
Infine, Sullivan menziona i settori di confronto del futuro, laddove sarà necessario uno sforzo politico ed economico da parte dello Stato per supportare una sfida che non può essere lasciata esclusivamente nelle mani delle aziende, proponendo la costituzione di partnership pubblico-private in grado di favorire le sinergie fra questi due mondi, spesso divergenti ma oggi obbligati a contare l’uno sull’altro.
Un confronto che, oltre ad essere tra settori, vedrà sempre più numerosi Stati agire da pesi della bilancia, elementi con cui costruire alleanze variabili da un punto di vista di interessi e di periodo, come spiegato bene da Jared Cohen (President of Global Affairs and Co-Head of the Office of Applied Innovation di Goldman Sachs) in una recente analisi.
Quale risposta potrebbe dare l’Italia rispetto a questa nuova strategia e quali opportunità esistono?
L’Italia ha un governo guidato da un Presidente di orientamento saldamente atlantico, gode di un sistema industriale competitivo e in fase di espansione internazionale – come mostrato dai dati sugli FDI italiani verso il mondo e gli USA in particolare.
Se da un lato occorre tracciare una traiettoria geopolitica, che il governo sta tracciando partendo dall’annunciato piano Mattei destinato all’Africa – che deve essere riempito di contenuti ma che va nella giusta direzione – passando per la decisione da prendere sul rinnovo o meno del Memorandum of Understanding con la Cina sulla Belt and Road Initiative (BRI), definendo in modo chiaro e univoco i punti di riferimento della nostra politica estera (rapporto transatlantico come priorità massima), dall’altro è ineludibile declinare in strategia geoeconomica la nostra proiezione internazionale.
Per fare questo, definendo una gerarchia decisionale chiara e semplice in grado di inquadrare al meglio il nostro interesse nazionale e di tutelarlo, merita di essere considerata la proposta effettuata dall’ex senatore Luigi Zanda (apparsa sul quotidiano La Repubblica lo scorso 18 aprile) che proponeva la costituzione di nuova holding industriale che avesse in gestione tutte le partecipazioni statali strategiche, realizzando un unico centro di definizione e implementazione della politica economica internazionale dell’Italia, in continuo dialogo con il governo.
Un progetto che dovrebbe ricalcare l’idea – diversa negli obiettivi – del Prof. Giuseppe Guarino circa la creazione di superholding che fungano da “centro di controllo” della politica industriale italiana e che diano forza e competitività al nostro sistema economico.
Questa opera di razionalizzazione dell’assetto organizzativo costituirebbe l’opportunità per poter finalmente definire una strategia economica internazionale in base al nostro interesse nazionale, allineando tutte le aziende controllate sullo stesso spartito, che verrebbe poi declinato in modo diverso a seconda dell’industria e dello scenario competitivo.
Per queste ragioni il processo di nomina degli Amministratori (Presidente e Amministratore Delegato) delle società partecipate e dello stesso Consiglio di Amministrazione è un’operazione delicata non soltanto dal punto di vista politico interno ma anche, se non soprattutto, dal punto di vista internazionale, riprendendo quanto descritto molto bene da Sullivan.
Le nomine effettuate dal Governo Meloni sono perciò una testimonianza del posizionamento politico internazionale dell’esecutivo, un messaggio mandato non solo agli investitori internazionali, ma agli osservatori esterni, delineando la postura che l’esecutivo assumerà dal punto di vista economico, industriale e geoeconomico.
La risoluzione di partite industriali delicate (TIM, ILVA, ecc.) saranno ulteriori banchi di prova in cui esigenze industriali, economiche, di sicurezza e geopolitiche si confrontano tra loro con l’auspicio che gli attori in campo trovino una soluzione in grado di soddisfare tutti i vincoli presenti.
L’epoca in cui viviamo è profondamente diversa da quella di qualche anno fa, oggi il confine tra pubblico e privato, tra politica ed economia è molto più sottile e opaco, richiedendo pertanto competenze diplomatiche, negoziali, relazionali e “politiche” molto più spiccate rispetto al passato, in cui legge e finanza erano necessarie e sufficienti.
Come ben argomentato da due professori – David Lee e Brad Glosserman – in un recente articolo su Harvard Business Review, viviamo nell’epoca della National Security Economy, dove approcci innovativi e nuove competenze saranno fondamentali per competere in questo nuovo, incerto e avvincente scenario.