Intervista

"La Russia è Europa". L'analisi di Orietta Moscatelli

Abbiamo intervistato Orietta Moscatelli, analista della rivista italiana di geopolitica "Limes".
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L’attuale situazione geopolitica della Russia è molto caratteristica. La Russia si trova circondata da situazioni di crisi e di stallo, penso all’Ucraina, all’Armenia e alla Bielorussia, mentre in altri scacchieri geopolitici geograficamente più distanti come la Libia e il Sudan sta riscuotendo ottimi risultati. Secondo te come si muoverà la Russia? A cosa punterà principalmente?

Un aspetto costante della tattica geopolitica russa degli ultimi anni è quello di muoversi continuamente su più scacchieri geopolitici da un lato per cercare di conseguire il massimo beneficio con il minimo sforzo mentre, dall’altro, per evitare di rimanere incastrata o intrappolata nello scacchiere per eccellenza, cioè lo scontro-confronto con gli Usa e la relativa appendice europea. Questo è uno scacchiere molto complicato e malgrado si parli più degli altri è destinato a rimanere immutato, anche se nella sostanza è molto dinamico, poiché questo scontro-confronto è il frutto di fondamentali geopolitici che sinceramente non penso possano cambiare in modo significato nel breve e medio termine. Gli Stati Uniti di Biden hanno completamente cambiato narrativa insistendo molto su temi come quello delle libertà personali (la questione Naval’nyj in primis). Al contrario questa istanza etica era completamente assente nei discorsi di Trump che parlava sempre di hackeraggio o ingerenze nelle elezioni presidenziali. Tra l’altro, nonostante non venga detto, prestando attenzione ai dati si può constatare che Trump sanzionava come e forse anche più rispetto a questi primi 100 giorni della presidenza Biden; ci sono infatti oltre 50 policy actions del mandato Trump nei confronti della Russia. Tutto ciò per dire che la strategia russa consiste nel cercare e trovare continuamente una molteplicità di scacchieri (Asia, Africa e Medioriente) con il fine di costruire una molteplicità di linee d’azione che si declinano in rapporti economici e di cooperazione in diversi settori come quello della difesa o della cooperazione all’interno di organizzazioni internazionali con il fine di opporsi al primato dell’Onu. Ovunque sia possibile la Russia si propone, e spesso ci riesce, come mediatore avviando azioni negoziali che funzionano e che possono risultare molto efficaci anche per i suoi avversari, come lo è stato per esempio per gli Usa in Afghanistan. L’azione di Sergej Lavrov nel subcontinente indiano ne è una dimostrazione: la crisi della tradizionale vicinanza fra Russia e India e l’avvicinamento di quest’ultima agli Stati Uniti ha portato la Russia a cercare un’alleanza strategica con la Cina e a inserirsi nelle questioni del Tibet e delle frontiere India-Cina. Io provo ammirazione per Sergej Lavrov e lo ritengo il migliore ministro degli esteri al mondo. Rappresenta una scuola diplomatica che non esiste più e comanda un vero e proprio esercito: la struttura del ministero degli esteri russi è impressionante ed è proprio per tutte queste ragioni che la Russia riesce a fare più di ciò che le permetterebbe il suo status reale di potenza regionale. La Russia, infatti, è e rimane una potenza regionale caratterizzata da una grande proiezione globale.

Per quanto riguarda invece le relazioni con l’Occidente la Russia ha le spalle al muro: la Nato e in generale l’Occidente sono molti vicini al Cremlino. Dal 2014 l’Ucraina è de facto un satellite americano e della NATO. Se dovessimo tracciare una linea rossa da Mosca fino al confine ucraino (escludendo la Bielorussia) arriveremmo a poco più di 500 km: in questo senso la Russia è costretta dall’azione di contenimento americana che è arrivata ad imporre un rollback, cioè un vero e proprio indietreggiamento. Questa tattica strategica è applicata dagli Stati Uniti con più costanza che coerenza.

