“L’ultima domanda venne posta per la prima volta, quasi per scherzo, il 21 maggio 2061, in un momento in cui l’umanità cominciava a intravedere finalmente un po’ di luce. La domanda era il risultato di una scommessa di cinque dollari, nata durante una bevuta, ed ecco come andò la cosa”
L’ultima domanda, Isaac Asimov.
Nel 1956 L’ultima domanda vide la luce sulla rivista Science Fiction Quarterly. Quando scrisse questo breve capolavoro Asimov era già uno degli scrittori più prolifici del genere fantascientifico, avendo terminato la Trilogia della Fondazione e introdotto quell’affascinante scienza immaginaria ideata dal matematico Hari Seldon che è la psicostoria, in grado predire il futuro, quantomeno a livello probabilistico. Il padre della narrativa fantascientifica vantava già una vasta gamma di racconti e successivamente avrebbe lasciato in eredità una serie di romanzi destinati a rimanere impressi nell’immaginario collettivo. E se non solo il pubblico ma anche lo stesso Asimov considerano L’ultima domanda uno dei migliori racconti di fantascienza di sempre, forse conviene provare a capire perché. E’ ambientato su diversi livelli spazio-temporali e contraddistinto da una domanda che si ripete sistematicamente nel corso di diverse ere evolutive in cui l’umanità, o quello che ne resta, grazie all’aiuto decisivo di un sistema di intelligenza artificiale in grado di autoregolarsi e di autocorreggersi ha raggiunto livelli di potenza sempre maggiori, ben oltre la semplice sopravvivenza, sino a raggiungere l’immortalità. Il Multivac, la prima versione dell’intelligenza artificiale, è stata in grado di salvare la Terra dalla scarsità di risorse garantendole la possibilità di far ricorso all’energia solare in maniera massiccia grazie ad una stazione orbitante.
In seguito alle celebrazioni pubbliche per i risultati raggiunti, mentre i due fedeli assistenti addetti al Multivac si stavano rilassando, uno dei due pose per la prima volta un dubbio inquietante. Cosa ne sarebbe stato della Terra dopo lo spegnimento del Sole, foss’anche avvenuto dopo venti miliardi di anni? L’assistente decise di chiedere alla macchina se sarebbe stato mai possibile in futuro riuscire a diminuire l’entropia per permettere all’umanità di non sprofondare nell’oblio. La tendenza di un sistema isolato, quale si suppone essere l’universo, è proprio quella di aumentare progressivamente l’entropia, la misura del disordine di un sistema, sino allo stato di quiete in cui nessuno scambio di energia è più possibile. Questo stato finale è definito morte termica dell’universo, uno stato di equilibrio termodinamico in cui l’energia è distribuita uniformemente in tutte le direzioni dello spazio. Al di là delle teorie che si sono sviluppate in merito al passo successivo alla morte termica dell’universo, la teoria scientifica più diffusa riconosce proprio che se l’universo, in quanto sistema isolato, esisterà un tempo sufficientemente lungo da permettere di raggiungere il livello massimo di scambi energetici, la morte termica decreterà la fine dell’esistenza.
Soffocato da tale previsione, lo scettico assistente Lupov insistette perché la domanda fosse posta al Multivac che lapidario rispose di avere “DATI INSUFFICIENTI PER RISPOSTA SIGNIFICATIVA”, non essendo in grado di ipotizzare un’inversione dell’entropia. La domanda, per quanto posta in modi diversi, si ripresentò ciclicamente come un mantra, persino in un universo in cui l’umanità era divenuta una sola entità composta “da trilioni, trilioni e trilioni di corpi senza età, ciascuno al suo posto, ciascuno immobile e incorruttibile, ciascuno accudito da automi perfetti e altrettanto incorruttibili mentre le menti di tutti quei corpi si fondevano liberamente l’una nell’altra, indistinguibili”. Nonostante la vetta raggiunta, l’Uomo non poteva fare a meno di accorgersi che le galassie si stavano spegnendo e l’Universo stava morendo. Era consapevole che l’energia ancora a disposizione gli avrebbe permesso di sopravvivere ancora miliardi di anni, tuttavia “prima o poi tutto avrà una fine. Per quanto oculatamente amministrata, per quanto sfruttata al massimo, l’energia, una volta spesa, è perduta per sempre, e nessuno può sostituirla. L’entropia non può che aumentare, fino a raggiungere un massimo.” “È possibile invertire l’entropia?” chiese all’ultima versione dell’intelligenza artificiale, AC cosmico, ottenendo la medesima risposta malgrado la macchina vi lavorasse ormai da cento miliardi di anni.
