OGGETTO: La morte della talassocrazia
DATA: 03 Gennaio 2024
SEZIONE: Geopolitica
Dal Mar Rosso non giungono solo oggettivi elementi di valutazione geopolitica tout court, ma anche indicazioni ed auspici per una politica estera partecipe, consapevole e proattiva. Il multilateralismo è bene accetto, ma senza perdere di vista la direzione indicata dalla stella polare della strategia e degli interessi nazionali.
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Un’analisi centrata è abrasiva, quanto più instilli dubbi dissipando facili convinzioni a la page, tanto più coglie nel segno. Non saremo da meno. Siamo sul mare; partiremo dalle rotte più note per giungere all’ultima Thule di quel che sfugge in via generalista.   

Il conflitto israelo-palestinese è entrato in una dimensione marittima relegata dal 1967 alla chiusura egiziana degli Stretti di Tiran; gli Houthi, epigoni nasseriani e proxy iraniani, stanno adottando tattiche aggressive verso il commercio transitante nello stretto di Bab-el-Mandeb, il solo accesso dall’Oceano Indiano per Eilat (Israele), Aqaba (Giordania) e Jeddah (Arabia Saudita), ed impattanti su Suez, tattiche tali da far rammentare quel che il vate Alfred Thayer Mahan scrisse poco più di cent’anni fa, ovvero che la strategia marittima riguarda in ultima analisi l’accesso finalizzato a garantire la libertà della navigazione, visto che nessuna potenza può dirsi egemone se trascura il mare, e che il controllo degli stretti permette aperture e chiusure degli accessi economici globali. Le guerre ucraina e gazawi non attentano alla sicurezza americana, interessata alla libertà dei mari perché fondata sul controllo dei chokepoints; ma la libertà di navigazione rimane fondamento imperiale statunitense, indirettamente utile agli stessi interessi cinesi che, privi di aperture commerciali, andrebbero in sofferenza per la mancata crescita del PIL. Peccato che i missili Houthi siano stati sviluppati da Teheran su tecnologie pechinesi. 

Il concetto marittimo è sempre stato chiaro per qualsiasi società dagli alleli intrisi di acqua salata: la proiezione commerciale e di potenza achea verso Ilio e l’entroterra anatolico è lì ancora a ricordarlo. La talassocrazia rimane un presente ancorato al futuro; chi la smarrisce, privo di animus bellico oltre che commerciale, perde anche l’egemonia continentale plasmata dal potere marittimo, incompatibile con la giuridicità del principio di effettività. La minaccia non è dunque limitata all’israeliana Eilat, ma lambisce il commercio globale, dato che gli attacchi stanno imponendo alle compagnie mercantili di riorganizzare tempi, premi assicurativi, consumi, itinerari condizionati dalla necessità di doppiare il Capo di Buona Speranza.

Gli zayditi Houthi, poco sensibili ai dettati di Montego Bay, non stanno bersagliando solo vascelli affiliati ad Israele o lì diretti, tanto che Jack Kennedy di S&P ha sottolineato che soprattutto l’Iran, dominus dei ribelli e che monitora il traffico fornendo intelligence tattica oltre che l’appoggio della Nave Alborz, intende estendere lì la propria capacità proiettiva, incrementando influenza geopolitica regionale e planetaria, oltre che per incidere marginalmente sulla Palestina; più che un’espansione bellica gazawi, riaffiorano processi paralleli, riflettenti sì la questione palestinese, ma che mantengono una valenza identitaria e locale utile a puntellare la politica interna di San’a’; non è escluso che gli Houthi mirino a rafforzarsi nell’ambito dei colloqui di pace con i Sauditi, a loro volta in cerca di un’uscita dignitosa dal pantano yemenita. Riyadh, riavvicinandosi all’Iran mercé la mediazione del Dragone, auspicava il raggiungimento di un compromesso; ma gli Houthi, rimangono giocatori elusivi, usi ad attaccare in via asimmetrica mentre negoziano.

