L'editoriale

La Generazione Tolkien alla prova del potere

La realtà è molto più violenta di un romanzo fantasy. E per diventare Re o Regina, in Italia, bisogna diventare Orchi altrimenti si rimane solo Hobbit.
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Pietrangelo Buttafuoco su Repubblica l’ha chiamata “Generazione Tolkien”. Non esiste espressione migliore per descrivere la parabola di Giorgia Meloni e del suo entourage. Una piccola comunità di Hobbit (quelli di Azione Giovani) che si fa spazio nella Terra di Mezzo (l’Italia) per intrufolarsi a Mordor (Palazzo Chigi) e distruggere l’anello di Sauron (il nemico). Perché la storia di Fratelli d’Italia comincia molto prima di quel debutto elettorale alle politiche del 2013, nella coalizione di centrodestra quando ottenne l’1,96 per cento alla Camera e l’1,92 al Senato, divenendo il terzo partito dopo il PdL e la Lega, ed eleggendo 9 deputati e nessun senatore.

Per entrare nell’immaginario pre-politico di Fratelli d’Italia, per quanto abusata dagli analisti, occorre riprendere in mano la trilogia del Signore degli Anelli che in estrema sintesi narra l’unione sacra tra Elfi, Nani, Uomini e appunto Hobbit, guidati dall’angelo bianco Gandalf per sconfiggere gli Orchi di Mordor, un esercito che si riproduce in serie, in laboratorio, senza radici e senza storia, con il progetto di distruggere la diversità secolare dei popoli che vivono nella Terra di Mezzo. Ma la missione salvifica di distruzione dell’anello del potere, nelle mani dell’angelo nero Sauron, viene conferita alla comunità più pura, più ingenua, più emarginata dalle logiche malvagie della società. Sono gli Hobbit, coloro che conservano la più antica tradizione comunitaria, ma soprattutto coloro più vulnerabili, che non desiderano l’immortalità, a essere incaricati del compito più rischioso: entrare nella mente di Sauron senza farsi contaminare dal male. È Bilbo a consegnare l’anello a Frodo, un piccolo notabile della comunità, che accompagnato da Sam, un umile servo, viene invitato a compiere l’impresa, e per tutta l’impresa sarà proprio Sam, rappresentante delle istanze intrinseche degli Hobbit a riportare Frodo,  manipolato dai poteri di Sauron, alle sue origini. Nel Signore degli Anelli è la comunità a prevalere sull’individuo, e solo gli Hobbit custodiscono questa dimensione a differenza dei Nani troppo avari, gli Uomini troppo divisi, gli Elfi troppo egocentrici.

C’è un substrato biblico nell’opera di Tolkien. Gli ultimi diventano i primi, ma a riprendersi il potere non saranno loro, ma Aragorn, il Re, espressione degli Uomini, e gli Hobbit entreranno nella sua cerchia ristretta, diventando depositari di un’epopea. Il potere in fin dei conti non lo vogliono e non lo hanno mai voluto perché gli fa profondamente paura. Nella trilogia dello scrittore inglese il re non è machiavellico, è buono e riconoscente, ma soprattutto del potere ne fa un uso etico. La realtà però è estremamente più violenta di un romanzo fantasy.

Dieci anni dopo dalla sua fondazione, Fratelli d’Italia è il partito più votato alle elezioni politiche con il 26 per cento dei consensi, e adesso che si prepara a entrare a Palazzo Chigi, deve fare i conti con i veri custodi dell’anello. Il “mostro” è nudo, non mostrifica il nemico. Giorgia Meloni è riconciliante, emotiva, porta con sé la sua comunità, e ricorda coloro che non ci sono più e che avrebbero voluto vedere questo giorno. È la paura tolkeniana del potere, è un Hobbit che lavora per il ritorno del Re. Quale Re?

Perché il vero potere non è nella stanza dei bottoni – un sistema a porte scorrevoli in cui si entra e si esce – ma nell’anticamera del potere, un sistema con le porte blindate. Perché la vera sfida ora che si trova alle porte di Mordor, si combatte nella Terra di Mezzo, nel corridoio che la porterà a Palazzo Chigi. C’è un finale tutto da riscrivere, perché governare non sempre coincide con l’occupazione del potere. E per occupare il potere in Italia, per diventare Re, non puoi essere un Hobbit ma devi diventare un Orco altrimenti sei solo un fedelissimo servitore del Re.

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