OGGETTO: La diplomazia della violenza
DATA: 07 Maggio 2024
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Visioni
Il gioco d’ombre tra Israele e Iran si svolge seguendo percorsi che toccano ragione ed illogicità. Difficile prevedere le dinamiche future: gli ultimi attacchi non sembrano aver dissipato i rischi di un’escalation regionale e globale. Rafah rimane l'incognita maggiore, mentre salgono a trentacinquemila le vittime palestinesi negli ultimi sette mesi.
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Qualsiasi impresa si intraprenda ricade nell’alea dell’inquieta incertezza; nulla può dissiparla, tutto concorre ad esaltare la tragicità umana nonostante la disperata ricerca di una razionalizzazione che domini la paura dell’ignoto. È la logica contro il principio del caos, una complessità che non sempre ha senno analitico ma che possiede una base razionale tuttavia non intesa universalmente. Anche la politica si conforma a teorie e riflessioni basate su presupposti a cui chiunque può o ispirarsi operando scelte razionali o, fallendo, distruggere, eludendo le risposte e tornando così ad una dimensione originaria e caotica. Se pensiamo al MO, potremmo supporre che un caos deterministico attragga gli elementi in un ordine impalpabile capace di attivare solo alcune delle possibilità del disordine, lì dove le casualità scompaiono. È un fatto: il disordine è insito nel sistema; è un principio di disorganizzazione dove nulla sfugge alla degradazione in un ciclo che o alimenta un’ineliminabile entropia in cui vige l’alternanza di ordine e disordine, o che conduce a vedere il caos quale generatore di inedite possibilità.

Mentre i Paesi arabi tessono trame politico-diplomatiche, deflagra la guerra gazawi che interrompe processi di distensione regionale in nuce; permanendo il timore di alimentare disordine ed instabilità, gli attori politici arabi più pragmatici considerano il vantaggio strategico di una distensione che non escluda le relazioni con Israele, malgrado un percettibile declino del suo passato potere politico; non a caso, oltre a solidarizzare con la Palestina, l’Arabia Saudita non interdice la possibilità di normalizzazioni – condizionate – con Tel Aviv; abbiamo dunque un’Arabia cosciente del rischio di essere considerata aprioristicamente contraria alla pace, in un melting pot politico che Biden auspica possa divenire un efficace spot elettorale. Le motivazioni incentivanti la normalizzazione sono le stesse, quel che è variato è il prezzo da pagare: Gerusalemme in concessioni pro palestinesi e Riyadh in un maggior coinvolgimento regionale, in un’ottica di reciproci interessi economico-militari anticipati dagli Accordi di Abramo e dal Corridoio IMEC, interessi dunque da non disattendere.

 Il problema è comprendere se dopo i vicendevoli attacchi irano-israeliani si propenderà per una de-escalation, tenendo conto che le offensive ebraiche sono state condotte in aree di proxy iraniani tra Iraq, Siria, Libano dove Hezbollah ha eluso finora lo scontro pesante diretto, mentre è aumentata la pressione esercitata in Mar Rosso dalle milizie Houthi e nello Stretto di Hormuz dai Pasdaran nell’intento di creare una anomala abitudinarietà fatta di disordine rinfocolato dalla recrudescenza jihadista. Termina dunque la pazienza strategica iraniana, finora forte di un vacuo principio di negabilità sorretto dalla proattività in conto terzi dei proxy e torna l’incertezza, alimentata dai convincimenti dei due antagonisti per i quali, ora in possesso di maggiori informazioni, non si può escludere il rischio di una rinnovata proiezione di medio-breve periodo. L’instabilità connota le posizioni dei singoli attori regionali, interessati ad interporsi tra l’eterea zona neutra delimitata dalla sicurezza nazionale ed il desiderio di non schierarsi apertamente, così da poter continuare l’attività in battuta libera,passepartout tacitamente accettato che consente l’interposizione su dinamiche politiche multidimensionali. 