Nonostante l’incremento incessante delle risorse e la loro proficua combinazione che avrebbe dovuto rendere l’Uomo, almeno negli intenti, finalmente “salvo” dalla sofferenza, l’individuo ricade periodicamente in uno stato di angoscia. Laddove c’è una risposta a qualsiasi domanda, grazie a evolutissimi sistemi di intelligenza artificiale, com’è possibile non trovare finalmente il paradiso in Terra? Alcuni obietterebbero che in un sistema perfetto, dove qualsiasi domanda riceve una risposta, l’assenza di imprevedibilità è in grado di spingere taluni, anche soltanto per noia, a fare a meno di tutta questa intelligenza per perdersi nell’avventura alla ricerca dell’imprevisto. A destituire di senso qualsiasi verità, rifugiandosi nel nichilismo di chi rifiuta l’immutabile. Quando però l’imprevisto è tale da spaventare, in molti si rifugerebbero volentieri, ancora una volta, nella sicurezza della prevedibilità.
E nondimeno resta sempre un imprevisto che neppure il paradiso della tecnica è in grado di togliere di mezzo perché se l’Uomo grazie alla tecnica può tutto, può anche fallire. In un mondo che confessa la propria caducità e si priva della ricerca della verità, non vi è strumento in grado arrestare l’inquietudine. L’Uomo di Asimov nonostante il livello di benessere raggiunto sublimato nell’immortalità, si trova arreso di fronte all’incertezza di un problema che nemmeno l’intelligenza artificiale, capace di meraviglie incredibili, è in grado di affrontare. Aveva messo a punto una macchina talmente specializzata in grado di evolversi ma incapace di rispondere all’enigma che andava ripetendosi sistematicamente. Sperimentava sempre quell’angoscia da cui ogni volta si prometteva di essersi tratto in salvo. Sembrava finalmente aver trovato la soluzione a quella ragione limitata che sino ad una certa epoca lo costringeva a far ricorso alla fede perché lo sconosciuto continuava a non manifestarsi. Finalmente aveva trovato un sistema in grado di risolvere qualsiasi tipo di problema ed attutire qualsiasi tipo di ansia, se non fosse stato per quell’unica domanda che il sistema risolve quando ormai è troppo tardi per l’umanità. Heiddeger al termine de La Questione della tecnica riteneva che “quanto più ci avviciniamo al pericolo, tanto più chiaramente cominciano a illuminarsi le vie verso ciò che salva, e tanto più noi domandiamo. Perché il domandare è la pietà del pensiero.”
Il dilemma viene risolto dall’ultima versione dell’intelligenza artificiale che è finalmente in grado di invertire l’entropia dell’universo quando però l’Uomo è ormai scomparso. Nello scenario immaginato da Asimov l’Uomo si estingue nella persistenza dell’inquietudine avendo perso di vista il fatto che la tecnica, simboleggiata dal Multivac che si evolve per diventare sempre più potente, se realmente libera pone sé stessa come scopo ultimo.
Alla fine del racconto AC cosmico riesce finalmente a rispondere alla domanda ed a invertire l’entropia. Cosa possa accadere dopo l’inversione dell’entropia, se poi vi possa essere anche un’inversione del tempo in grado di riportare alla luce l’Uomo, è speculazione che non compete a quest’analisi. E’ l’idea che Nolan ha posto alla base di Tenet, riprendendo le teorie di Richard Feynman e la sua ipotesi sulla causalità inversa. Se per assurdo si riuscisse ad invertire lo scorrere del tempo e posto che non esistano multiversi, il tempo non potrebbe che procedere a ritroso, in senso inverso, ma nella medesima direzione in cui gli eventi si sono verificati. E nel racconto di Asimov l’Uomo pur tornando in vita a ritroso non riuscirebbe a sanare la propria irrequietezza. L’AC cosmico risulta efficiente perché risolve la questione ma come qualsiasi sistema di intelligenza artificiale è un’intelligenza convergente, che cerca la soluzione di un problema non mettendo mai in discussione le premesse. Semplicemente raggiunge lo scopo. Il tramonto dell’Uomo senza che questi abbia potuto ottenere la risposta che andava cercando per tutta l’esistenza, suggerirebbe di provare a cambiare interlocutore facendo ricorso all’intelligenza divergente per “problematizzare il problema” mettendone in dubbio le premesse.