 Gli attuali rapporti della Russia con l’Occidente dimostrano chiaramente che con i primi 100 giorni dell’amministrazione Biden gli Usa, dopo il momento di incertezza e divagazione trumpiano, sono tornati a sottolineare che Europa e Unione Europea sono territori americane. La scelta strategica americana è volta a contenere e respingere la Russia verso i propri confini interni per evitare che ci sia un ritorno di fiamma non tanto con l’Unione europea, dato che i suoi automatismi non lo permetterebbero, ma con la Germania. Ma anche negli Usa ci sono voci che chiedono moderazione nello scontro-confronto con la Russia dato il rischio di un avvicinamento con la Cina. Il rischio è reale ma, evidentemente, al momento non è considerato tale dato che gli Usa hanno chiaramente scelto di mantenere in ostracismo le relazioni fra la Russia e l’Europa ritenendo che ciò costituisca l’obiettivo strategico più importante da perseguire. Questa scelta è motivata dal timore americano non del tutto infondato di perdere l’Europa. Infatti, nella conferenza sulla sicurezza di Monaco Emmanuel Macron e Angela Merkel (che si prepara ad uscire dalla scena politica) dopo aver sottolineato che il rapporto con gli Usa è fondativo, hanno precisato che gli interessi non sono sempre gli stessi e molto spesso non coincidono (soprattutto con la NATO). Tutti questi distinguo hanno spinto gli Usa a quella chiamata alle armi molto forte che certamente ha influito portando l’Italia e tutti i paesi che contano in Europa al loro tradizionale ricollocamento atlantico. Bisogna anche dire che in questo la Russia ci mette del suo dato che le dinamiche interne russe si nutrono di questi attriti che, a loro volta, ne creano di ulteriori. Un esempio è il caso di cui tutti parlano, cioè il caso Naval’nyj: questo sarebbe potuto essere esclusivamente un problema di politica interna e invece è diventato un problema di politica globale che a sua volta influisce sulle dinamiche interne russe contribuendo alla formazione di un concatenamento circolare di causa-effetto in cui non è sempre semplice determinare quale sia la causa o l’effetto. Sinceramente a ciò non vedo una soluzione anche se a volere essere ottimisti ora andiamo verso gli incontri bilaterali Biden-Putin e gli Usa hanno avviato proprio per questo motivo una de-escalation. Inoltre, dopo le elezioni di settembre la Russia potrebbe sentirsi meno assediata, ciò naturalmente dipende da come andranno queste elezioni e da cosa accadrà prima durante e dopo.

Dei dossier più importanti per la Russia quello bielorusso è uno dei più particolari. Nonostante le proteste contro Lukashenko per il momento il popolo non sembra intenzionato a un riposizionamento in senso atlantico della Bielorussia. Il malcontento nei confronti di Lukashenko non si traduce in un sentimento antirusso e tra l’altro è ben noto che fra Putin e Lukashenko non corra una grande simpatia. Tu come la vedi?

È vero, hai ragione. Io credo che la Bielorussia sia in veloce cambiamento dato l’impressionante ricambio generazionale che ha caratteristiche e conseguenze specifiche. Nonostante il popolo sia sceso in piazza contro Lukashenko, bisogna notare che nei confronti della Russia c’era e rimane un senso di comunanza. Inoltre, la Bielorussia applica anche un certo intelligente pragmatismo essendo consapevole del fatto che senza la Russia sarebbe difficile sbarcare il lunario. Allo stesso tempo credo, e la Russia lo sa bene, che tutte queste storie relative all’annessione non porteranno a niente. Il rapporto Russia-Bielorussia non porterà alla scomparsa della Bielorussia che, in ogni caso, è destinata a subire grandi evoluzioni. Lukashenko è in questo senso un alleato inevitabile per Putin, anche se fra i due ci sono molti attriti. Lukashenko è un maestro delle giravolte ed è in grado di temporeggiare e procrastinare decisioni importanti con grande maestria, molto spesso Putin è costretto a subirlo: Lukashenko è un animale politico di razza di tout court. Inoltre, la Russia è consapevole dei profondi cambiamenti che la Bielorussia subirà: la maggior parte dei giovani, infatti, va a studiare in Europa (dalla Polonia a Bruxelles). La Bielorussia è il paese dell’ex blocco socialista che ha la maggiore quantità pro-capite di visti per studio in Europa. Questa generazione intermedia che superficialmente viene definita generazione internet ha coscienza di sé in quanto bielorussi, cosa che i loro genitori non avevano ben chiaro. Oggi al contrario i giovani si sentono bielorussi e quindi quello della Bielorussia è un contesto davvero molto particolare. Pur considerandolo dichiaratamente una delle linee rosse da non oltrepassare, il Cremlino gestirà questo dossier con estrema attenzione.

