Venezia – Un tappeto rosso e d’amore, siamo nell’azione che si fa Atto, nell’amichettismo che si fa Amicizia, quella straziante e viscerale, che ti consola, ti riconcilia col mondo e alla fine ti fa sentire meno solo, dunque, ti fa sentire vivo e mai immortale. Questo in fondo è il substrato spirituale di Enea, film di Pietro Castellitto, proiettato in anteprima sullo schermo del Palazzo del Cinema in occasione della Biennale, e prodotto da un coraggiosissimo Lorenzo Mieli in coppia con Luca Guadagnino. Chi scrive è un intruso, un estraneo, un profano, che non va al cinema, non guarda la tv e fa un po’ di sport. Ma tutto ha inizio in una delle tante serate trascorse insieme, a tenerci compagnia, all’ombra della Chiesa di San Bellarmino, sulle note di un certo Tutti Fenomeni, novello Leopardi, che canta “Antidoto alla morte”. Non siamo dei compagni di solitudine, non cerchiamo un senso come antidoto alla noia, non vogliamo vivere nascosti come antidoto alla moda, noi vogliamo essere un clan. Così, con questa scena, inizia Enea, con Tutti Fenomeni che improvvisamente diventa Giorgio Quarzo Guarascio in arte Valentino, nella sua prima assoluta da attore e co-protagonista. Con lui e con un cattivissimo quanto ironico Matteo Branciamore, Pietro Castellitto nel ruolo di Enea, decide di intraprendere il viaggio più difficile, dentro al grande buco nero della vita, fuori dal grande schermo, nel campo di battaglia dove si sta svolgendo la vera lotta per il potere: la mente degli spettatori in sala. Perché con questo film, spiazzante e inaspettato, con scene che sono proiettili, Pietro Castellitto ha iniziato una contro-rivoluzione cognitiva, un’opposizione radicale alla mutazione cognitiva in corso, ancora più violenta di quella antropologica ormai in fase di radicamento. È Cesare, figlio di Sergio, un uomo assoluto prima di essere uno dei migliori attori italiani, suo fratello minore nel film come nella vita, termometro e custode, della purezza dei sentimenti e delle passioni. Del mondo che va in avanti e al contrario. Un sopravvissuto, come il bambino che scappa e che piange tra le macerie – in Enea che urla, dice parolacce e fuma sigarette non elettroniche – in quella fotografia divenuta celebre nel 1972 e che poi vinse il Pulitzer.
Con Enea, vengono ribaltati tutti gli schemi, decostruiti tutti i canoni, spezzati gli algoritmi della grande distribuzione. Un genere senza genere ma soprattutto una trama senza trauma che azzera tutto, a partire dalla psicologia dei personaggi. Eroi romantici, che appartengono alla loro epoca, paralizzata come loro, con gli AirPods nelle orecchie, le iqos in bocca, e i pali nel culo. Poche idee, confuse, ma con una sola certezza: “il paradosso tragico dell’esistenza è che la vita la senti meglio in guerra, e per sentirsi vivi devono inventarsi la loro di guerra”. Parole straordinariamente vere, ripetute dallo stesso Pietro Castellitto in conferenza stampa. Che nel film ritornano in due scene con due attori unici nel loro genere: il monologo sull’amore di Adamo Dionisi che interpreta il malavitoso, e il dialogo sul potere e la potenza con Giorgio Montanini nelle vesti dell’intellettuale appartenente alla buona famiglia della democrazia. Ad unirli è una frase da antologia: “Dove ci sono i buoni ci sono i soldi”.
Entriamo in una nuova fase, siamo di fronte a un cambio di paradigma del cinema italiano, della tragedia che si fa commedia e viceversa, e solo chi ha la guerra in testa, poteva avere il coraggio di provarci, contro chi si aspettava una sequenza educata di cliché. E invece Roma Nord, come luogo dell’anima, diventa davvero un VietNam delle passioni e dei sentimenti. “Dentro son già morti tutti”, “sono tutti rotti” e ancora “le persone sorridono e vanno avanti qualsiasi cosa succeda”. Enea è la catena di montaggio della nostra esistenza, ma anche l’ingranaggio che rompe la catena di montaggio dell’industria cultural-cinematografica. Enea è l’anti-eroe che sì si confronta con le sue ambizioni, di cui non si sente all’altezza, ma soprattutto colui che si misura con la morte e ci ricorda, tramite il pensiero ricorrente a Giordano, di essa. Enea è la stagione della vita, la violenza dei trent’anni, il funerale della giovinezza, il battesimo della fase adulta, un inno alle madri prima ancora che ai padri, nonostante Anchise, il mistero dopotutto, dell’Amore. In alto i cuori, Pietro Castellitto.