OGGETTO: La santa mediazione
DATA: 26 Aprile 2023
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Analisi
Il "diritto a rimanere", evocato dal Papa per la prossima giornata internazionale del rifugiato, non è un cambio di politica del Vaticano, ma una strategia per guadagnare peso geopolitico.
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Ha suscitato alcune reazioni la scelta del tema da parte di Papa Francesco per la 109esima Giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Puntare l’attenzione sul diritto di rimanere, come precedente e più fondamentale rispetto a quello di migrare (o almeno fondamentale tanto quanto questo) è parso in qualche modo innovativo rispetto alla linea mantenuta in questi anni dalla Chiesa di Roma in tema di immigrazione. Sembra però giusto notare che parlare di «diritto di rimanere» in un momento storico in cui le posizioni e gli schieramenti si delineano in modo sempre più sottile, tramite segni e gesti politici che restano per la maggior parte sommersi per questioni di ovvia convenienza, ha un valore non indifferente. Ma poiché gli indizi migliori si trovano sempre nei posti più inattesi, sarebbe ingenuo fermarsi alla questione esplicita delle migrazioni. 

Dal punto di vista della dottrina della Chiesa Cattolica, infatti, nihil sub sole novi: già Pio XI nella Caritate Christi compulsi (1932) e Pio XII poco dopo avevano posto l’accento – peraltro in tempi non sospetti – sui ‘modi’ della carità. Il punto, elaborato sistematicamente da Tommaso d’Aquino e che in fondo vorrebbe essere di semplice buon senso, si può alla fine riassumere con Dostoevskji: chi dice di amar tutti (e allo stesso modo), in fondo non ama nessuno. E dunque, anche la carità attiva ha bisogno, per essere autentica, di un certo ordine di attuazione. Il Magistero successivo è sempre stato coerente, dunque l’auspicio che la prossima Giornata del migrante apra maggiormente rispetto a quanto si fa ora ad una riflessione sul diritto che ogni persona deve vedersi riconosciuto a poter vivere serenamente nella propria terra, non rappresenta una gran novità. Questo a patto, però, di voler ricondurre il tema del messaggio pontificio interamente entro questa linea di spiegazione: pensare a come permettere non soltanto una vita degna d’esser vissuta a tutti ovunque si trovino, ma anche a garantire una scelta reale sulla possibilità di migrare o meno, è verosimilmente un esempio di carità maggiore rispetto a predicare un’accoglienza non ben definita o la chiusura più totale. 

Ma ricondurre il messaggio a questa spiegazione non è (soltanto) quello che bisogna fare. C’è molto altro – e forse anche qualcosa di ben più interessante – da leggere tra le righe della questione. 

Solo un anno fa, in occasione dell’edizione numero 108 della stessa Giornata mondiale, il tema scelto era stato differente non solo nel contenuto (com’è abbastanza ovvio), ma soprattutto nel tono: la parola d’ordine era ‘costruire’, nella fattispecie ‘costruire un futuro insieme’ non solo in senso inclusivo, ma soprattutto guardando all’arrivo di stranieri come ad una «fonte di arricchimento» (Messaggio del 25 settembre 2022). Ora, ciò che arricchisce deve essere mosso, condiviso, reso dinamico. E sul fatto che il migrante, proprio in quanto tale e quasi come ‘categoria sociologica’, costituisca un’occasione di sviluppo (intrinsecamente positivo, sembrerebbe), Francesco non ha mai cambiato idea. Le sue posizioni in materia sono ben note fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires, ma anche limitandoci agli ultimi dieci anni di papato appena trascorsi, Francesco ha sempre tenuto una linea coerente: il migrante va sempre accolto, mentre da par suo l’Unione Europea deve mostrarsi capace di rispondere ad una sfida, quella delle grandi, recenti migrazioni, a cui gli Stati singolarmente presi non sono (e non si vede come possano essere) preparati. Per conservare quindi un ‘sano realismo’ in materia, sarebbe potuto essere tranquillamente sufficiente attenersi a ciò che negli ultimi anni si è sempre detto. Non ci sarebbe stata alcuna necessità di intervenire con una certa forza, andando a sottolineare che ciò che sembra essere «fonte di arricchimento», può e deve essere messo in condizione di restare lì dov’è fin da principio. Che cosa può portare un Pontefice attentissimo alle problematiche legate alle migrazioni a cambiare così radicalmente il focus del dibattito nel giro di un anno? 

