Bella Baxter guarda il mondo con occhi nuovi. Il suo corpo già cresciuto non ferma una curiosità totale. Una donna rinata si apre al mondo senza pregiudizi incessanti, costruiti da una storia personale e da una vita vissuta. Una lussuria irrefrenabile la spinge ad appropriarsi del corpo altrui con un movimento alloctono. Nessun confine o limite la frenano nel suo cambiamento continuo di costume.
Dopo essere stata catturata da Duncan Wedderburn, Bella si innamora del viaggio, quanto dei popoli e culture altre che incontra. Quando la protagonista di Poor Things diventa testimone della povertà che emacia un villaggio sul tragitto della crociera su cui è stata forzata, decide di regalare le ricchezze vinte al gioco da Wedderburn. Armata di un’ingenuità tremenda, tuttavia, si fida di due intermediari per far arrivare i soldi al popolo straniero bisognoso.
Bella Baxter è l’incarnazione di un liberalismo sentimentale che si muove verso l’altro trainato da una forza ego-centrifuga. Questo vettore potente diventa una passione, fagocita l’autenticità, diventa un amore per l’altro. La xenofilia. Definita come sentimento progressivo dal filosofo lituano Algirdas Degutis.
Il carattere acquisito da Bella nel suo crescere in un mondo surreale ritratto da Yorgos Lanthimos, è l’opposto della paura del diverso, della xenofobia. Lei si getta sull’alterità senza timore.
Il paradosso dell’altro che sorprende Bella ha investito la ragione e il sentimento per secoli, trasformando le certezze in dubbi, le passioni in sospetti, le ingenuità in amori. Oggi, la xenofobia e la xenofilia sono principi etici che appaiono apertamente nei discorsi e nelle azioni dei politici e delle attiviste europee.
Da un lato, vi sono le organizzazioni nonprofit Medici Senza Frontiere e SOS Mediterranee, animate da una spinta caritatevole verso lo straniero che si imbarca su navigazioni di fortuna. Le ngo battono il Mediterraneo in cerca di profughi e migranti da traghettare verso porti europei.
Il 16 marzo, l’organizzazione umanitaria SOS Mediterranee ha dichiarato che oltre 60 persone erano morte due giorni prima nel Mediterraneo centrale. Lo straniero, il migrante deve essere salvato, accolto perché umano, ritengono queste associazioni progressiste. Nel 2017, lo scrittore Erri De Luca definì queste organizzazioni pescatori di uomini.
Più in generale, le forze politiche socialiste e centriste hanno favorito o guardato con indulgenza questi movimenti xenofili.
Dall’altro, i movimento identitari armano la politica di ragioni conservatrici e in favore di un’Europa meno missionaria. L’attivista e commentatrice reazionaria Eva Vlaardingerbroek denuncia su sui canali social un’opposizione autentica all’immigrazione. Il suo discorso animato da rimandi mitici alle radici cristiane dell’Europa. Vlaardingerbroek è originaria dei Paesi Bassi, ma ha di recente viaggiato in Germania in supporto della protesta dei contadini contro le politiche agricole dell’Unione Europea. La sua ideologia sfocia nella remigration. Un concetto politico che sta prendendo piede tra i partiti nativisti europei. Da ultimo, l’AfD in Germania. “We need mass deportations,” ha scritto la Vlaardingerbroek, accusando l’immigrazione di essere un fattore di decadenza dei valori europei. Un altro attivista identitario-nativista, Dries Van Langenhove, è stato di recente condannato al carcere per istigazione all’odio e alla violenza. La Vlaardingerbroek ha condannato il processo come un processo politico agli ideali che gli attivisti e le politiche della loro area sposano.
Una persona xenofoba odia il diverso per paura del suo carattere, per ciò che appare, per un pregiudizio profondo, insegnato, per una storia; una persona xenofila, al contrario, si comporta in maniera caritatevole verso l’altro, lo accoglie senza paura, attraverso un amore spropositato. I meccanismi dell’azione vengono quindi studiati da angoli differenti: l’una guarda alle cause e ai motivi di un movimento, l’altra alle azioni a posteriori e alle reazioni.
