In queste ore Stati Uniti ed Unione Europea, hanno preso una ferma e decisa posizione attuando quello che viene definito “un piano sanzionatorio senza precedenti” nei confronti della Federazione Russa, per contrastare le operazioni dell’esercito di Putin in Ucraina. Abbiamo visto come la semplice minaccia di “durissime sanzioni” non sia bastata a frenare l’interventismo russo, dobbiamo chiederci a questo punto se e in che modo, la loro applicazione potrà essere utile per fermare questo conflitto i cui sviluppi restano imprevedibili. Partiamo da un presupposto di fondo, le sanzioni economiche non hanno mai funzionato benissimo.
Dalla fine della guerra fredda il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha affrontato molte crisi internazionali con l’arma delle sanzioni, ma si stima che solo in pochissimi casi si siano rivelate davvero efficaci. In questo mondo globalizzato e ipertecnologico i confini fisici sono per lo meno porosi, i controlli doganali sono difficili anche per le nazioni più sviluppate e le legislazioni nazionali ed internazionali sono assolutamente inadeguate a rendere pienamente applicabile qualsiasi sanzione. In un recente articolo Robert A. Pape, politologo dell’Università di Chicago, ha dimostrato come le sanzioni economiche siano efficaci solo nel 5% dei casi. Gli Stati moderni non sono affatto fragili, sia a livello politico che a livello economico, e spesso la minaccia esterna finisce per essere aggirata da partner commerciali più o meno compiacenti, e rende i leader di queste nazioni più forti o comunque sufficientemente stabili.
Di certo i vari programmi di sanzioni, unilaterali o imposti da organismi sovranazionali, non hanno fermato il programma di nuclearizzazione della Corea del Nord, così come non hanno intaccato il potere di Chavez prima e Maduro oggi in Venezuela, ed anche in Iran e a Cuba non hanno sortito l’effetto desiderato. E la Russia di Vladimir Putin è certamente una Nazione molto meno vulnerabile rispetto a quelle citate. Dobbiamo ricordare che è dal 2014, con la guerra nel Donbas e l’annessione della Crimea, che la Federazione Russa è soggetta ad una serie di misure economicamente punitive da parte del mondo occidentale. Congelamenti di beni all’estero per privati e istituzioni, restrizioni per l’accesso ai prestiti, divieto di mobilità per merci e persone, soluzioni che però non sembrano aver minimamente intaccato la posizione di Putin.
Recentemente all’ambasciatore russo a Stoccolma, Viktor Tatarintsev, è stato chiesto se temeva le nuove sanzioni largamente anticipate, e la sua risposta è stata piuttosto secca: “mi perdoni il linguaggio, ma delle vostre sanzioni non ce ne potrebbe fregare di meno. Ne abbiamo già in essere così tante che in qualche modo hanno avuto un effetto positivo sulla nostra economia e sulla nostra produzione agricola. Siamo diventati molto più auto sufficienti e siamo comunque stati in grado di aumentare le nostre esportazioni.” Spavalderia e buona dose di propaganda a parte, è vero che in questi anni la Russia ha preso molte contromisure mirate a rendere più sopportabili, se non del tutto inefficaci, nuove restrizioni. Per fare un esempio ha accumulato ingenti riserve di valuta internazionale che potranno essere usate a tempo debito per sostenere il Rublo, stiamo parlando di 630 miliardi di dollari, un terzo del PIL russo. Ha stretto rapporti sempre più stretti con una serie di paesi considerati “affidabili” che potranno, almeno in parte, alleviare le problematiche relative alle sanzioni.
Certamente Putin si è accollato un rischio, non solo militare, nell’affrontare quelle che lui definisce “special operations” in Ucraina, ma certamente una operazione così attentamente pianificata sul piano bellico, non poteva non prevedere anche le ricadute in campo economico. Il vero problema, a nostro avviso, non risiede nella innegabile volontà di colpire la Russia, in questo Europa, Stati Uniti ed in generale tutto il blocco occidentale appare compatto, bensì consiste nel fatto che appare evidente quanto non tutti siano disposti a sopportarne le pesantissime conseguenze.
Si sente parlare di “asimmetria” sanzionatoria, ed è la situazione che si sta prospettando. Da una parte gli Stati Uniti, con un Biden alla disperata ricerca di un recupero di consensi in vista delle elezioni di medio termine, convinti sostenitori della linea della fermezza ma che non sarebbero minimamente intaccati dall’effetto delle sanzioni vista la marginale interdipendenza economica tra Usa e Russia. Dall’altra l’Europa che vede nella Russia un importantissimo partner commerciale, e che di certo pagherebbe un prezzo altissimo a livello di tessuto economico, in caso di inasprimento eccessivo delle misure restrittive. In questo senso l’idea di bloccare, con una sorta di embargo, i canali russi per l’esportazione di energia diventa oggettivamente di difficilissima realizzazione. È vero che il settore del petrolio e quello del gas naturale sono di rilevanza strategica fondamentale per la Russia, rappresentando quasi il 25% del Prodotto Interno lordo e il 30% delle entrate di bilancio.
