Intervista

«La Meloni ha di fronte a sé una sfida: diventare la nuova Thatcher o perdere il treno della storia». Le previsioni di Roberto Napoletano

Secondo il Direttore de Il Quotidiano del Sud, la Meloni dovrebbe proseguire sul sentiero tracciato da Draghi per assumere rilevanza anche a livello internazionale.
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La vittoria di Giorgia Meloni del 25 settembre del 2022 segna una data storica per l’Italia. Non solo perché si configurava come la prima vittoria di una coalizione di centro destra guidata da un partito di destra come Fratelli d’Italia, ma soprattutto perché con tale risultato prefigurava la nomina della prima donna Presidente del Consiglio della storia italiana. Un risultato storico che però si carica di scelte ancora più cruciali. La Meloni, infatti, si trova di fronte ad una situazione del Paese segnata da sfide uniche, dal post pandemia alla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica alla gestione delle risorse del PNRR che la porranno di fronte ad un dilemma fondamentale: se sfruttare o sperperare la fiducia che gli elettori e i partner internazionali gli hanno affidato. Un tema cruciale che è il centro dell’ultimo saggio di Roberto Napoletano, direttore del Quotidiano del sud e già direttore del Sole 24 oreRiscatti e ricatti. Il miracolo nascosto di Draghi, gli intrighi contro l’Italia e la scommessa di Giorgia Meloni (La nave di Teseo+). Un testo che traccia un bilancio dei riscatti e dei ricatti che hanno caratterizzato il precedente esecutivo mostrando quello che definisce come un “miracolo nascosto” della politica italiana la cui eredità e continuità è affidata a Giorgia Meloni.

La Meloni infatti, dopo il Draghicidio, raccontato da Napoletano con le tinte di un giallo istituzionale, ha la responsabilità e l’opportunità di proseguire il sentiero riformista ed euroatlantico iniziato da Draghi, la cui buona riuscita secondo l’autore le permetterebbe di diventare la Thatcher della politica italiana. Una possibilità che potrà essere definita solo se essa abbandonerà gli intrecci con le varie corporazioni nazionali e con i suoi alleati di governo scegliendo la via di un “conservatorismo moderno”. L’esecutivo Meloni potrà essere l’alternativa politica del governo Draghi ed essa sarà una nuova Thatcher oppure sprecherà questa opportunità diventando una Liz Truss all’italiana il cui operato seguirà il tragico destino che ha accompagnato i leader conservatori degli ultimi anni? Per meglio trovare una risposta a questo interrogativo e comprendere le affinità e divergenze tra Draghi e la leader di Fratelli d’Italia abbiamo intervistato il direttore Napoletano.

Riscatti e ricatti (La nave di Teseo+) di Roberto Napoletano

-Perché Riscatti e ricatti e come nasce l’idea di scrivere questo testo?

I “Riscatti” sono i risultati di un governo che ha raggiunto dei livelli che non venivano toccati dal miracolo economico del secondo dopoguerra. Sono sette trimestri consecutivi di crescita, caso unico nel G7, il Mezzogiorno che cresce più della media europea, il rischio di povertà che si riduce, la riduzione della disuguaglianza, un attivo nella bilancia commerciale con l’estero che ci pone sopra le più grandi economie europee, anche sopra Paesi come la Francia. “Riscatti” vuol dire anche raccontare questo miracolo nascosto che è accaduto in questo Paese e che si è manifestato insieme ad una condizione unica: l’aumento della credibilità internazionale dell’Italia come prima leadership europea di cui Draghi è stato il principale artefice. Un miracolo che il racconto catastrofista fatto dalla stampa, dalle previsione dei centri studi e delle categorie economiche avevano abolito, sostituendolo con una visione parziale, orientata e falsata che ha cercato di fare crollare tali risultati nell’oblio. Uno sviluppo del Paese che nonostante la presenza di due cigni neri globali, come la pandemia e la guerra in Ucraina, ha portato ad una crescita del PIL e della centralità italiana in Europa che nessuno ha voluto raccontare e che ha portato conseguenze positive nel turismo, nel commercio e nello sviluppo del Paese competitivi con quelli del miracolo economico del secondo dopoguerra.

-Che ruolo ha avuto questo tipo di “narrazione” nel dibattito politico?

 Questo racconto catastrofista ha minimizzato e abolito questo miracolo nascosto ed è servito come l’arma del delitto con cui avvenne il Draghicidio. C’è, infatti, un movente, i partiti che sono preoccupati di non riuscirsi più a liberarsi di questo ingombrante e troppo efficiente inquilino a palazzo Chigi, come del resto le altre burocrazie che chiamavano Draghi “sire” formalmente ma in realtà mal lo sopportavano. C’è poi un’occasione che è la guerra in Ucraina, che si trasforma subito in una guerra economica per le materie prime, e che si pone come l’occasione per ridisegnare un nuovo ordine internazionale conteso tra autocrazie e democrazie occidentali, dove Draghi si pone subito nel campo occidentale, scatenando contro di sé l’ira dei cinque stelle e di alcune forze del centro destra che usarono i temi della politica estera come un pretesto, attraverso la questione della armi, per liberarsi di un avversario scomodo di cui temevano la leadership. E c’è poi un delitto consumatosi nell’estate del 2022 di cui sin da pochi giorni prima di presagivano gli umori.

-A tal proposito parlando del Draghicidio lei racconta i fatti di Villa Grande focalizzandosi sulla figura di Gianni Letta. Ci può raccontare come è andata?

