“Da noi la cosiddetta alta critica si è impadronita dei libri di storia così come della filologia in genere. Questa critica ha dovuto così dar via libera a tutti i possibili aborti antistorici di una futile immaginazione. Ecco l’altro modo di riguadagnare il presente nella storia. Si tratta solo d’inserire trovate soggettive al posto di dati storici – trovate che passano per essere tanto più splendide quanto più sono ardite, ossia quanto più si fondano su misere circostanze accessorie e in contraddizione con ciò che vi è di meglio assodato nella storia.”
Hegel, (LFS pg.8).
Hegel, con sorprendente attualità, ci ricorda che la storia è riflessione che si eleva al di sopra del presente. Soltanto questo modo di elevarsi dalle contingenze dell’odierno è il mezzo principale per il quale la storia diventa critica. Il lettore si accorgerà ben presto quanto invece la “critica” odierna faccia molta difficoltà ad astrarsi dalle contingenze del presente, di come qualunque visione non ha alcuna prospettiva nè rivolta al passato, è raro trovare chi esponga sguardi retrospettivi antecedenti alla Seconda Guerra Mondiale, né rivolta tantomeno al futuro. Nessuno ha più il coraggio di prospettive più lunghe del domani e dello ieri dell’umanità. Tale mancanza prospettica rende l’Umanità distante dal suo concetto e sempre più incline a forme ciniche di visione di se stessa.
“In cinque riguardi mi sembra che la saturazione di storia di un’epoca sia ostile e pericolosa per la vita: da un tale eccesso viene prodotto quel contrasto fra esterno e interno di cui si è finora parlato, e da esso la personalità viene indebolita; per questo eccesso un’epoca cade nella presunzione di possedere la virtù più rara, la giustizia, in grado più alto di ogni altra epoca; da questo eccesso gli istinti del popolo vengono turbati, e al singolo non meno che alla totalità viene impedito di maturare; da questo eccesso viene istillata la credenza sempre dannosa nella vecchiaia dell’umanità, la credenza di essere frutti tardivi ed epigoni; per questo eccesso un’epoca cade nel pericoloso stato d’animo dell’ironia su se stessa, e da esso in quello ancora più pericoloso del cinismo: ma in tale stato d’animo un’epoca va sempre più maturando verso una prassi furba ed egoistica, da cui le forze vitali vengono paralizzate e alfine distrutte.”
(UDS, Pg.39 Nietzsche)
Ed è proprio arrivando alla considerazione di Nietzsche sull’essere epigoni della storia e consapevoli della giustizia che lo sguardo sull’odierno può assumere la sua dimensione fondamentale. Oggigiorno la definizione di Normale, Giusto, Consapevole, Corretto hanno la statuaria rigidità del Cinico. Al contrario la fluidità della narrazione mitologica è il motore del dinamismo vitale e la prima forma di storia scritta, intesa come narrazione e non catalogazione, a cui l’uomo può risalire. Ma cosa accadrebbe se ci distaccassimo da quel sostrato mitologico che definisce e caratterizza le società, essendo la fonte dell’identità e della differenza che caratterizzano culture, popoli e religioni? La mitopoiesi, la fonte, nei dibattiti contemporanei è un argomento apparentemente estraneo relegato allo specialismo filosofico e antropologico anche se soggiace alla formazione di concetti primari nella storia delle idee e delle culture. Ma cosa accadrebbe se alcuni, non solo non vogliono, ma non possono attingere alla mitopoiesi poiché non ne hanno partecipato? Si crea una distanza identitaria tra coloro che ne attingono, con più o meno rozzezza, e coloro che la rifiutano. Nasce un discrimine tramite il quale non sono ammesse interpolazioni poiché l’assenza è viscerale nel concetto di non identificazione. La fonte mitica di una cultura o la si accetta in toto, nella sua soverchiante poliedricità e definizione identitaria, o la si rifiuta in toto, premendo nella direzione della differenza insanabile. Le società del Nord America prima e dell’Europa Occidentale poi, si trovano ad affrontare questo problema, che attualmente trova la sua principale esplicazione in una dinamica estetica oltre che etica. Ma da dove provengono questi concetti? Quali rischi comporta inserirsi in questo pericoloso contrasto che si profila come un ombra nella futura società occidentale?
“I periodi – possiamo rappresentarceli lunghi secoli o millenni – trascorsi prima che la storiografia si occupasse di quei popoli, per quanto possano esser stati colmi di rivoluzioni, migrazioni, cambiamenti i più selvaggi, sono trascorsi senza una storia oggettiva, perché non possono far conto su di una storia soggettiva, una narrazione storica. Se non possediamo la storia di quei periodi, non è perché essa sia andata perduta solo per caso, ma perché era impossibile che tale storia ci fosse. Solo nello Stato, con la coscienza delle leggi, esistono azioni chiare e insieme una chiara coscienza del loro significato, la quale dà la capacità e fa sorgere il bisogno di conservarle in questo modo.”
