OGGETTO: L'America dei Kagan
DATA: 27 Dicembre 2022
SEZIONE: Geopolitica
La tradizione neocon statunitense passa per la famiglia Kagan, che ha plasmato oltre mezzo secolo di politica estera a stelle e strisce.
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Nelle ultime settimane, complici l’inverno e una fase stazionaria dei combattimenti, il conflitto in Ucraina non sta più guadagnando le prime pagine dei giornali o le classifiche di tendenza sui social. Alcuni siti però continuano a mantenere quotidianamente i fari puntati sugli avvicendamenti del fronte. Uno di questi è l’Institute for the study of war (IWS) che offre una mappa aggiornata ogni 24 ore sulle avanzate e le ritirate di quella che sta diventando a tutti gli effetti una guerra di logoramento. La mappa mostra i territori conquistati dai russi, l’avanzata della controffensiva Ucraina e le zone contese in cui il colore delle casacche dei militari cambia nel giro di poche ore. L’IWS è un think tank specializzato nella ricerca e nell’analisi di contesti militari fondato nel 2007 da Kimberly Kagan, una storica militare che, frustrata per l’assenza di informazioni accurate durante la guerra in Iraq e di come essa influenzasse le strategie politico-militari, decide di creare una piattaforma in grado di fornire report indipendenti, aggiornati e open source sulle operazioni belliche in corso. L’organizzazione si dichiara apartitica, no-profit e imparziale sebbene nel suo board d’amministrazione siedano personalità di primissimo livello che spaziano in tutti i settori nevralgici della governance americana: gli ex generali David Petraeus e Jack Keane, l’ex ambasciatore statunitense in Canada e all’Onu Kelly Kraft, William Kristol storico e giornalista nonché uno dei padri del neoconservatorismo, e ancora amministratori di grandi aziende che si occupano di tecnologia militare, membri di fondi di investimento e di studi legali tra i più importanti sulla East Coast.

Una compagnia niente male di cui non è difficile intuire l’interesse profondo per le vicende sul fronte orientale. A livelli così alti le relazioni e i contatti giocano un ruolo fondamentale, come le amicizie che la Kagan ha potuto coltivare anche all’interno di casa sua. È sposata, infatti, con Frederick Kagan, ex professore di storia militare a West Point e membro di alcuni tra i più importanti think tank statunitensi. Le influenze genealogiche, però, non finiscono qui, la famiglia Kagan può essere riconosciuta come una delle aristocrazie più potenti del neoconservatorismo americano: il padre di Frederick, Donald, è stato uno degli storici più importanti della seconda metà del Novecento, professore emerito di Yale e riferimento culturale e autorevole per la frangia più “estremista” dei repubblicani; mentre il fratello Robert, anche lui storico e saggista, è stato uno dei protagonisti e dei più accaniti sostenitori delle War on terror a cavallo degli anni 2000, durante l’amministrazione Bush. Rapporti di sangue intrecciati a dinamiche di potere che disegnano una geografia politica utile per capire in che direzione sta andando la politica estera americana.

Donald Kagan, il capostipite, nasce in Lituania nel 1932 e, come nelle più classiche delle storie di self-made man, emigra piccolissimo con la madre a New York dove riesce a laurearsi in Storia antica e a intraprendere la carriera accademica. La sua passione è la Grecia classica e in particolare la guerra del Peloponneso, che studierà per tutta la vita e che diventerà un serbatoio infinito di exempla per interpretare il presente. Nel 1995 pubblica il libro On the Origins of War and the Preservation of Peace, dove a partire dagli insegnamenti di Tucidide rilegge i più importanti conflitti della storia rintracciando nelle debolezze dei leader le cause di atroci catastrofi. Ad esempio, la crisi dei missili di Cuba, che ha portato il mondo sull’orlo del baratro nucleare, è stata innestata dalla paura di utilizzare il deterrente atomico che Kennedy avrebbe fatto percepire a Krusciov. Kagan si è sempre schierato a favore delle invasioni militari americane, difendendo prima la guerra in Vietnam poi le campagne nelle Guerre del Golfo e diventando negli anni uno dei padri nobili dell’interventismo americano. Nel 2002 viene premiato dal Presidente Bush con la National Humanities Medal uno dei riconoscimenti più alti della Casa Bianca per aver insegnato a numerose generazioni la “vitale eredità della civiltà classica”. Muore all’età di 89 anni nell’agosto dello scorso anno, ma le sue lezioni sulla guerra archetipa per eccellenza tra Sparta e Atene, oltre a rimanere indelebili nella memoria dei suoi allievi, lasciano un solco importante anche nella crescita culturale dei suoi figli Frederick e Robert.

