Nell’anno che segna le elezioni americane, dove Biden e Trump sembrano destinati a contendersi il titolo della carica politica più importante del mondo, i Media cercano di comprendere chi sarà in grado di convincere il popolo americano. Quale retore sarà migliore tra i due contendenti per l’opinione pubblica? La polarizzazione concettuale ha assunto ormai tonalità quasi catastrofiche, dove guerre, diplomazie e economie attendono. Ma le parole non hanno tutte lo stesso senso e ormai ogni singola dichiarazione sottostà a logiche cognitive ben precise, a “frame” mentali come sostiene George Lakoff (Moral Politics; Why Trump e addirittura di un manuale per guidare i Democratici a vittorie su discussioni politiche: Non pensare all’Elefante!, 2004).
Lakoff incarna perfettamente il frame mentale del pensiero corretto, scientifico e democratico. La psicologia cognitiva, tramite la Linguistica, accede al mondo Politico; accede addirittura alla metafora e scardina il suo utilizzo, proponendo un corretto modo di vederle e una giustapposizione nella morale. Per Lakoff l’uomo di destra è il dominatore del linguaggio che incarna il “frame” del Padre autoritario (Patriarca) con la sua modalità espressiva arriva a controllare le nostre menti e convincerci con soluzioni semplici a problemi complessi. Al contrario, il Democratico invece è il parente amorevole, giusto e che tiene ai propri figli. È evidente che l’obiettività scientifica di Lakoff corrisponde alla sua morale e la sua visione del mondo. Per quanto condivisibile possa essere la visione critica di questo studioso, la cecità che lui stesso accusa finisce per essere “causa sui” è forse un eccezionale aiuto al mondo repubblicano.
Lo studio linguistico è solo apparentemente avulso da significati politici e filosofici. È necessario per il comune lettore, che assimila il nome di Chomsky e i suoi allievi al genio indiscutibile del risultato “oggettivo”, far chiarezza sulla discutibile impostazione epistemologica e sulle ancor più discutibili conseguenze filosofiche e sociali di questo tipo di linguistica. Va ricordato infatti lo sviluppo immenso che la grammatica generativa ha dato allo studio dei linguaggi naturali e formali e del loro rapporto. Tale studio ha un importante ruolo nello sviluppo dei linguaggi di programmazione, degli algoritmi e delle automazioni legate all’intelligenza artificiale e l’informatica. Questi risultati indiscutibili non giustificano comunque il non prestare attenzione ad eventuali rischi legati agli studi linguistici. E dove è percepibile tale rischio? La distinzione chomskyana tra struttura superficiale e struttura profonda, permette di chiarire una fallacia che darà origine allo studio della semantica in ottica cognitivista. Infatti Chomsky, includendo la sintassi nella teoria ricorsiva delle funzioni, dove lo studio algoritmico dei simboli è slegato dalla loro interpretazione e da ogni percezione psicologica, permise così un distacco dal discorso veritativo legato alla logica di Frege, connessa alla semantica tradizionalmente intesa.
La logica classica infatti, fino a Frege incluso, non separava il significato delle parole dal loro costrutto sintattico, operazione giunta con Chomsky e proseguita dalla sua “scuola di pensiero” nel corso degli anni Settanta. Da questa contraddizione si sviluppò lo studio del suo “allievo” George Lakoff e una diatriba interna alla materia nota come “Linguistic Wars”. Questo professore di Berkeley, collegandosi allo studio della semantica formale tramite la quale ottenne il concetto di “soddisfacibilità”, connetté la “verità” al dato cognitivo. L’espediente metodologico in questione, ovvero la formalizzazione dei significati delle parole, tramite l’uso di teorie logico-insiemistiche, permise così al professore di Berkeley di entrare nel solco dimostrativo classico della filosofia analitica.
Merito di Lakoff è quello di riportare nel terreno dello studio linguistico il concetto di “significato”, ma l’assunto cognitivista come filtro è ideologico e bisogna prestarvi particolare attenzione. Lakoff non si accontenta del risultato linguistico, giunge a dichiarare nel suo paper “Philosophical Speculation and Cognitive Science” che l’intera analisi filosofica va ricostruita tenendo conto dei risultati sperimentali delle neuroscienze e della psicologia cognitiva. Tramite questo doppio anelito, Lakoff sembra voler sostituire lo studio filosofico allo studio della linguistica come scienza cognitiva: nel suo “Linguistic as a Cognitive Science and It’s Role in an Undergraduate Curriculum” le domande dove il suo campo di studi può fare chiarezza, costituiscono una lista di classici esempi di domande della filosofia otto-novecentesca inframezzate a possibili rese funzionali della linguistica nel sistema culturale odierno.
Le sue teorie hanno una portata molto grande nel suo campo disciplinare, con innumerevoli applicazioni. Ma secondo quale criterio? Quale aspetto dello studio cognitivo permette di avere una tale portata?
Lakoff è noto nel mondo della Linguistica come lo studioso delle Metafore Concettuali; dove queste ultime sono individuabili tramite il linguaggio e da esse è possibile risalire, in termini di astrazione, fino a ciò che Lakoff definisce come domini concettuali. Lakoff opta per una segmentazione e divisione insiemistica delle induzioni percettive. Lo scopo è costruire una serie di domini semantici riconducibili a strutture cognitive. Ma cosa intende egli precisamente? Lakoff introduce il concetto di “Image-Schema”: da una specifica percezione/osservazione è possibile costruire concetti astratti, attraverso degli schemi cognitivi che orientano.
Il principio di selezione complessiva degli elementi è determinato dal corpo-mente secondo una logica insiemistica, mentre il loro funzionamento è meta-matematico. Lakoff infatti sposta un cardine della tradizione filosofico-analitica, dove la mathesis universalis è sostituita da una cognitio universalis. La matematica è l’output derivato da input cognitivi, che simultaneamente seleziona e ordina l’insieme dei dati conoscitivi. Tali aspetti dello studio di Lakoff trovano una perfetta esemplificazione nel volume “More than Cool Reason: A Field Guide to Poetic Metaphor” dove sono presenti categorizzazioni e continue esemplificazioni riguardanti le “mappature” annesse a figure retoriche, con un focus specifico sulla Metafora: “le parole evocano degli schemi” e “le metafore mappano schemi su altri schemi”. Da questo apparente appiattimento e confuso senso della metafora, Lakoff deduce un ulteriore senso. A suo dire il fatto che “le parole stanno per il concetto che esprimono” è da intendersi come una metonimia, ovvero come una causa che si nomina nel suo stesso effetto, privando la metafora della sua capacità di apertura del senso.
Lakoff riconsidera l’uso e il contesto della metafora alla prova della ratio analitica. Eppure le sue analisi mostrano, anche nelle più banali spiegazioni, l’appiattimento a cui, ad esempio, la poesia può giungere se incanalata in binari d’analisi fondati sulle funzioni logico-descrittive da Lakoff teorizzate. Propria questa analisi “empirica” dei vari collegamenti semantici assume il sapore dell’autopsia sulla poiesis, mentre per chi abbia una sufficiente sensibilità letteraria, assume il tono della banalità deduttiva. Le analisi poetiche non aggiungono nulla alla vera carica di pathos, ma anzi allontanano il lettore dalla Mimesis ideale con le visioni evocate.