Mi sembra che l’annessione sia molto improbabile in quanto costringerebbe a decisioni irrevocabili e quindi ad un cambiamento di rotta rispetto a quel pragmatismo intelligente di cui hai parlato.

Sì, è così. L’annessione faceva comodo ad entrambi in quanto carta negoziale per ottenere altre vantaggi. Per Lukashenko lasciare intendere che si poteva giungere all’unificazione con la Russia costituiva una preziosa carta negoziale da usare con l’Occidente, mentre il vantaggio che Mosca ha tratto da questa dinamica consiste in quello che è il vero a breve e medio termine: cioè una forte integrazione economica capace di “blindare” la Bielorussia alla sfera di influenza russa.

Per quanto riguarda le relazioni della Russia con la Turchia, se da un lato abbiamo la geopolitica espansionistica attuata da Ankara e la cooperazione militare con l’Ucraina, l’insistenza sull’appartenenza al mondo turcofono e quindi l’espansionismo in Asia centrale attraverso il Consiglio di cooperazione dei paesi turcofoni, oltre al fatto che tradizionalmente le relazioni fra Russia e Turchia non sono mai state molto distese, dall’altro, abbiamo il conflitto del Nagorno-Karabakh, che sembra non aver incrinato né le relazioni russe con l’Azerbaigian, né quelle con la Turchia. Come pensi si evolveranno le relazioni Russia-Turchia?

Cercando di usare il grandangolo ci troviamo ancora in quella fase che è fotografata benissimo dal conflitto del Nagorno-Karabakh. La Russia ha messo qualche paletto ma in fondo ha lasciato mano libera alla Turchia forse perché questo conflitto non avrebbe portato a nulla e inoltre perché questa situazione per la Russia non era più sostenibile. La Russia da anni cercava di proporre una soluzione di compromesso che l’Armenia non accettava e quindi ha lasciato fare per arrivare finalmente a una soluzione definitiva o, per meglio dire, all’inizio della soluzione (a spese dell’Armenia). Infatti, la Russia punta ad aprire nuove vie di collegamento verso il Mar Caspio e l’Eurasia che siano un beneficio non solo per sé ma anche per la stessa Armenia. Questi benefici sono condivisi anche dalla Turchia: l’obiettivo è quello di alimentare la prospettiva di un futuro dove il fattore economico sia più importante di quelli che per esempio hanno causato il conflitto del Nagorno-Karabakh. Io penso che le relazioni con la Turchia diventeranno sempre più complesse e che per la Russia la Turchia diventerà un problema. Il Caucaso è una delle regioni in cui la proiezione della Turchia è abbastanza inevitabile, bisogna anche dire che fino ad ora non lo è stato e che allo stesso modo della Russia, la quale ha un un peso minore, si muove su più scacchieri. La Turchia mira a potere rivendicare il diritto a una propria sfera di influenza: alla fine bisognerà inevitabilmente decidere di chi è il Mar Nero. E sarà una questione molto complicata. L’avvicinamento della Turchia all’Ucraina è da leggere in questo senso, cioè come consolidamento delle proprie posizioni rivolte al perseguimento di obiettivi strategici futuri. Inoltre, in Asia centrale sono presenti molte attività imprenditoriali turche. Questo significa che anche qui la Russia si troverà a dovere triangolare la propria azione geopolitica con la Cina, dato che con essa condivide ruoli diversi. La Russia si accontenta di rimanere l’attore principale dell’area dato il suo peso storico-politico che è oggettivo, mentre la Cina punta sulla penetrazione economica in questi territori. Secondo me in questo momento la Russia si trova in uno stato mentale caratterizzato dalla presa di coscienza della propria natura e del proprio ruolo di paese che non solo vuole e può contare sulla scena internazionale, ma deve. Ciò è dovuto dal fatto che per la Russia, quando non ha un posto al tavolo delle grandi potenze, si moltiplicano i problemi interni. Questa mentalità è molto lontana sia da quella imperiale sia da quella sovietica. La Russia ha elaborato tutti i cambiamenti traumatici che hanno caratterizzato gli anni seguenti al crollo dell’Urss e ha altresì preso coscienza dall’arretramento della sua sfera influenza tradizionale con la perdita molto pesante dell’Ucraina. Questo nuovo stato mentale è dimostrato dall’azione nel Caucaso meridionale, cioè nella crisi del Nagorno-Karabakh. Questo scacchiere geopolitico è l’esempio di un nuovo pragmatismo la cui azione è dettata da interessi oggettivi. Per molto anni abbiamo visto una Russia che perseguiva interessi di diverso tipo.