L’immortale VJ-23X nel racconto di Asimov afferma che “sappiamo benissimo che non è possibile invertire l’entropia. Non si può ritrasformare fumo e cenere in un albero”. I termini del problema piuttosto che riferiti all’inversione dell’entropia sembrano da ricondurre all’originaria e permanente minaccia del divenire che riconduce al nulla l’esistenza. La prospettiva che tutto ciò che esiste finisca nel nulla è l’angoscia della civiltà occidentale, come emerge dal pensiero di Emanuele Severino. L’evidenza della trasformazione è il limite supremo che impedisce all’individuo di affrancarsi dalla consapevolezza che dopotutto “Non si può ritrasformare fumo e cenere in un albero”, lasciando intendere che l’albero una volta divenuto cenere sia irrimediabilmente perduto nel nulla. Quel nulla da cui proveniva prima di apparire come albero. La morte per l’uomo occidentale (e non solo) è annientamento. In fin dei conti è lo stesso Dio che nel libro della Genesi durante la cacciata di Adamo gli ricorda che “polvere tu sei e in polvere ritornerai!”, ponendo a perenne monito l’evidenza suprema dell’incessante divenire, per cui proveniamo dal nulla e nel nulla siamo destinati a tornare. Solo in un contesto in cui le cose emergono dal nulla o nel nulla finiscono acquistano un senso la creazione e la distruzione, che siano opera di Dio o dell’Uomo.
Se la salvezza è affidata ad una dimensione ultraterrena, questa sconta comunque l’impossibilità per l’uomo trarsi in salvo in un’esistenza destinata ad una fine ingloriosa. L’uomo con il tempo ha percepito che la fede, quella volontà che il mondo abbia un determinato senso, in quanto invenzione del significato non è sufficiente a spiegare la verità. Ma non solo la fede bensì anche la scienza moderna, come rimedi, scontano entrambi l’assenza di un sapere incontrovertibile. La scienza, alimentata dal desiderio di controllare il divenire fonte di sofferenza, ha rinunciato a perseguire un sapere incontrovertibile perché ammettendo la fallibilità dei propri risultati e la temporaneità delle leggi fisiche, valide sino a che non siano messe in dubbio da nuove evidenze sperimentali, ha negato l’esistenza di una verità immutabile. Nessuna delle due riesce a salvare l’Uomo da quella che crede essere la propria condizione di essere destinato al nulla. L’atteggiamento dominante dell’Occidente è il rifiuto dell’eternità come conseguenza dell’evidenza del divenire.
Il convitato di pietra del racconto di Asimov è la filosofia, che attende in penombra. L’angoscia dell’Uomo che nonostante tutto si confronta con l’incertezza del futuro, animato da quell’ansia latente che serpeggia annichilendo l’esistenza, non è forse quel thauma da cui ha origine il pensiero filosofico? Quello stesso orrore che scaturisce da un’esistenza senza senso che sperimenta il colonnello Kurtz di Conrad e che rappresenta il singulto di una civiltà moderna che comincia a interrogarsi su sé stessa. In Cuore di Tenebra il comandante Marlow nel raccontare la spedizione in Africa affermava che viaggiare in Congo è “come viaggiare a ritroso verso le lontane origini del mondo”. Non ricorda forse quel dolore primordiale di fronte all’esistenza?
La stessa inquietudine che riappare ciclicamente nell’universo di Asimov e che, a ragion veduta, si immagina proiettata nel futuro in un’eterna ripetizione fin quando l’Uomo non verrà chiamato ad assolvere l’antico compito. Non soltanto rinunciare alla precarietà delle soluzioni offerte dalla tecnica ma alla precarietà stessa come condizione naturale dell’Uomo, come peccato originale dal quale doversi salvare. Nell’attesa che la Terra riacquisiti il senso di un sapere incontrovertibile, a noi, abitatori del XXI secolo, la convinzione che la riflessione filosofica resti l’anticorpo sociale per eccellenza e non un mero esercizio retorico.