Frederick, come abbiamo detto, è stato professore di storia militare nell’accademia di West Point, la più prestigiosa dell’esercito americano. Nel 2000, un anno prima dell’attacco alle Torri gemelle, pubblica insieme a suo padre un articolo dal titolo eloquente While America Sleeps: Self-Delusion, Military Weakness, and the Threat to Peace Today in cui mette in guardia Washington sulle debolezze del sistema militare e su possibili attacchi terroristici su suolo americano. Entra a far parte di uno dei più influenti e storici think tank di area repubblicana − l’American Enterprise Institute (AEI) − e durante la guerra in Iraq ha un ruolo fondamentale nel cambio di strategia dell’amministrazione Bush per dare una svolta a una situazione che sta diventando insostenibile agli occhi dell’opinione pubblica. È autore del report Choosing Victory: A Plan for Success in Iraq in cui propone un invio massiccio di marines per rafforzare la presenza americana sul territorio e sedare definitivamente le azioni terroristiche di rivolta all’occupazione. L’aumento di truppe da inviare al fronte è una possibilità ampliamente discussa all’interno dell’inner circle di Washington, e da lì a poche settimane viene lanciato il piano Surge, un aumento di 20.000 unità per rinsaldare le fila dell’esercito e annichilire la resistenza irachena. Frederick rimane un punto di riferimento per quanto riguarda le politiche militari anche con il passaggio alla Casa Bianca da Bush a Obama e, nel 2010, diventa un consigliere del generale Petraeus per la gestione dell’esercito in Afghanistan. La sua lunga esperienza come analista militare lo porta a pubblicare molti articoli e saggi su importanti giornali, collaborare con diversi think tank e dar vita al Critical Threats Project, una costola dell’AEI che ha lo scopo di studiare i pericoli per la difesa americana con un particolare focus per gli scenari medio orientali e africani.

Infine c’è Robert, l’altro figlio di Donald e fratello di Frederick, la cui parabola politica è emblematica del posizionamento neoconservatore nei confronti dei vari presidenti che si sono succeduti in poco più di venti anni. Nel 1997 fonda insieme a Kristol il Project for the New American Century (PNAC) un think tank che può essere considerato il più influente per la politica estera americana del successivo decennio. Tra i suoi venticinque firmatari risultano, oltre al padre e al fratello di Robert, molti futuri funzionari dell’amministrazione Bush che di lì a pochi anni prenderanno possesso delle leve del potere di Washington. L’obiettivo del PNAC è quello di smuovere l’opinione pubblica criticando l’operato di Clinton, reo di aver snaturato il ruolo USA nel mondo. Il XXI secolo potrà essere un secolo americano solo se Washington tornerà ad affermarsi come egemone benevolo, capace di promuovere in tutto il mondo i principi di libertà e democrazia, preservando il primato americano senza esitare a utilizzare il suo potere, anche militare. L’essenza del neoconservatorismo è racchiusa in queste tesi che trovano, dopo l’11 settembre, l’humus perfetto per attecchire, come una scintilla in un fascio di sterpaglie, nel cuore di milioni di americani. È durante i mandati di Bush che il movimento giunge al suo apice, ma già nel 2007 Robert capisce che il vento sta cambiando, la guerra lunga e apparentemente inconcludente annacqua la fiamma neocon e, con l’ombra di Obama che già si scorge nelle prossime presidenziali, decide di chiudere il PNAC. In questi anni inizia un attacco frontale alle guerre di Bush e, di conseguenza, al sostrato ideale che le ha nutrite e fomentate. Robert risponde alle accuse con un famoso articolo Neocon Nation: Neoconservatism, c. 1776 in cui ripercorre la storia degli Stati Uniti mostrando come l’afflato messianico, l’impulso all’espansionismo e il sacrificio per combattere i regimi totalitari in nome della libertà e la democrazia siano connaturati all’essenza e alla tradizione più autentica di Washington. Nel 2008 diventa consigliere del senatore McCain per le presidenziali e nel 2014 di Mit Romney, sostenendo strenuamente l’idea di una politica di potenza americana contro i pericoli che si moltiplicano nel mondo contemporaneo. 

Se con la vittoria democratica il suo peso politico è ridimensionato, certamente non si può dire lo stesso di quello di sua moglie. Robert è infatti sposato con Victoria Nuland, assistente del Segretario di Stato per gli affari europei dal 2013, la quale ha avuto non poco a che fare con la genesi della crisi Ucraina. Ancora una volta i legami famigliari si intrecciano con le traiettorie politiche formando un groviglio fecondo di significati. L’ascesa di Trump nel partito conservatore imprime l’ultima svolta del cammino politico di Robert. Il tycoon è un corpo estraneo all’interno dell’area conservatrice e Robert, forse aiutato dalla posizione della moglie, sceglie di supportare la corsa di Hilary Clinton più vicina alla sua idea di America. Nel 2018 pubblica un libro dal titolo eloquente Jungle Grows Back: America and Our Imperiled World, in cui esprime tutti i suoi timori per un mondo in cui i pericoli per la sicurezza statunitense stanno crescendo rigogliosi come una giungla intorno al machete di un esploratore. Per Kagan, però, il problema più grande rimane il fenomeno Trump che, nell’eventualità di una battaglia fino all’ultimo voto nelle presidenziali del 2024, potrebbe innescare la crisi più grande mai affrontata dall’America, lo spettro di una guerra civile nel XXI secolo. Il partito repubblicano deve riappropriarsi della propria tradizione e “pretendere che Trump non faccia più parte dell’equazione”.

Negli ultimi venticinque anni la famiglia Kagan è stata una protagonista indiscussa della politica americana. Grazie alla capacità di ognuno dei suoi membri di fondere una cieca passione politica con l’arte di ricamare relazioni e connessioni importanti, ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione dell’architettura neocon che ha plasmato la storia dell’America e di tutti noi.

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