OGGETTO: La guerra delle lavatrici
DATA: 10 Febbraio 2023
SEZIONE: Economia
Mentre sullo sfondo rimane la possibilità di un confronto militare a Taiwan, Washington e Pechino si fanno la guerra per il mercato dell’elettrodomestico.
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Nell’ultimo memorandum scritto dal Generale Usa Mike Minihan – capo dell’Air Mobility Command – viene riportato che entro il 2025 Cina e Stati Uniti potrebbero fronteggiarsi in guerra. Nella stessa direzione di quanto sostenuto dal Generale, possono essere ritenuti collegati i movimenti diplomatici del Pentagono nel Pacifico delle scorse settimane, che hanno portato alla stipula di accordi militari con le Filippine per l’apertura di altre quattro basi militari nel Pacifico per ospitare diversi contingenti della Us Army. 

Di fatto un’altra guerra tra Stati Uniti e Cina è in corso e, questa volta, il primo colpo di cannone, in senso metaforico, lo hanno sparato gli Usa, ed è stata la promozione di una guerra commerciale, senza quartiere, contro Pechino e le sue multinazionali. Guerra che ufficialmente è stata inaugurata dall’amministrazione Trump nel 2019, quando impose delle sanzioni al 5G di Huawei e la multinazionale cinese venne inserita in una sorta di black list, definita “entity list“. 

L’escalation del conflitto si è avuta con l’amministrazione Biden: nel marzo del 2021 sono state imposte anche per la vendita di prodotti Zte, Hytea e Hikvision, leader mondiale nel campo della videosorveglianza. La scusa consisteva che i prodotti di queste multinazionali, tutte cinesi, avrebbero potuto rappresentare il pericolo per i cittadini Usa di essere oggetti-spia nelle mani cinesi. La Casa Bianca ha così rilanciato la sua offensiva. Nell’aprile del 2022 ha nominato Alan Estevez a capo dell’Ufficio della Sicurezza per l’industria del Dipartimento del Commercio Usa. Estevez, uomo dello spoil system del Partito democratico, nella seconda amministrazione Obama aveva ricoperto il ruolo di responsabile per la logistica del Pentagono. La sua nomina a capo di questo dipartimento è stata strategica proprio in vista dell’inasprimento della  guerra commerciale contro la Cina.

Secondo l’articolo scritto da Henry Paulson, già segretario al tesoro Usa dal 2006 al 2009 nell’amministrazione di George W. Bush, per Foreign Affairs, intitolato America’s China Policy Not Working, il cosiddetto “decoupling“, da parte di Cina e Usa, è ormai irreversibile. E alla fine dei conti, si legge, il controllo che Washington sta facendo sulle esportazioni dei prodotti cinesi è una scusa per proteggere la propria economia. Questo blocco unilaterale, a detta di Paulson, può portare ad un innalzamento dell’aggressività militare da parte della Cina. In quest’ottica fanno eco le dichiarazioni della portavoce del Ministero degli esteri della Repubblica popolare cinese, Mao Ming, la quale ha accusato gli Usa di creare appositamente delle finte prove per danneggiare l’economia cinese.

Ma la guerra commerciale è arrivata a toccare tutti i business, come quello dell’elettrodomestico per la casa. Settore non ad alto valore aggiunto, né per competenze intellettuali e manuali, né per utili, ma che per gli Stati Uniti rappresenta un terreno di scontro molto importante con la Cina, anche perché in circa trent’anni quest’ultima è diventata potenza mondiale nella manifattura, e nel settore degli elettrodomestici in modo particolare, a discapito delle multinazionali occidentali. Il suo disaccoppiamento dall’economia americana e occidentale rappresenterebbe un indebolimento del tessuto economico e sociale della potenza cinese.

Emblematica è stata la cessione da parte della multinazionale americana dell’elettrodomestico Whirlpool – si parla del ramo nell’area dell’Emea (Europa-Medio Oriente- Africa) – alla turca Arcelik. Di fatto una vendita, ma formalmente la multinazionale americana ha creato una nuova newco insieme ad Arcelik, dove la multinazionale americana deterrà il 25% delle partecipazioni e la controparte turca il 75%. Come ha riportato la testata economica italiana Firstonline, questa soluzione per Whirlpool è stata una seconda scelta. Da quando dallo scorso aprile, la multinazionale americana, con sede la sede legale a Benton Harbour nel Michigan, ha annunciato di voler abbandonare l’Europa e concentrarsi nel mercato più redditizio del continente americano, in cui di fatto detiene il monopolio del mercato dell’elettrodomestico, un’altra big si era fatta avanti per rilevare le attività di Whirlpool in Europa, con tutti i suoi relativi stabilimenti produttivi, centri di ricerca ed uffici commerciali: la cinese Midea Group, multinazionale con un fatturato annuo, dichiarato dall’azienda, di oltre 53 miliardi di dollari e che ricopre il 245° posto nella classifica di Fortune Global 500. L’offerta sarebbe stata sarebbe quella migliore per Whirlpool, ma ha dovuto cedere, obtorto collo, ai postulati del Dipartimento del Commercio Usa che pressavano per non accettare l’offerta di Midea. Va da sé che il Dipartimento del Commercio abbia utilizzato come moral suasion gli oramai famosi decreti: Build back better, Chips Act e l’Inflaction reduction Act. Quest’ultimo, in modo particolare, dovrebbe distribuire fino a 369 miliardi di dollari, sotto forma di agevolazioni fiscali, alle corporation che riportano la produzione in Usa dalla Cina ed anche dall’Europa.

Lo stesso Dipartimento per il Commercio, per giustificare un’eventuale futura restrizione della messa al bando di elettrodomestici cinesi nel mercato Usa, potrebbe utilizzare la scusa che gli elettrodomestici di nuova generazione, che hanno la possibilità di connettersi alle reti domestiche, possano essere dei dispositivi per spiare gli utenti. Come ha riportato il quotidiano inglese The Telegraph, l’agenzia privata Ooda (Observe, Orientate, Decide, Act) ha stilato un rapporto in cui ha menzionato che diversi domini microchip, inseriti all’interno delle automobili ed elettrodomestici di fabbricazione cinese, possono raccogliere dati personali dei proprietari degli elettrodomestici e fornire alla Repubblica popolare cinese i dati personali degli utenti.

Ma in verità l’elettrodomestico smart sembra che non abbia avuto successo nel mercato statunitense. Secondo un articolo del Wall Street Journal, multinazionali dell’elettrodomestico che vendono prodotti in Usa, come la coreana Lg, la quale ha dichiarato che meno della metà dei prodotti venduti nel mercato americano viene connesso alla rete domestica. L’articolo cita anche la Whirlpool, che ha dichiarato che solo poco più della metà dei suoi prodotti vengono connessi ad Internet. L’impressione che diversi esperti del mercato dell’elettrodomestico hanno sui possibili utilizzo degli elettrodomestici utilizzati come spia sembra essere un vera e propria bufala, utilizzata per spaventare i consumatori nel non acquistare i prodotti cinesi.

Elettrodomestici cinesi che già sono sul mercato degli Usa. Nel 2016 l’altra grande multinazionale cinese dell’elettrodomestico, l’Haier, acquisì per 5,4 miliardi di dollari il ramo dell’elettrodomestico dell’altra storica corporation Usa, la General Electric. Un anno prima l’antitrust statunitense aveva bocciato l’acquisizione di General Electric da parte della svedese Electrolux. Oggi sicuramente le cose non sarebbero andate di certo così.  

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