Due elementi sembrano meritare considerazione. Anzitutto, l’evolvere della situazione in Ucraina. La posizione di Papa Francesco in merito è stata fin dall’inizio della guerra molto prudente. Alcune incongruenze saltano però all’occhio. Mentre negli ultimi mesi dello scorso anno il Papa si dichiarava possibilista riguardo al riconoscere la liceità dell’invio di armi in Ucraina, più recentemente di ritorno dal Sud Sudan ha definito il commercio d’armi come «la peste più grande» nell’ambito di una conversazione con la stampa che faceva esplicito riferimento alla guerra in Ucraina, il tutto alla vigilia del viaggio apostolico in Ungheria. Anche in questo caso, il Papa stesso ha collegato il viaggio ai «gelidi venti guerra» che agitano l’Est Europa e agli «spostamenti di tante persone» che «pongono all’ordine del giorno questioni umanitarie urgenti». In questo quadro, insistere sul diritto a restare nel proprio Paese d’origine sembra coincidere con una possibile scelta in termini di posizionamento geopolitico: può essere che il Vaticano, già in Ungheria, provi a porsi in modo esplicito come medium per negoziazioni più concrete verso il ristabilimento di una pace perlomeno temporanea. Questo nell’ottica di fornire soluzioni anche per la attuale crisi migratoria (oggi più corposa di quella che interessa la tratta del Mediterraneo stando ai dati ISPI) senza diventare una pedina in mano altrui: non a caso, il Pontefice torna a pronunciarsi sulla situazione in Ucraina proprio in occasione della visita in Ungheria, uno degli unici Paesi europei ad essersi attestato fermamente su posizioni pacifiste e avverso alla ‘corsa agli armamenti’ degli ultimi mesi.

Dal punto di vista della politica interna, poi, è utile dare un’occhiata alle ultime novità in tema di migrazioni. Il 20 aprile il Senato ha dato il via libera al dl Cutro (emendato per l’occasione dalla maggioranza per evitare problemi di incostituzionalità) e sul tema – anche se non direttamente – si sono già confrontati il cardinale Segretario di Stato del Vaticano Pietro Parolin e la premier Giorgia Meloni in occasione della presentazione dell’Atlante di Francesco, l’ultimo libro del direttore de La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro sulla politica internazionale vaticana degli ultimi dieci anni. Proprio in quest’occasione, mentre la Premier caldeggiava un arbitrato della Santa Sede per risolvere il conflitto russo-ucraino, Parolin esprimeva parole di ‘collaborativo dissenso’ rispetto alle politiche migratorie della maggioranza di governo (il dl Cutro era stato pubblicato tre giorni prima in Gazzetta Ufficiale): sostenendo l’opzione dei corridoi umanitari, ha precisato però come «bisognerebbe passare a una politica più aperta, di accoglienza». Ancora una volta, quindi, non deve generare sorpresa l’apparente oscillazione delle esternazioni della Santa Sede in tema di migrazioni: la posizione è sempre la stessa – esplicita apertura, anche se connotata da un certo ‘realismo’ politico. 

A conti fatti, lo scopo che sembra stare a cuore maggiormente in questo momento al Pontefice è quello di mantenere intatta la possibilità di ritagliarsi un certo spazio di manovra autonomo e indipendente tanto sulla questione russo-ucraina quanto su quella mediterranea. Lo scontro frontale con le politiche restrittive del centrodestra italiano ora come ora non avrebbe alcun senso, in termini di collaborazione fattiva e concrete possibilità di passi avanti: non sembra essere sfuggito alla CEI che maggioranza di governo e Chiesa Cattolica condividano molto più di quanto si potesse pensare prima delle ultime elezioni, soprattutto in termini di elettorato consapevole. Dall’altro lato, una posizione supina rispetto alla sponda atlantista del conflitto russo-ucraino è sempre risultata chiaramente indigesta a Francesco. In ultima analisi, mantenere un’indipendenza ‘terza’ e quindi una rilevanza in questa congiuntura sembra dipendere in maniera vitale dalla capacità di resistere alla tensione polarizzatrice che contraddistingue il dibattito politico odierno su questi temi, e le ultime prese di posizione della Santa Sede vanno lette proprio in questo senso. 

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