Nato come testo per una conferenza tenuta da René Guénon alla Sorbona di Parigi nel 1925 e apparso come libro solamente nel 1939, La metafisica orientale condensa in poche, brillanti pagine la visione del mondo del grande studioso e tradizionalista francese. Pubblicato da Adelphi nel 2022, con i Microgrammi, si pone al tempo stesso come vertice e come possibile punto di partenza per una lettura integralmente più completa di Guénon.
Come specificato dallo stesso autore, la stessa associazione tra metafisica e Oriente è frutto di una trasformazione – diremmo, di una decadenza – dal concetto più puro di metafisica e società tradizionali, allontanate irrimediabilmente dall’orizzonte culturale e di vita delle moderne nazioni occidentali. In tal senso, se originariamente la metafisica raccoglie un patrimonio esoterico che non si differenzia in maniera sostanziale in Oriente come in Occidente, le tendenze più distruttive e le condizioni intellettuali di quest’ultimo, obbligano Guénon a guardare a quell’unica parte del mondo – almeno all’epoca – in grado di ritenere tale patrimonio ancora oggetto di conoscenza:
«Il fatto è che, nelle condizioni intellettuali in cui versa attualmente il mondo occidentale, la metafisica è qualcosa di dimenticato, di generalmente ignorato, di quasi interamente perduto, mentre in Oriente essa è tuttora oggetto di una conoscenza effettiva.»
Fare metafisica orientale significa dunque non tanto avvicinarsi ad una prospettiva altra rispetto all’Occidente, quanto piuttosto ritrovare in Oriente un bagaglio di conoscenze messe da parte dalla temperie razionalista ed illuminista euro-occidentale. Significa, oltretutto, rovesciare completamente la prospettiva dei “vincitori”. Secondo Guénon, ad essere eccezionali ed anormali non sono le civiltà più intimamente connesse alle proprie strutture conoscitive metafisiche, quanto piuttosto quelle che hanno rinunciato ad ogni base tradizionale, come la civiltà cosiddetta occidentale. Dunque, la metafisica induista, lungi dal rappresentare un’anomalia, non è che l’espressione più solida di una più ampia civiltà tradizionale, umiliata e rinnegata solamente nella sua appendice europea.
Che cosa si intende tuttavia per “metafisica”? A questa domanda, su cui proverà ad interrogarsi anche Heidegger, Guénon risponde a partire dalla sua semplice etimologia. La metafisica si occupa di ciò che è al di là della natura. Dunque non ha senso provare ad incorporarla, tra mille tentativi e forzature a partire dal razionalismo seicentesco, negli studi naturalistici. Metafisica è inoltre il termine più adatto in Occidente, tale da identificare questo intero campo di studi, poiché le lingue occidentali non sono state in grado di esprimerne con ulteriore chiarezza i contenuti:
«Usare semplicemente la parola “conoscenza” come si fa in India è impensabile, perché la renderebbe ancor meno chiara agli occidentali, abituati a non considerare come conoscenza nulla che esuli dall’ambito scientifico e razionali.»
La metafisica è in Oriente la conoscenza, nel senso più elevato del termine. Ciò che per un occidentale è di competenza esclusiva delle scienze dure e della filosofia, in Oriente – almeno nell’Oriente pensato da Guénon – spetta alle dottrine conoscitive tradizionali. La caratteristica di cui si deve giocoforza diventare consapevoli è che esistano dottrine in un certo senso incomunicabili. La certezza guida e alimenta il percorso individuale verso la conoscenza. La conoscenza si traduce in uno sforzo personale, che non ha nulla a che vedere con qualsiasi indagine scientifica moderna. In ogni concezione “autenticamente metafisica”, bisogna destinare una parte all’“inesprimibile”. Quanto viene espresso è nulla rispetto all’Infinito incomunicabile. La verità metafisica è pura intuizione supra-razionale. La metafisica più vera è perciò lontana tanto dal metodo scientifico propriamente detto, quanto dalle metafisiche “moderne”. L’ordine individuale e transitorio, il divenire e il contingente, non sono che manifestazioni irrisorie dell’essere autentico. Le tappe del sapere metafisico sono così scandite da un vero percorso iniziatico. Tale percorso comincia con un’estensione indefinita della propria individualità. Ridotti a contemplare e a sopravvalutare il “corpo”, noi, uomini della modernità, abbiamo diminuito le infinite potenzialità dell’umano:
«La prima cosa da fare, per chi voglia ottenere veramente la conoscenza metafisica, è porsi al di fuori del tempo, diremmo volentieri nel “non-tempo” se una tale espressione non rischiasse di apparire troppo singolare e inusitata.»
L’obiettivo è quello di uscire dal “flusso delle forme”. Significa, in altre parole, dedicarsi alla meditazione e al raccoglimento; pratiche ritenute lontane, astruse e inconcepibili in un tempo di interconnessioni e di socialità “necessarie”, dato che allontanano l’individuo dalla sua corsa alla produzione e dall’auto-rappresentazione spettacolare. Il mondo del divenire è sospeso, ridotto alle sue effettive caratteristiche ovvero alla sua inconsistenza. La conoscenza metafisica che non ha avuto inizio e non avrà mai fine, si pone in un piano “non-umano” e “oltre-umano” che lungi dal condurre lontano dai binari della normalità, rappresenta altresì in Guénon l’unica via per riconnettersi realmente al proprio Essere. L’individualismo, realmente inteso, può tradursi in una estensione indefinita al di là della modalità corporea; può altresì rendere atto dei propri limiti. L’umanità e la stessa realtà fisica non sono che manifestazioni esteriori, apparenze fugaci, la cui comparsa e scomparsa non intaccheranno minimamente l’essenza dell’essere autentico.
Ammantata di superba considerazione di sé, sviata da preconcette illusioni che vogliono nel corporeo l’unica chiave di volta per una visione completa ed integrale del mondo, la civiltà occidentale è dunque per Guénon giunta ad una fase terminale. Il monito, contenuto nell’ultima parte del saggio, è a prestare attenzione alle minacce interne piuttosto che a quelle esterne:
«Oggi da più parti si parla molto di “difesa dell’Occidente”; ma, purtroppo, sembra che non si sia capito che è innanzitutto da sé stesso che l’Occidente ha bisogno di essere difeso, che è dalle sue proprie tendenze attuali che provengono i principali e i più formidabili pericoli che lo minacciano davvero.»