L'editoriale

Il segreto inglese

Nella terra di mezzo del riassetto dell’ordine internazionale, nell’interregno del caos, nello stato di emergenza globale della guerra in Ucraina, Boris Johnson rompe l’isolamento post-Brexit e riporta l’Isola al centro della terraferma, grazie a intelligence, armi, servizi finanziari.
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Per capire come si deve stare in un mondo turbolento, dove le grandi potenze (Stati Uniti, Russia e Cina) faticano a riorganizzare un nuovo ordine internazionale, occorre guardare Oltremanica. L’Inghilterra è riuscita nell’ultima decade a cambiare postura geopolitica, forte della sua tradizione imperiale, prima che saltassero tutte le coordinate e le meccaniche che reggono le relazioni internazionali. A differenza delle potenze di Cielo (Israele, Vaticano, e Turchia), attive sul fronte della pace, è nell’Interregno del caos, che Londra porta a compimento il suo disegno metafisico. La passeggiata scenografica di Boris Johnson e Volodymyr Zelensky per le vie di Kiev, in Ucraina, è il segnale di un percorso iniziato qualche anno fa, che pone fine “all’isolamento” di un Paese che nel 2016 votò la Brexit, al punto che a diventare un’isola, seppur sulla terraferma, ora è la Russia di Vladimir Putin. E di fronte all’approccio né-né (né guerra né diplomazia) dei suoi alleati occidentali, l’Inghilterra, meno dipendente dalle forniture di Mosca, gioca la partita bellica a tutto campo. Dichiarazioni pubbliche al vetriolo, advisor militari sul fronte, in particolare l’impiego della Special Air Sevice, e l’invio di armi pesanti e letali. L’Ucraina è diventata un protettorato inglese.

Gli inglesi del resto sono maestri dietro le quinte, e se mostrano il capo, è per mandare messaggi molto chiari per chi sa leggerli tra le righe. La loro vittoria è il compimento delle loro profezie. Paper su paper elaborati da una delle migliori centrali di intelligence al mondo, meglio nota come l’MI6, affiancata dalle università specializzate in sicurezza e studi strategici. È lì che vengono disegnate le traiettorie del futuro in controtendenza alle coordinate del presente. Il segreto dell’Inghilterra è proprio di aver fatto della sua geografia un’ideologia; di aver studiato profondamente la storia, in particolare quella romana; di aver agito sempre nella cinica proiezione degli accadimenti e mai nell’emotività di ciò che accade; di aver sostenuto scelte impopolari sulla base di calcoli avveniristici. Parliamo dell’unico Impero che è diventato nazione mentre le altre nazioni costruivano Imperi, e che ancora oggi riesce nell’ombra ad agire da nazione imperiale (e non-imperialista in senso letterale). È un teorema nazionale che affonda le sue radici storiche e culturali nello studioso Edward Gibbon passando da scrittori e agenti segreti come John Le Carré, Graham Greene, e Thomas Edward Lawrence, fino alla poetica di William Shakespeare; e si impone nel mondo tramite le sue aristocrazie finanziarie e militari.

Intelligence, armi e servizi finanziari, un sistema di potere collocato tra Vauxhall Cross, Farnborogh e la City, che nell’ultima decade ha riposizionato l’Inghilterra al centro del Grande Gioco globale, in una logica ferrea che il professore del King College David Edgerton ha definito “Warfare State” (in contrapposizione alla tradizione laburista del Welfare State”). Pubblicato di recente, questo libro rivoluzionario offre un nuovo corso post-declinista del governo di Sua Maestà e un’analisi originale delle relazioni tra scienza, tecnologia, industria e esercito alla luce dei nostri giorni. Accanto dunque a un intenso lavoro del Secret Intelligence Service, si è radicata in Inghilterra la necessità di rafforzare il complesso bellico, tanto che secondo i nuovi dati, pubblicati dal Dipartimento del commercio internazionale, mostrano che tra il 2010 e il 2019 il governo di Londra è stato il secondo esportatore di armi (aerei da combattimento, missili, radar e bombe) al mondo dopo gli Stati Uniti. In quel periodo, le società britanniche hanno firmato contratti per attrezzature e servizi militari per un valore di 86 miliardi di sterline. Persino nel 2020, in piena pandemia, ben due anni prima dello scoppio della guerra in Ucraina, il governo britannico – sotto la guida del premier conservatore Boris Johnson – aveva annunciato di aumentare il budget militare previsto per i prossimi quattro anni di 18,5 miliardi di euro, diventando il più grande investitore nel settore della Difesa in Europa e il secondo più grande nella Nato.

Ma la proiezione dell’Inghilterra nel futuro non si ferma qui. Perché proprio la guerra in Ucraina rischia di avere un profondo impatto anche sulla sicurezza alimentare di oltre mezzo miliardo di persone, dal Marocco all’Iran, tutti Paesi fortemente dipendenti dall’importazione di grano russo e ucraino, con implicazioni politiche, sociali ed economiche potenzialmente drammatiche. A fronte di questo scenario Boris Johnson ha già annunciato una sorta di blocco navale nella Manica tramite la Royal Navy che “assumerà il comando operativo della Border Force nel canale, con l’obiettivo che nessuna barca arrivi inosservata”. Quella dell’Inghilterra è una partita di attacco (interventismo in Europa Orientale), di aggiramento (potenziamento del complesso militare-finanzario) e di difesa (contenimento all’immigrazione clandestina in vista di un imminente “battaglia del pane”), all’interno di una cornice più ampia che vede un progressivo accerchiamento del Vecchio Continente su tutti i fronti: marittimo (battaglia del pane e instabilità del Mediterraneo), terrestre (conflitto a basse e media intensità prolungato in Ucraina), interno (Covid e ritorno del populismo?). La Nato, che si dava per obsoleta, dunque superata, ha improvvisamente riconquistato il suo spazio geo-strategico. E il progressivo indebolimento dell’Unione Europea, ora senza Angela Merkel, non farà altro che rafforzarla. Sono anni decisivi, che ai grandi mezzi d’informazione sembrano sfuggire. Troppo impegnati nel real time della guerra, a inseguire i follower degli influencer, e alla polemica per l’audience. Come ha ammesso su Repubblica una nota conduttrice televisiva.

 “Qui andrebbe detto fuori ogni ipocrisia, quanto è noto a tutti gli addetti ai lavori: da anni esiste un mercato degli opinionisti, al quale la Rai potrebbe sottrarsi, solo nel caso che decidesse di rinunciare a competere con le altre emittenti, a ignorare fino a cancellare gli indici di ascolto, e di conseguenza a disertare il mercato pubblicitario. Se questo si vuole dal servizio pubblico, lo si dica”.

Bianca Berlinguer

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