Se dovessi definire la Russia di oggi con una categoria, ammesso sia possibile, quale sceglieresti?

Per definire adeguatamente la Russia di oggi credo sia necessario fare riferimento alla definizione di Dmitrij Trenin e cioè a quella di paese post-post-imperiale. Sommando tutto quello che ha vissuto dopo l’Urss oggi la Russia si sente a ragion veduta un grande paese (non solo dal punto di vista territoriale, anche se il punto di vista territoriale è oggettivo) che rivendica una propria alterità e specificità in base alla quale può e deve avere una voce in capitolo a livello internazionale. Non si tratta di un senso di grandeur, ma della presa di coscienza storica dei problemi futuri (come, per esempio, quello demografico) di un paese spalmato tra Europa e Asia; collocazione che per motivi di sopravvivenza, proiezione e influenza impone una presenza non secondaria su più scacchieri geopolitici. La Russia non si sente più un impero, sicuramente non si sente più tale in senso sovietico, ma all’interno rimane un impero. Ciò è dovuto al forte multinazionalismo e alla natura dell’assetto federale russo che implicano un pragmatismo da impero, il quale è messo all’opera soprattutto in questa fase pre-elettorale nella quale il vincolo federale russo viene sempre sottoposto a tagliandi. Per riassumere credo sia una Russia con spalle al muro sul fronte occidentale che è sempre più convinta che la svolta verso est sia inevitabile e giusta, è proprio giusta in quanto inevitabile, anche se non conveniente in eterno. Come dicevo Russia e Cina faranno ancora un bel pezzo di strada insieme seguendo il corso della storia e le dinamiche globali: la storia adesso si compie soprattutto nel quadrante ad est della Russia europea e proprio per questo la Russia oggi scommette sul partenariato strategico con la Cina che al momento funziona e fa comodo ad entrambi ma che a mio parere in prospettiva sarà difficile da gestire soprattutto da parte russa. In ogni caso per me la Russia resta Europa e sono convinta che in Europa tornerà con le sue rivendicazioni di sedere al tavolo delle potenze reclamando un diritto alla propria diversità e alterità che nel frattempo sono certamente acuite da percorsi ideologici e di potere molto aleatori: oggi vengono messi in vetrina e domani andranno a fine in soffitta. La coscienza di essere Europa è ciclica e a volte carsica: oggi è carsica soprattutto a livello di élite, meno a livello di opinione pubblica e meno ancora a livello di opinione pubblica delle nuove generazioni e questo significa qualcosa. L’Europa senza Russia può certamente essere Unione europea, ma non è Europa a pieno e quindi lì ritorneremo.


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