È però altrettanto vero che l’Unione Europea importa da Mosca quasi il 50% del suo fabbisogno di gas e il 25% di quello relativo al petrolio, gli altissimi costi di una misura di questo genere verrebbero sopportati per la quasi totalità dai cittadini comuni, già ora non particolarmente felici dei recenti aumenti trovati nelle bollette. L’ex Presidente Medvedev a questo proposito ha twittato “Benvenuti nel nuovo coraggioso mondo, in cui gli europei pagheranno presto 2.000 euro per 1.000 metri cubi di gas…” per intenderci oggi, con i cospicui rialzi delle ultime settimane il prezzo varia tra i 900 e 1100 euro. A poco serviranno, in questo senso, le roboanti dichiarazioni riguardanti North Stream 2. Il recente blocco delle autorizzazioni necessarie a rendere operativo il gigantesco gasdotto costruito da Gazprom sotto il Mar Baltico, appare quanto meno poco efficace, e di certo non comporterà alcun danno nel breve periodo all’economia russa, visto che al momento nemmeno una goccia di gas è stata spostata grazie a quest’opera. Un’altra mossa di sicuro impatto ed auspicata da più parti, è quella di restringere l’accesso della Russia ai mercati finanziari ed in particolare a quello dei regolamenti bancari. Si parla molto in queste ore della possibilità di impedire a Mosca l’uso del sistema di pagamenti SWIFT, comunemente utilizzato dal 1973 per trasferire denaro tra banche di paesi diversi.
A questo proposito occorre però dire che anche qualora si decidesse a favore dell’esclusione, la Russia non sarebbe automaticamente cancellata dal sistema di pagamenti internazionali. Questa minaccia è già stata presa molto seriamente in considerazione da Mosca che negli ultimi anni ha elaborato un proprio sistema per il trasferimento di messaggi finanziari. Non sarebbe sicuramente la soluzione, ma in qualche modo, grazie anche all’aiuto della Cina che a sua volta ha implementato un suo sistema di messaggistica, i danni nel breve termine potrebbero anche essere limitati. Ma anche in questo caso le ricadute di tale misura non cadrebbero esclusivamente sulla Russia. Pensiamo alle migliaia di imprese commerciali che in questo momento hanno rapporti con Mosca, pagamenti in sospeso, crediti da riscuotere, verrebbero messi a fortissimo rischio causando disagi immani al tessuto economico europeo ed italiano in particolare. Ed il discorso può essere allargato ai miliardi di dollari prestiti erogati dalle istituzioni europee a banche e privati russi, che correrebbero il rischio di essere congelati quando non definitivamente “cancellati”.
Senza contare che le forniture di energia ai paesi occidentali vengono pagate proprio tramite il sistema SWIFT, ed è impensabile che possano continuare senza le informazioni riguardanti lo stanziamento dei pagamenti. Tolte queste due macroaree, energia e Swift, gli strumenti rimasti a disposizione risultano limitati nella loro efficacia. Certamente ostacolare l’operatività delle maggiori banche russe provocherà delle difficoltà che i mercati hanno già iniziato a scontare se pensiamo che nella giornata del 24 febbraio la Borsa di Mosca ha perso in un solo giorno quasi il 35% del suo valore complessivo. Esattamente come l’intenzione di colpire i patrimoni personali e la mobilità degli oligarchi vicini a Putin provocherà decisamente del malcontento. La restrizione all’esportazione di semi conduttori e microchip, fondamentali per l’industria aerospaziale militare e civile di Mosca, avrà serie ripercussioni, ma è difficile pensare che l’insieme delle sanzioni applicate possa mettere in ginocchio l’economia russa, almeno nel breve periodo. L’interdipendenza tra il bisogno di energia dell’Europa e la necessità dell’imponente flusso di euro nella casse di Mosca rende la situazione drammaticamente complessa. Qualche analista si è azzardato ad affermare, non del tutto a torto, che i recenti rincari del gas russo siano serviti, di fatto, a finanziare la campagna militare in Ucraina.
Vi è poi un ultimo aspetto da tenere in considerazione, a nostro avviso non del tutto secondario. L’approccio occidentale è basato sulla convinzione che una continua e costante pressione sull’economia russa, porterà Putin a fare concessioni significative o addirittura a cadere sotto i colpi delle elite politiche e finanziarie del suo stesso Paese, timorose di perdere denari e potere. Il rischio è però che con questa attitudine si possa ottenere l’effetto opposto. Storicamente quando si presenta una minaccia esterna, i russi tendono a ricompattarsi e a sostenere i propri leader. I cittadini comuni vedranno le sanzioni come un attacco diretto al popolo russo, pagandone probabilmente il prezzo più alto, non certo al Presidente e agli oligarchi. In questo Vladimir Putin è stato un perfetto stratega, riuscendo ad usare la pressione occidentale come uno strumento per riguadagnare la fiducia dei suoi connazionali. Un recente sondaggio indipendente mostrava come il 70% dei russi supportava la linea del Cremlino in Ucraina. In questo momento l’azzardo di Putin sembra aver dato alla Russia un grande vantaggio, non solo sul campo di battaglia. Certamente l’Occidente ha a disposizione delle armi economiche potentissime. Dobbiamo chiederci a questo punto se sia davvero preparato ad usarle e, soprattutto, se le Nazioni più legate alla Russia dal punto di vista economico e commerciale, saranno disposte a sostenere gli enormi costi che ne deriveranno.