Il caso della caduta del governo Draghi e del ruolo del centrodestra è uno dei temi che approfondisco nel libro. Infatti io racconto che nei giorni di maggiore crisi una mia fonte interna al centrodestra, molto autorevole, mi aveva chiamato per dirmi che si erano riuniti i massimi esponenti della futura coalizione di governo. Tutti tranne Gianni Letta, che secondo questa fonte non era stato convocato perché contrario alla caduta dell’esecutivo Draghi. Allora per approfondire il fatto decido di chiamare Letta e gli chiedo il perché della sua assenza quel giorno. Quando lo chiamo però mi dice che non sì non era lì quel giorno ma non perché non era stato convocato, bensì perché da giorni aveva avuto continui confronti con Berlusconi dove si si era mostrato contrarissimo alla crisi di governo tanto che il giorno prima dei fatti di villa Grande lui gli disse “pensaci bene. Le mie posizioni le conosci se hai un ripensamento chiamami sennò è inutile che vengo”. Alla fine Berlusconi non lo chiamò, inverando la sua decisione di fare cadere il governo Draghi.

-E i “Ricatti”?

I “Ricatti” sono invece le trame internazionali che la guerra in Ucraina ha prodotto. Nel libro racconto, infatti, del governatore della banca centrale indiana che interpellato da una mia fonte internazionale sul perché del silenzio e della non presa di posizione dell’India rispose che  “senza le armi russe non possiamo difenderci dalle armi cinesi”. Intrighi internazionali che videro in Draghi e nel suo fermo collocamento euroatlantico una figura simile una figura paragonabile a quella di De Gasperi. Quando la Russia entrò in difficoltà a causa delle sanzioni, ideate e concepite anche da Draghi, avviene una coordinazione delle autocrazie orientali per fermare la guerra. In questo scenario emerge quel disegno egemonico della Germania che ha tessuto un rapporto ambiguo e controverso con la Russia in questi anni. Infatti come scrivo nel libro era impossibile che la Merkel non sapesse che in questi anni Putin aveva in mente di invadere l’Ucraina e sarebbe stato utile nonostante l’intreccio di interessi pubblici della Germania con Russia e Cina che la Merkel avesse informato i partner europei. Nonostante questi intrighi internazionali il governo Draghi ha lasciato grandi opportunità per l’Italia, dalla migliore differenziazione della politica energetica ai riscatti di cui abbiamo parlato prima, per questo nel finale del libro dico che Giorgia Meloni ha una grande responsabilità, poiché si trova davanti alla sfida della storia ovvero non interrompere questo nuovo miracolo italiano.

-Che tipo di sfide storiche sta affrontando l’attuale premier? E per lei la Meloni può essere la nuova Thatcher?

La Meloni è già nei libri di storia perché è la prima premier donna della Repubblica italiana e la prima leader che ha portato la destra italiana alla presidenza del consiglio, ma soprattutto poiché ha di fronte a sé una sfida ancora più grande di quelle che ha già raggiunto ovvero se diventare la nuova Thatcher, appunto, oppure se perdere il treno della storia e bruciare questa opportunità. La Meloni potrà essere, infatti, la nuova Thatcher, se cercherà di proseguire un disegno di conservatorismo moderno capace di portare a compimento quel percorso di riforme portato avanti dal governo Draghi, su cui però bisogna dire che ha già  fatto molto, realizzando misure veramente riformatrici di cui però nessuno parla come la semplificazione del codice degli appalti e la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, ma tale possibilità potrà accadere solo se continuerà a seguire questa bussola anche su temi come la giustizia, la concorrenza e l’economia. Se invece si appiattirà sulle posizioni dei propri alleati o si concentrerà su alcune battaglie ideologiche deleterie a questo disegno, come quelle minori della manovra economica, perderà questa occasione. Una manovra però che però possiamo definire in piena continuità con lo spirito del governo Draghi tanto che gli è valso l’apprezzamento dell’Europa e dei mercati. 

-E come potrà la Meloni seguire questa continuità che lei ha auspicato nel suo libro?

Potrà farlo se non seguirà quel sentiero, che però rischia di percorrere, che mira ad accontentare le varie corporazioni italiane, vedi le misure sulla concorrenza, e se continuerà ad assecondare alcune indecenze come abbiamo potuto vedere riguardo il tema delle società calcistiche. Occorre quindi che la Meloni in questi mesi, che saranno fondamentali per la sua azione, segua un disegno chiarificatore riconoscendo e facendo propria quell’idea di Paese che affronta i propri problemi e cerca di continuare il sentiero delle riforme, come fanno già i ministri Fitto e Giorgetti, permettendo di inverare questo miracolo italiano, già avviato da Draghi. Un destino che sarà ancora più definito se il premier Meloni deciderà di mantenere il collocamento dell’Italia nel campo delle grandi democrazie e se, ancora di più, insisterà nel ricercare una maggiore centralità nel Mediterraneo riscoprendo l’importanza del mezzogiorno e del nostro sud per lo sviluppo del Paese.

-Da Draghi alla Meloni, passando per Biden Nethanyahu e Orban, si sta ridisegnando, quindi, un nuovo ordine mondiale che la guerra in Ucraina ha accelerato?

Dietro alla guerra in Ucraina, si vedono i segni di un nuovo conflitto di civiltà tra mondo autocratico e mondo democratico, che alla fine di questa guerra mondiale in frantumi, che è il conflitto russo-ucraino, si definirà un nuovo ordine globale. Un ordine in cui la Russia sarà ridimensionata e in cui ci saranno nuovi cambiamenti internazionali, ma che non sono in grado di anticipare. 

-E per tornare alla centralità del Mezzogiorno per il governo, come valuta l’accelerazione del processo di autonomia differenziata. