Il britannico John Maynard Keynes e l’austriaco Friedrich Von Hayek sono stati protagonisti di uno scontro tra due visioni economiche diametralmente opposte. Iniziato nei primi decenni del secolo scorso il dibattito, incentrato sul ruolo dello Stato in Economia auspicato da Keynes e biasimato da Hayek, si è sviluppato fino ai giorni nostri, con il mondo accademico che si è schierato prima con l’uno e poi con l’altro in base agli eventi che hanno contrassegnato gli ultimi 90 anni.
Molto si è scritto su questo duello ed in epoche diverse la maggioranza del mondo accademico si è schierata di volta in volta con uno o con l’altro. Oggi è forse il caso di tornare nuovamente sulla diatriba che ha visto contrapporsi due menti brillanti, che nonostante le divergenze di opinione intrattennero rapporti personali più che discreti, e che in realtà non mancarono di concordare su alcuni punti.
Il percorso intellettuale
Entrambi provenienti da famiglie aristocratiche, ebbero però caratteri e percorsi di vita per certi versi diametralmente opposti. Keynes nato a Cambridge nel 1883, fu un giovane brillante, studente appassionato e curioso tanto da dedicarsi a diverse discipline. Iniziò a studiare matematica e filosofia solo più tardi si dedicò all’economia seguendo seppure informalmente i corsi di Alfred Marshall, all’epoca uno degli economisti classici più influenti. La sua indole ribelle e il desiderio di mettersi intellettualmente sempre in discussione lo portò ad iniziare un percorso che lo portò a criticare fortemente le tesi classiche fino ad arrivare alla sua Teoria Generale sull’occupazione, sull’interesse e sulla moneta, che rivoluzionò letteralmente i principi macroeconomici. Ebbe incarichi governativi di prestigio e la sua influenza crebbe negli anni, diventando consigliere del Ministero del Tesoro e soprattutto persona ascoltata da governatori e personalità di tutto il mondo.
Friedrich Von Hayek più giovane di 16 anni rispetto a Keynes, trascorse la sua infanzia a Vienna, dove nacque nel 1899. A differenza del suo “rivale” britannico non fu uno studente particolarmente brillante, la prima guerra mondiale interruppe il suo percorso di studi, e Hayek si arruolò a soli 17 anni in un reggimento di artiglieria, combattendo sul fronte italiano. Proprio nel periodo passato combattendo cresce in lui la voglia di diventare un accademico, al fine di aiutare a trovare soluzioni per evitare le condizioni che portarono alla guerra. Studia all’Università di Vienna dove ottiene un dottorato in legge e scienze politiche nel 1921. In seguito si dedica all’economia studiando con Ludwig Von Mises, uno degli alfieri del liberismo.
Curioso notare i percorsi inversi intrapresi dai due economisti. Keynes partì dallo studio dell’economia classica per arrivare ad elaborare una teoria che ne mise in evidenza le criticità, diventando il punto di riferimento per chiunque auspicava un maggiore intervento dello Stato in economia. Hayek invece in gioventù non nascondeva le sue simpatie per le teorie socialiste e il suo incontro con Carl Menger e soprattutto con Von Mises contribuirono a farlo diventare uno degli esponenti di punta della teoria classica liberista.
Nonostante le visioni differenti in campo economico, che non mancarono di dare vita a scambi di opinioni molto vivaci, i due in realtà andavano piuttosto d’accordo a livello personale. I loro rapporti si intensificarono a partire dal 1931 quando Hayek divenne docente alla London School of Economics e si intensificarono durante la seconda guerra mondiale quando l’austriaco divenne cittadino britannico e si trasferì a Cambridge dove visse a stretto contatto con Keynes.
Fu proprio durante gli anni della guerra che Hayek scrisse e pubblicò una delle sue opere più note “La via della schiavitù” (titolo originale The road to Serfdom”) quasi in risposta alla Teoria generale di Keynes in cui accusava le democrazie occidentali di aver abbandonato i principi liberisti in economia, senza i quali nessuna libertà personale e politica avrebbe potuto essere garantita.
Mentre Keynes era un uomo carismatico, geniale e propenso all’ottimismo, sempre prodigo di consigli e battute feroci, Hayek era una persona riservata, molto formale e tendenzialmente pessimista, e soffrì in maniera evidente il successo delle teorie di Keynes (scomparso nel 1946) nel dopoguerra, tanto da abbandonare l’Economia per dedicarsi agli insegnamenti di filosofia politica all’università di Chicago.
Le divergenze teoriche
Se come è noto Keynes è spesso visto come il portabandiera dell’intervento statale in economia mentre Hayek è considerato il campione del laissez-faire, il rapporto tra le loro teorie è, come in precedenza accennato, molto complesso e sebbene sia impossibile non notare le sostanziali differenze di fondo, non mancano alcuni punti di contatto. Entrambi gli economisti si sono formati intellettualmente dopo la prima guerra mondiale, hanno vissuto il boom economico immediatamente successivo e la Grande Depressione del 1929, elaborando visioni radicalmente differenti sul libero mercato.
Keynes ha sempre sostenuto che il mercato lasciato agire da solo non avrebbe mai garantito la piena occupazione, e quindi periodi prolungati di crisi economica avrebbero portato un aumento molto significativo nel numero di disoccupati. Negli anni 20 in Gran Bretagna la disoccupazione toccava il 10% e quindi secondo Keynes era compito del governo provare a migliorare le condizioni delle persone senza lavoro, con una serie di stimoli volti a creare occupazione e ad aumentare la domanda aggregata di beni e servizi.
Hayek vedendo la sua Vienna completamente devastata dal periodo bellico arrivò ad una conclusione completamente differente. Il problema principale era l’inflazione altissima che stava devastando l’economia austriaca mandando in fumo i risparmi di milioni di persone. In un contesto simile per Hayek era impensabile supportare chi proponeva un aumento della spesa pubblica per curare la disoccupazione, stabilendo che non solo avrebbe portato ad una inflazione ancora maggiore, ma avrebbe messo in dubbio le libertà personali, aprendo le porte alla tirannia. Questo lo spinse ad elaborare le sue teorie basate su una severissima limitazione del ruolo dello stato in economia. Secondo Hayek praticamente ogni attività doveva essere privatizzata, dall’educazione ai trasporti, dalle comunicazioni come posta e telegrafo alla fornitura di servizi, includendo anche l’emissione di moneta.
Ma il loro fu un duello caratterizzato da un grande rispetto, e sebbene Keynes ogni tanto non risparmiasse qualche battuta al veleno al suo antagonista, vi furono anche alcuni punti di contatto. Keynes ad esempio condivideva con Hayek l’estrema sfiducia nel marxismo tanto da meravigliarsi di come “una dottrina così illogica e così noiosa possa aver esercitato un’influenza così potente e duratura sulle menti degli uomini”.
Allo stesso modo Hayek arrivava alla conclusione che “non vi è alcun dubbio che una condizione minima rappresentata da cibo, vestiti e un tetto sopra la testa, dovrebbe essere assicurata a tutti per preservare la salute e la capacità di lavorare” ed in questi casi un intervento dello stato sotto forma di un sistema di assistenza sociale universale, seppur limitata, sarebbe non solo tollerato ma addirittura auspicato.
L’andamento della sfida nel tempo
Possiamo dire che l’economia keynesiana ha avuto i momenti di maggiore popolarità durante i periodi immediatamente successivi alle grandi crisi economiche, mentre Hayek e le sue politiche liberiste hanno preso sempre più piede durante i periodi di prosperità e piena occupazione. Ma probabilmente entrambi gli economisti sarebbero stati ben poco lieti di questa suddivisione. Keynes di certo non pensava che le sue idee sarebbero state meno rilevanti in periodi di crescita economica. Gestire la domanda aggregata significava sicuramente aumentare la spesa pubblica nei periodi di crisi, ma anche ridurla nei momenti di grande espansione, non aveva senso continuare con politiche fiscali aggressive in tempi di prosperità. A preoccuparlo era soprattutto la possibilità che i governi in carica usassero la spesa pubblica anche in periodi dove non sarebbe stato strettamente necessario, come arma politica per aumentare la loro popolarità e le possibilità di successo nei seguenti appuntamenti elettorali.
Allo stesso modo Hayek non avrebbe tollerato alcuna invasione dello Stato in campo economico anche in periodi di profonde crisi. Hayek non ha mai pensato che la spesa in deficit potesse in alcun modo dare una svolta positiva all’economia, solo la fluttuazione naturale dei prezzi avrebbe portato ad una situazione di equilibrio. Qualsiasi interferenza sul mercato avrebbe l’unico effetto di prolungare la recessione e di acuirne la gravità, andando ad incidere anche sulle libertà personali degli individui che esprimono, secondo la visione di Hayek, le loro preferenze attraverso i prezzi a loro volta stabiliti dalle loro scelte di consumo.
Dopo la seconda guerra mondiale le idee keynesiane ebbero decisamente il sopravvento e fu solo con la crisi petrolifera degli anni 70 e l’avvento della stagflazione, ovvero un aumento consistente dell’inflazione accompagnata però da una mancanza di crescita economica, che venne riscoperto Hayek. Questo periodo rappresento un punto di svolta epocale per le politiche economiche mondiali che tornarono a riabbracciare i principi liberisti, portando Hayek a vincere il premio Nobel nel 1974.
Il culmine della popolarità di Hayek avvenne negli anni ’80, quando il primo ministro britannico Margaret Thatcher prese a citare pubblicamente “La via della schiavitù” nei suoi attacchi contro la pianificazione centrale e l’intervento dello Stato in economia. Ma anche l’avvento della Thatcher e di Ronald Reagan negli Stati uniti non placò la sete di liberismo di Hayek, che li definì troppo timidi e controllati nel processo di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia dei rispettivi paesi. Il dibattito è sicuramente ancora aperto e la longevità di Hayek, morto a 93 anni nel 1992, ha spesso portato l’austriaco a considerarsi il vincitore dello scontro. A dire il vero Keynes, scomparso nel 1946, con la sua dialettica lo aveva spesso ferito dal punto di vista intellettuale, ma Hayek ha avuto la possibilità di vivere in prima persona l’ascesa e il declino delle politiche keynesiane.
In realtà il collasso globale iniziato nel 2007 e a maggior ragione la crisi che stiamo vivendo in questi giorni causata dal Covid-19 ha riportato nuovamente in auge il pensiero di Keynes. Se infatti l’economista britannico ha fornito delle risposte che si sono dimostrate efficaci per fronteggiare questo tipo di crisi, ovvero il rafforzamento delle misure macroeconomiche attraverso importanti stimoli fiscali, i seguaci di Hayek non sono in grado di fornire soluzioni altrettanto efficaci. Se da tutto quello che stiamo vivendo possiamo infatti trarre una sola lezione, è quella che l’esperimento vissuto negli ultimi venti anni di lasciare il mercato libero di generare crescita economica e prosperità per tutti, è decisamente fallito