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La società pornocratica

Tra mercificazione e medicalizzazione, l’odierna "scientia sexualis" poggia su un mercato biocapitalista: intangibile, ma più corporale che mai.
Tra mercificazione e medicalizzazione, l’odierna "scientia sexualis" poggia su un mercato biocapitalista: intangibile, ma più corporale che mai.
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Se a dettare le mosse del mercato è la cosiddetta mano invisibile, a tessere le trame della società che ne è alla base è una forma di potere ancor più impercettibile: la politica si smaterializza, come dimostrano le guerre condotte non più nelle trincee ma nei non-luoghi degli algoritmi, ma non per questo manca di pragmatismo o efficacia. Il nuovo potere è collettivo e individualista, latente e soverchiante, acuto nell’insinuarsi fino ai più remoti coni d’ombra della coscienza umana e persino nella più intima delle sfere, quella sessuale.

Se negli ultimi anni abbiamo assistito ad un proliferare di discorsi sulla sessualità in tutte le sue forme, dagli outing agli esibizionismi di denuncia, è perché, con Foucault, possiamo asserire che “il sesso non si giudica solo, si amministra”. Confessioni apparentemente innecessarie, monologhi martellanti e pubblicità sempre più insistenti hanno lo scopo di produrre una verità che “faccia da supporto alla vecchia forma della predicazione”. La confessione, “una delle tecniche più altamente valorizzate per produrre la verità”, se non è spontanea è estorta: dunque, se un artista sente il bisogno di affermare in mondovisione la volontà di “portare sul palco il sesso, amore poligamo e il porno su Onlyfans”, è perché più o meno consapevolmente incarna la predisposizione ben analizzata da Byung Chul Han per cui “osceno e pornografico è il volto nudo ridotto unicamente alla sua possibilità di esibizione. Il capitalismo – spiega il filosofo sudcoreano – aggrava la trasformazione pornografica della società offrendo ogni cosa come merce ed esponendola allo sguardo”.

Teoria prontamente dimostrata dal successo di OnlyFans, che in due anni quintuplica gli incassi, e più in generale della sex economy, che muove un business da 100 miliardi di dollari annui, vale a dire il triplo di quanto abbia disposto il governo italiano per la recente manovra finanziaria. È la conferma perentoria del fatto che, ancora con l’autore di Eros in agonia, “il neoliberalismo pratica una generale depoliticizzazione della società, in quanto non da ultimo sostituisce l’Eros con la sessualità e la pornografia, in una società fatta di soggetti di prestazione”.

Partecipando alle dinamiche di un mercato feticistico, l’uomo si rende feticcio di sé stesso, ignaro del fatto che, ancora con Foucault, “piacere e potere si connettono secondo meccanismi complessi e positivi di eccitazione e di incitazione”, per cui “un dispositivo molto diverso dalla legge assicura la proliferazione di piaceri specifici e la moltiplicazione di sessualità disparate”. Se già André Breton aveva compreso la forza propulsiva dell’eros, “unica arte in grado di condurre l’uomo più lontano delle stelle”, va da sé come il fine dei discorsi attorno ad esso non siano la libertà o la verità, bensì il loro uso strumentale: difatti, non ha precedenti il livello di pressione sull’individuo, esercitata da istituti in cui convivono “l’intensità dei piaceri e l’ostinazione dei poteri”. Se gli istituti di governo fino al XVIII secolo erano il diritto canonico, la pastorale cristiana e la legge civile, è intuitivo comprendere come nel terzo millennio gli organi capaci di manovrare la coscienza siano quelli invisibili e però totalitari che fanno capo al mercato. Un mercato biocapitalista, intangibile e però più corporale che mai. 

Difatti, alla mercificazione del soggetto si aggiunge la sua medicalizzazione: la corporeità e la sessualità dell’individuo subiscono il trionfo della biopolitica e la volontà di potenza degli istituiti bioetici, che insieme assicurano la protezione scientifica della società. Quando J. K. Rowling era ad allertarci su un “grande scandalo medico” finì ovviamente all’indice, ma la giornalista della BBC Hannah Barnes ha poi confermato in un libro-inchiesta tutte le effettive controversie legate alla clinica Tavistock di Londra, chiusa dal servizio sanitario nazionale a causa degli abusi di natura ideologica perpetrati durante le pratiche di transizione di genere, indotte già in età infantile da medici la cui deontologia, come ammesso da David Bell (medico della clinica), veniva subordinata all’ideologia per mezzo di “contratti d’oro”. Al di là delle (spesso retoriche) conclusioni che se ne potrebbero trarre, la clinica Tavistock fornisce un esempio più che pertinente per comprendere come sul corpo dell’individuo, pur in età infantile, convergano una molteplicità di opprimenti meccanismi politici, ideologici ed economici. Non è che il fisiologico approdo delle cosiddette “malattie da mercato”, disturbi arbitrariamente acuiti e patologizzati dagli attori del biocapitalismo, i quali trovano nella medicalizzazione il motore della propria azione economica e nel soggetto non più un paziente bensì un’unità di produzione. 

D’altronde, il regime neoliberista legittima e alimenta sé stesso grazie alla congenita necessità di creare e gestire bisogni, stimoli e pulsioni della popolazione, adattandovi prontamente la più opportuna delle attività economiche. Occorre perciò guardare con sospetto ad un dispositivo biopolitico in grado di sedurre e disciplinare la più profonda coscienza del soggetto, alimentandone la volontà di una liberazione assoluta e indiscriminata; il rischio è di proclamarsi libertari e scoprirsi liberticidi, perché niente come l’amministrazione delle passioni rende agevole l’esercizio del potere.

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