(LFS, Hegel, pg.55)
Hegel, con il suo totalitarismo statalista, diede adito per assegnare un compito risolutivo all’ente politico definitivo nello stabilire il senso dell’identità-storia, prospettando con oculata coscienziosità funesti periodi rossi e neri della umanità del secolo successivo. Parole che nel contesto odierno vengono usate per adombrare pericoli fantasmatici del passato e per spaventare il cittadino comune. Fantasma già bene individuato da Nietzsche nel segreto rapporto tra Morale e Storia, ovvero il rischio del fanatismo di massa, l’Identità assoluta nello Stato a discapito di ogni Differenza tra i singoli, fomentato da un monumentalismo della Storia:
“La storia monumentale inganna con le analogie: con seducenti somiglianze essa eccita il coraggioso alla temerarietà, l’entusiasta al fanatismo; e se si immagina por questa storia nelle mani e nelle menti degli egoisti dotati e dei ribaldi fanatici, ecco che regni vengono distrutti, principi assassinati, guerre e rivoluzioni scatenate, e che il numero degli – effetti in sé » storici, cioè gli effetti senza cause sufficienti, viene di nuovo accresciuto. ”
(UDS, Pg.21 Nietzsche)
Ma se da una parte si manifesta il pericolo monumentale, dall’altra si profila il pericolo critico che già ha fatto della “purga” il suo carattere. La storia che recide il passato per permettere al presente di vivere, il motore intrinseco diventa la vendetta e la situazione odierna ne paventa il profilarsi. Chi non si identifica può costruire qualcosa soltanto dal differenziarsi e dall’ abbracciare la Storia come Critica, poiché non riesce a vedere se stesso né nella Storia Monumentale né nella Storia Antiquaria, poiché non ne ha partecipato e non vuole sentirsi estromesso dalla sua partecipazione. Questa assenza tanto interiore quanto esteriore, questa eradicazione, trova soddisfazione nel contrasto a tutto ciò che è Monumentale e tutto ciò che è Antiquario e facilmente associabili alla padronanza e alla carneficina. Nell’individuazione della categoria del servo-padrone e del correlato carnefice-vittima, si rischia di dimenticare la loro intercambiabilità fintanto che le categorie suppliscono ai nomi e fintanto che non siamo presi dalla vertigine di un lungo sguardo nello scorrere dei secoli.
“I tiranni, saziata la loro ferocia, diventano inoffensivi; tutto rientrerebbe nell’ordine se gli schiavi, invidiosi, non pretendessero anch’essi di saziare la loro. È proprio l’aspirazione dell’agnello a farsi lupo la causa della maggior parte degli avvenimenti. Coloro che non possiedono zanne sognano di averne; vogliono divorare a loro volta e ci riescono grazie alla bestialità del numero. La storia – questo dinamismo delle vittime.”
(SA, Pg.106 Cioran)
Dietro la poca lungimiranza, la contemporaneità, dopo i monumentali massacri del secolo scorso, celata nella Storia Critica nietzscheana, adotta il segreto del carnefice, il vedere se stessa vittima di una qualche ingiustizia. Il dibattito contemporaneo allora si attesta su un gioco a scacchi del chi si indigna prima dell’avversario. Chi per prima manifesta l’essere vittima, prima rivendica il diritto alla carneficina. La tecnica retorica odierna quindi ci insegna che in questo contesto assume forza chi riesce nell’associazione identità-vittima.
“Ogni forma di indignazione, dalla semplice protesta fino alla ribellione luciferina, segna un arresto nell’evoluzione mentale.”
(SA, Pg. 104, Cioran)
I conciliaboli di indignati, rituali retorici di invocazione alla paresi mentale, non fanno altro che alimentare la cesura, il differire dal nulla, il non sedimentare alcunché e il giustificare le mancanze. Fintanto che la retorica rimane tale, possiamo scriverne , ma il sospetto che essa sia un campanello d’allarme di un lungo periodo oscuro permane. Le narrazioni si susseguono senza tracciare alcun solco di verità, in un epoca dove la falsificazione assume prospettive tecnicamente magistrali, ci si riavvicina ad un sentire mitico di compartecipazione nel fluire di un tempo che non perdura. Dove nulla è identico a sé, la Critica trionfa e nessun monumento né antiquario sopravviverà indipendentemente da quanto sia critico verso sé stesso. Un monito resta tale:
“L’istante in cui crediamo di aver capito tutto ci conferisce un aspetto da assassini”
(SA, pg. 117 Cioran)