Patricia Owens, professoressa di relazioni internazionali a Oxford, ha scritto che la xenofilia è caratterizzata da una compassione verso lo straniero. Si crea una incertezza verso la posizione paradossale dell’altro e la passione spinge spontaneamente all’amore. All’opposto, quando l’incertezza diventa paura, la xenofobia trasforma il sentimento in ostilità e costruisce muri a difesa delle proprie paure. Ma la xenofilia e la xenofobia sono gli estremi di un campo di emozioni. Là il soggetto deve agire, la persona deve discriminare per non cedere alle sirene degli estremi. Quindi, limitare un’area di passioni – che non trascini, ma che sia controllabile dalla soggettività.
L’ideale della xenofilia è sorto all’interno della scuola dell’irrimediabilmente altro. Coltivato dai pensatori europei dell’etica altera e aperta all’altro come principio. “La vita effettiva è incontro”, ha scritto Martin Buber. Il filosofo austriaco-israeliano ha descritto la vita come un percorso verso l’altro, un dialogo con ciò che non è io. Un altro apologeta della carità cristiane e adoratore dell’alterità assoluta è Emmanuel Levinas, che ha costruito un’etica-metafisica dell’infinitamente altro. Il monoteismo è una scuola di xenofilia, ha scritto Levinas.
Sulla scorta del pensiero post-olocausto, Hans Jonas ha costruito un principio etico in nome dell’esistenza dell’altro: il principio responsabilità. Il vivere eticamente comporta accettare l’arrivo dell’altro, l’imperativo categorico diventa accogliere l’alterità: un dovere orientato all’altrui futuro che necessariamente abiterà questa terra. Quindi, ha scritto Jonas, agisci in maniera che l’altro possa esistere nel mondo che abbandoni.
E alla fine del secolo, il maestro della scuola dell’irrimediabilmente altro fece irruzione nella filosofia: Jacques Derrida. In una conferenza del 1991 sotto l’egida dell’UNESCO, pubblicata in italiano sotto il titolo Il diritto alla filosofia dal punto di vista cosmopolitico, Derrida trova le radici di una filosofia del ventunesimo secolo nella dimensione internazionale del diritto. Chiede: “Perché le responsabilità da assumere non sono più, e meno che mai oggi, e meno che mai domani, nel XXI secolo, semplicemente nazionali?” Il filosofo francese si augurava, trent’anni fa, che il cosmopolitismo divenisse una fatto. Tuttavia, questa speranza di Derrida è naufragata, o quasi, quando il cosmopolitismo – inteso come un legame tra città, nazioni, popoli e lingue – è stato tacciato di globalismo – ovvero appiattimento delle diversità delle città, nazioni, popoli e lingue su di una forma singola.
Derrida auspicava una filosofia “bastarda, ibrida, innestata, multilineare, poliglotta.” La via tracciata dal filosofo della decostruzione è un selciato impervio. Il cosmopolitismo si trova al di là del binomio costituito dall’eurocentrismo e dall’anti-eurocentrismo, bisogna superare questa “vecchia, pesante, usurata, logorante opposizione” – oltrepassare la distinzione e delimitare le potenze dei discorsi eurocentrici e anti-eurocentrici. Ovvero, i discorsi che solcano marcatamente i valori europei, o quelli che accusano gli interlocutori di assumere una prospettiva eurocentrica. Poiché l’arrivo dello straniero, carico di ricordi, storie e memorie, possa essere visto al di là delle lenti della xenofilia e della xenofobia.
Quando potrà di nuovo il mondo osservare lo straniero come straniero, senza porgere a priori ghirlande e abbracci commoventi e caritatevoli, o sanzioni dettate dalla paura e limitazioni truci?