L’attacco al consolato iraniano a Damasco, oltre a mietere vittime eccellenti, ha sprigionato la scintilla della rappresaglia persiana, portata per la prima volta in territorio israeliano; un cambio di passo in un conflitto in cui è indispensabile suscitare deterrenza, considerata l’infrazione della sottile ma inviolabile linea rossa compiuta da Tel Aviv. Inevitabili le pressioni esercitate dagli ultraconservatori iraniani, usciti vieppiù rafforzati dalle recenti elezioni parlamentari. Il gioco di ombre continua; dopo il tit for tat delle offese asimmetriche, degli attacchi ai proxy ed al traffico mercantile, l’offensiva degli Ayatollah viene diffusamente anticipata di almeno 72 ore, preceduta dalla rituale true promise di rivalsa estesa agli attori regionali, attenti a non compromettere equilibri e liaison con gli USA. I cieli mediorientali sono stati attraversati sia dalle scie di circa 170 droni d’attacco, da non meno di 30 missili da crociera presumibilmente non evoluti per attacco terrestre, da circa 120 missili balistici sincronicamente lanciati per saturare l’area e convergere su obiettivi militari israeliani in Golan e Negev, sia dal fuoco sovrapposto dell’architettura difensiva multilivello israeliana in concorso con USA, UK, Francia e paesi regionali coordinati dal Combined Air Operations Center di Udeid in Qatar; Paesi tra cui il Regno Hashemita di Giordania a rischio di un nuovo settembre nero, che ha contribuito a far ingaggiare e annichilire non meno del 98% della balistica d’offesa. 

Per la prima volta si è aperta una cortina non fra arabi e israeliani, ma fra Israele e Paesi arabi su un versante (eccetto la Siria), e Iran dall’altro. Informazioni eclatanti, sostanza evanescente, soddisfatte espressioni di rito a suggellare un caso ritenuto chiuso. Di fatto Teheran ha tentato di salvare la faccia rafforzando attendibilità e deterrenza nell’ambito dell’asse di resistenzariportando alla memoria impresa analoga e recente vs il Pakistan, che ora valuta la querelle israelo-iraniana come paradossale pars construens del crollo della diplomazia, testimoniato dall’imbarazzante immobilismo dell’ONU, prigioniera di sé stessa.

Roma, Aprile 2024. XVII Martedì di Dissipatio

Alcuni elementi di riflessione sono d’obbligo e sussurrano di un tenuissimo intento iraniano di aprire un fronte diretto contro Israele, posto che il contesto interno di Teheran risente ancora sia di una severa crisi economica alimentata dalle sanzioni internazionali, sia di sommovimenti sociali latenti per il caso Mahsa Amini sia, infine, dei giochi di potere collegati alla successione dell’Ayatollah Khamenei. L’imprecisione dei vettori iraniani utilizzati, induce a tre considerazioni: la prima concerne un possibile test della capacità di saturazione israeliana; la seconda, una raccolta di elementi utili alla ripresa di attività bellica iraniana per procura ma con differenti capacità d’attacco e di estensione del raggio d’azione, magari dallo Yemen; la terza ed ultima, le effettive capacità iraniane di offesa a fronte delle estensioni geografiche, aspetto questo che varia la deterrenza esercitata da Teheran da un lato verso le monarchie del Golfo, costrette a monitorare uno spazio aereo molto esteso, e dall’altro verso Israele, raggiungibile direttamente, per ora, solo da nord-est e non vincolato a tattiche esclusivamente difensive; il potenziamento iraniano non preclude l’altrui evoluzione tecnica, elemento evidenziato dalla qualità della risposta, da considerarsi comunque relativamente blanda, delle forze ebraiche, che hanno rammentato a Teheran come non detenga l’esclusiva degli attacchi a lungo raggio. 

