L'editoriale

La Grande Conversione

Il nazional-populismo ha vinto la battaglia delle idee ma ha perso la guerra dell’occupazione del potere. Non è il popolo a volere un'élite, ma è l’élite a essere diventata populista. Per convergenze internazionali favorevolie istinto di sopravvivenza, il sistema è diventato anti-sistema.
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Su queste colonne lo scrivevamo letteralmente a settembre del 2019, sei mesi prima dell’epidemia, vero acceleratore di questo processo, nonché espediente perfetto per dichiarare al mondo “la grande conversione” di un sistema complesso oggi diventato deliberatamente “anti-sistema”. Non sappiamo se è un cambio di tendenza sincero tuttavia occorre prenderne atto. Il capolavoro del vecchio establishment – nel momento più difficile, dopo l’ondata travolgente del populismo come fenomeno sociale e politico – è quello di esser riuscito a riemergere da sottoterra e a marginalizzare chi voleva aggredire lo status quo con la tecnica più vecchia di sempre: capovolgendo la narrazione, appropriandosi delle parole d’ordine dei suoi avversari, spacciandole per sue. È il teorema del potere che assorbe il contro-potere. Il nazional-populismo in sostanza ha vinto la battaglia delle idee, ma ha perso la guerra dell’occupazione del potere. E se è vero che la dicotomia popolo/élite rientra nel campo della propaganda giornalistica e politologica più che della realtà, prendiamo spunto da un articolo di Antonio Polito apparso di recente sul Corriere della Sera in cui afferma che è “il popolo a volere un élite”. In realtà è esattamente il contrario, come provavamo a spiegare prima: perché è l’élite a essere diventata populista, per convergenze internazionali favorevoli, e istinto di sopravvivenza. Improvvisamente le frontiere riacquisiscono un senso profondo, sacro, quasi religioso, tornano a essere limes; i trattati europei diventano cartastraccia; la società, comunità; gli individui, uomini e donne; la famiglia, un rifugio; la globalizzazione, un processo arrestabile; il superfluo, superfluo.

“Penso che il populismo esprima il rimpianto di un’unità smarrita, un’innocenza perduta, un’identità dissolta; e che ambisca a restaurarle. E’ in breve, una nostalgia di unanimità”.

Loris Zanatta

È una fase analoga, seppur applicata al nostro di millennio, della “grande trasformazione” di Karl Polanyi, il quale considerava la società di stampo liberale utopica e destinata al fallimento dal momento che il tentativo di realizzarla si rivela distruttivo sia per il tessuto sociale ed umano che per l’ambiente naturale. “La grande conversione” sulla via del Covid, invece, è spirituale prima ancora che antropologica ed economica. Non a caso è diventata, almeno in Italia, dopo la decisone di incaricare Mario Draghi come premier, una gara a chi è più puro e coerente. I mezzi di informazione hanno rimarcato “l’europeizzazione” di Matteo Salvini nelle ultime 24 ore, quando in realtà è l’Unione Europea che ha virato su posizioni “sovraniste” da un anno a questa parte.

Come ha scritto domenica Alberto Mingardi sul Corriere della Sera “Ormai il trattato di Maastricht è andato in soffitta, nessuno ormai parla più di limitare il deficit al 3% (per non dire del pareggio di bilancio), tassi di interesse bassi o negativi, hanno reso meno oneroso indebitarsi, la pandemia ne ha fatto una necessità”. E continua: “Le tecnostrutture non predicano più le virtù dell’austerità e l’Europa si è attrezzata per diventare, in qualche misura, una «unione di trasferimenti» fiscali da un Paese all’altro”. Senza parlare del ruolo che svolge la Banca Centrale Europea che ha garantito l’acquisto dei titoli di Stato durante tutto il periodo di emergenza epidemica. E c’è addirittura chi mette pressione a Christine Lagarde per cancellare i debiti pubblici degli Stati membri.

“Il populismo è un fenomeno d’origine religiosa; o meglio: è un modo religioso di intendere la vita e la storia. Come tale, prima ancora che un regime o un movimento, il populismo è un immaginario, una vaga galassia di credenze e valori, pulsioni e aspettative, eterea ma radicata, che si esprime in una mentalità […]. È un immaginario semplice, potente, malleabile: invoca la protezione di una entità primigenia, il recupero di un’armonia naturale, il riscatto di una comunità ideale e idealizzata. A tale comunità allude la parola popolo, perno lessicale attorno a cui ruota il populismo”.

Loris Zanatta

Poi, nel campo del digitale, il commissario Thierry Breton, sta studiando una strategia difensiva, al limite del protezionismo, per confrontarsi con i giganti statunitensi. Anche sul piano geopolitico il Capo della Politica Estera Josep Borrell, di recente in visita a Mosca, ha di fatto affermato che l’Ue deve imparare ad usare il “linguaggio del potere” e occuparsi di affari strategici al pari delle altre grandi potenze mondiali. Da qui la maggiore autonomia dell’asse franco-tedesco, sempre meno allineato alle politiche di Washington, che ha firmato un accordo con la Cina per gli investimenti e ha mostrato in più occasioni la volontà di ricostruire un rapporto con la Russia, anche attraverso la cooperazione sanitaria.

Ma l’Unione Europea non è la sola protagonista di questa “grande conversione”. Ormai lo stesso Joe Biden usa una retorica analoga a quella del suo predecessore Donald Trump al punto da avergli rubato lo slogan “America First” per rilanciare i consumi interni; anche Emmanuel Macron è diventato un anti-immigrazionista ante litteram, parlando persino del pericolo di un “separatismo islamico” in Francia. E infine c’è Papa Francesco che ha denunciato, fin dall’inizio del suo Papato, il primato dell’economia e dell’indifferenza, la terza guerra mondiale a pezzi, il predominio della cultura individualista nelle società occidentali. Il libro da leggere in queste ore è “Populismo gesuita” di Loris Zanatta. Se non lo avete a casa correte in libreria. È un testo essenziale per capire il substrato culturale latinoamericano di Papa Bergoglio, il primo fra tutti a sovvertire lo status quo narrativo, ma anche in qualche modo la forma mentis di un uomo come Mario Draghi, ridefinito da noi “The Old Pope”, formatosi appunto al Liceo Massimo, la scuola romana per eccellenza dei gesuiti. La”grande conversione”, insomma, è anche “il secolo gesuita”. Ad maiorem Dei gloriam.

“Se l’armonia cui il populismo aspira s’è spezzata, infatti qualcuno avrà la colpa: il nemico. Il nemico sta al populismo come il demonio al Regno di Dio. Chi è?  Quello dei “populismi gesuiti” è la nascita dell’individuo moderno che minò l’unanimità della comunità organica, la rivoluzione scientifica, che infranse l’aura sacra del Creato, la razionalità illuminista, che incrinò la simbiosi tra fede e ragione, il liberalismo che sciolse la fusione tra sfera spirituale e sfera temporale, il capitalismo che incensando la prosperità esaltò l’egoismo.

Loris Zanatta


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