Victor Lvovic Kibalcic era rivoluzionario fino al midollo; d’altronde, figlio d’esuli e parente di uno degli attentatori di Alessandro II, aveva evidentemente inscritta nel proprio dna l’utopia di una società migliore. Seguendo le orme del padre, ex-ufficiale zarista che aveva militato prima nella Zemlja i Volja e, dopo la sua soppressione, nella Narodnaja Volja, si avvicina giovanissimo agli ambienti del socialismo anarchico assumendo il nome di battaglia di Victor Serge.
Dissidente leggendario dalla vita rocambolesca e perennemente in fuga, si ritrova a gestire dopo la Rivoluzione d’Ottobre gli immensi archivi dell’Ochrana, la temibile polizia segreta che aveva poteri praticamente illimitati e il diritto di investigare, incarcerare ed esiliare di propria iniziativa. Proprio dentro quelle stanze matura l’idea radicale che lo condurrà alla pubblicazione, in Francia nel 1925, di Les Coulisses d’une Sûreté générale. Ce que tout révolutionnaire devrait savoir sur la répression. Un manuale che svela, rivelando anche nomi e cognomi, i metodi che la polizia politica utilizza per proteggere le fondamenta dello Stato. Un libro che, fin dal titolo, promette di portarci letteralmente dietro le quinte delle tecniche di repressione praticate in Occidente; ristampato in Italia in versione integrale con il titolo di Saper Tacere dalla Ibex Edizioni. Un’utile vient de parâitre integrata da una inedita sezione, dove la “repressione storica” viene attualizzata per fornire indispensabili nozioni sulla sicurezza digitale agli attivisti di oggi e completata da un saggio di Ugo Mattei sulla provocazione.
Serge aveva già potuto sperimentare sulla propria pelle l’apparato coercitivo della sûreté francese. Giunto a Parigi in qualità di direttore de L’anarchie dopo l’esperienza della comunità libertaria di Stockel, viene arrestato il 31 gennaio 1912 con l’accusa d’essere implicato nelle attività sovversive della Banda Bonnot e, innocente, sconta cinque anni di prigione. In carcere matura il ripudio del “feticismo della legalità” che, parallelamente alla natura ingannevole della democrazia, cela il vero ruolo di uno Stato che non risulta affatto neutro ma, anzi, formato da una rete di istituzioni destinate a difendere gli interessi dei proprietari per mantenere lo sfruttamento delle classi subalterne. La legalità e l’ordine vengono così utilizzate per demonizzare gli antagonisti agli occhi dell’opinione pubblica mentre il sistema capitalistico non può essere cambiato senza entrare in conflitto con i suoi elementi privilegiati. Legislatori e magistrati appartengono alla classe dominante e, in quanto tali, formulano e applicano leggi arbitrarie, contrarie agli interessi dei meno abbienti. La Grande Guerra – come in tempi recenti la “guerra al terrore” e il conseguente mai abolito Patriot Act del 2001 – aveva, infatti, fornito a molti governi il pretesto per avviare la soppressione di molti diritti costituzionali, riducendo il potere di controllo dei parlamenti, affidando poteri eccezionali a organismi non elettivi.
Victor è convinto che, nonostante tutte le innovazioni investigative che la scienza fornisce alle forze dell’ordine – dall’analisi delle impronte digitali alle intercettazioni, dai pedinamenti al setaccio della corrispondenza -, nessuna polizia sia in grado di arginare la marea rivoluzionaria quando questa sale. Gli infiltrati e i provocatori acquisiscono importanza crescente man mano che il regime decade e il loro massiccio utilizzo nasce dalla demoralizzazione. Allo stesso tempo, però, un rivoluzionario (e ancor più un partito) non deve mai farsi cogliere di sorpresa ma essere pronto alla clandestinità. Allora è più che necessario conoscere e seguire alcune regole di sicurezza: seminare gli spioni, scrivere il meno possibile, diffidare di lettere e telefoni, insomma “saper tacere” come dovere verso la causa e, in caso di arresto, non farsi intimidire, non firmare confessioni e non spiegarsi.
Oggi, quando si parla di “security culture”, si fa riferimento a un insieme di metodi per minimizzare i rischi nei confronti di attivisti o organizzazioni i cui membri possano essere presi di mira dal governo o da parti terze. Il vademecum include utili precauzioni da prendere in ambito digitale: dalla scelta delle password all’utilizzo dei motori di ricerca; dalla visibilità dei profili social pubblici all’uso di email, smartphone e pagamenti elettronici; fino ad arrivare alla scelta dei luoghi dove riunirsi e alla selezione delle persone con le quali condividere informazioni sensibili. Attualmente la “provocazione” e la diffamazione digitale sono più funzionali della loro versione “analogica” e più celeri nel diffondere falsi messaggi miranti a screditare i membri di movimenti sgraditi al Potere. Nell’appendice finale Ugo Mattei, destreggiandosi tra Guy Debord e Gianfranco Sanguinetti, ricorda a ragione il vaticinio situazionista secondo cui la “società dello spettacolo integrato” avrebbe inevitabilmente condotto a una evoluzione-involuzione della democrazia. Nell’attuale “capitalismo della sorveglianza”, per riprendere il titolo del libro della Zuboff, l’infiltrazione-provocazione può assumere anche la moderna forma di “false flag” come strumento strategico che squalifica a priori qualunque indagine basata sul “cui prodest?”, riducendola a delirio complottistico. Il progresso degli apparati di controllo digitale permette non solo di contenere ma, anche, di alterare e falsificare testi, video, notizie, molto più efficacemente e rapidamente rispetto all’epoca di Victor Serge. Non occorre più assoldare (e pagare) le migliaia di pedinatori dell’Ochrana, quando volontariamente già indossiamo il braccialetto elettronico composto di smart-app, cloud, occhi elettronici e pass digitali.