Gli eventi vanno valutati sia alla luce della necessità esistenziale di Israele di continuare ad incutere un terrore deterrente, sia in relazione alle reali intenzioni dell’Iran, sempre che non abbia inteso dispiegare nuovamente la plancia del suo gioco d’ombre, in modo da bilanciare la potenza occulta (forse atomica) in fieri del suo arsenale con la deliberata ambiguità nucleare israeliana, prodromica ad un’Opzione Sansone fondata su credibili promesse di rappresaglia o contro-rappresaglia a fronte di minacce esistenziali portate da Teheran; evidente la deviazione dalla narrazione biblica: Israele deve sopravvivere facendo pagare un pesantissimo dazio all’aggressore. Si sta di fatto attuando la diplomazia della violenza di Thomas Schelling in cui prevale la logica di far intendere che si ha la possibilità di colpire grazie ad azioni deterrenti, posto che la discriminante risiede nell’arma di Oppenheimer. È cambiata anche l’impostazione strategica israeliana, non più votata al difficilmente giustificabile attacco preventivo ma alla preparazione della campagna tra le guerre, fattrice di ripetuti attacchi settoriali (e.g. i tunnel) che non hanno tuttavia impedito il rafforzamento di Hamas. 

L’equilibrio del potere, dunque, non è statico, e qualsiasi defaillance deve essere intesa quale oggetto di lesson learned volta ad eliminarla. Situazione complessa dunque anche in campo israeliano, dove qualsiasi iniziativa soggiace alla necessità, per l’attuale esecutivo, di allontanare l’ipotesi di elezioni anticipate invocate da Gantz e di rispondere alle offese, con la rappresaglia su Isfahan e Tabriz, ma senza ledere centri notoriamente deputati allo sviluppo nucleare iraniano. Non si attenuano comunque le perplessità relative alla vulnerabilità delle infrastrutture critiche di Teheran, spiazzata dalla strategia israeliana della mancata rivendicazione di un attacco che potrebbe essere stato lanciato dall’Azerbaigian o da unità navali in Mar Rosso. La realtà sembra suggerire che nessuno desideri improvvide escalation, né gli USA, né la Russia, destinazione dei droni iraniani poi lanciati sull’Ucraina, né tanto meno i Paesi del Golfo che hanno bisogno di ordine per realizzare le Vision 2030, né la Cina, che vede minacciata la sua BRI transitante per l’Iran 

Tenuto conto che il ménage economico internazionale è ormai condizionato dagli spiriti animali di Keynes, il momento storico è caratterizzato da elementi disgreganti dove il caos si afferma quale egemone planetario, per il quale l’unico rimedio risiede nello stato d’eccezione schmittiano, prodromico ad un potere costituente e ad un nuovo ordine contrario a restaurazioni, un’impresa che richiede riforme necessarie alla Machiavelli, in grado di dirigere l’altrimenti imprevedibile fortuna. Ecco che torna il caos nelle fasi egemoniche delle relazioni internazionali, dove creare vuoti di potere rimane esperimento pericolosissimo, come hanno imparato gli americani proprio tra il medioceano Mediterraneo ed il MO, dove l’espansione di un conflitto danneggerebbe i mercati e dove l’essere Israele chiaro avamposto occidentale impone riflessioni approfondite. Difficile accertare ora se gli ultimi eventi rientrino tra le fasi determinanti o tra i test di verifica della tolleranza delle dinamiche escalatorie; le analisi degli attacchi condotti potrebbero indurre Iran edIsraele a conclusioni che categorizzano un conflitto quale mera questione temporale.

Il gioco di ombre nel Mashreq si rifà alla partita a scacchi tra Sherlock Holmes e James Moriarty, dove il successo del detective di Baker Street si intreccia con il filo logico dell’avversario, tessuto sulla certezza dell’irrazionalità umana; difficile avvalersi di logica in un mondo contraddittorio che ne è privo. Da Moriarty al caotico ed irrazionale Joker il passo è brevissimo e la stella danzante di Nietzsche, generata dal disordine, un’illusione filosofica.      

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