Attraverso Bab-el-Mandeb le portacontainer (30% del traffico) raggiungono il canale di Suez, la via più breve tra Asia ed Europa attraverso cui passa il 12-15 % di tutto il traffico mercantile, la cui potenziale inaccessibilità ha indotto diverse compagnie mercantili a considerare l’unica alternativa marittima percorribile, la circumnavigazione dell’Africa, con aumenti dei costi fino a 1 milione di dollari per nave; un infarto logistico richiederebbe lo studio di nuove e complesse intermodalità, in futuro ovviabili con il corridoio Imec, soluzione economicamente differenziante per i trasporti specie in chiave de-risking. Benché non sembri ipotizzabile una repentina riproposizione delle criticità logistiche determinate dalla situazione pandemica e dalla politica monetaria restrittiva imposta dalle banche centrali, mentre globalmente intorno febbraio si principierà ad avvertire il peso delle isteresi, l’economia egiziana ricrollerà più rapidamente date le precarie e preesistenti condizioni. Paradossalmente, al momento, il meno colpito è Israele, dato che solo il 5% del suo commercio marittimo passa per il porto di Eilat, benché non possano trascurarsi ricadute di lungo termine. A largo spettro, poiché prevalgono partenariati bilaterali regionali, si riduce la stabilità degli scambi commerciali e si traccia una nuova mappa delle alleanze, con un nearshoring in paesi vicini per evitare minacce alla filiera produttiva, come la sfida portata dagli Houthi.

Se la protezione dei convogli diventa difficile e dispendiosa, non si può certo escludere l’opzione risolutiva, ovvero quella indirizzata a cancellare ab initio la minaccia, innescando tuttavia il problema politico di un allargamento del conflitto, foriero di rappresaglie generalizzate; d’altro canto, un’azione diplomatica marittima rafforzante gli Accordi di Abramo, potrebbe agevolare Israele nel mutare la minaccia Houthi in opportunità strategica, specie se gli USA riuscissero nella mission impossible di compattare una già politicamente frammentata coalition of willings, capace di suscitare perplessità nel mondo armatoriale, ma non in Assoporti e Federpetroli Italia, e per cui è stato già trovato un nome ma non le navi: Prosperity guardian, operazione per la quale l’Europa preferisce navigare sotto il vessillo dell’Operazione Atalanta, che opera in coordinamento con Combined Maritime Forces a guida americana per la tutela di Mar Rosso, golfo Arabico ed oceano Indiano, pur con tutti gli inevitabili distinguo, a cominciare dalle regole d’ingaggio, e per cui l’India ha schierato non a caso due caccia nel Golfo di Aden. Le rappresentanze di personale militare occidentale offerto a supporto di Centcom hanno il vago sentore di un’imbarazzante boutade.   

Roma, Dicembre 2023. XIII Martedì di Dissipatio

In cauda venenum: l’Italia e le disagevoli riflessioni che richiede, alla luce di un persistente spirito tendenzialmente gregario o comunque attento al cortile ma poco versato per il più ampio respiro internazionale, dove la leadership dovrebbe associarsi naturalmente alla proiezione strategica di potenza. Privi di genuino sentimento talassocratico, l’antico Mare Nostrum è divenuto eorum, se non addirittura una Patria Azzurra turca in espansione egemonica, e nulla può garantire una stabilità effettiva come un sistema di alleanze che replichi (pallidamente) la storica divisione equorea e settoriale romana, consentendo il dominio delle vie marittime. La magnifica idealità di un Mediterraneo Allargato, al netto di ulteriori aggettivazioni concettualmente ripetitive, si scontra ora con una realtà storica che ha visto il Paese, pur immerso nel mare, volontariamente lontano dalle logiche strategiche e dunque poco rilevante. Posto che gli interessi nazionali passano anche da Bab-el-Mandeb e da Suez, e che non è ammissibile sottostare ad alcuna vessazione, dovremmo considerare il Mediterraneo come il fluido di partenza da cui arrivare oltre Suez, proiettando un’idea strategica talassocraticamente profonda e funzionale agli interessi nazionali. Per un talassocrate il mare è, non si allarga né si stringe. Il Fasan, dal punto di vista della politica del balancing, può essere un magnifico punto sinergico politico-operativo, capace, se lo si desidera, di disegnare nuove traiettorie non oscillanti, accrescendo e valorizzando coerentemente il peso politico determinante in modo da rallentare realisticamente qualsiasi declino a cominciare dal soft power così come inteso da Nye. Dalle evoluzioni politiche del Mar Rosso, dunque, non possiamo che auspicare una strategia razionale e, abrasivamente, realistica. Del resto lo abbiamo detto all’inizio. 

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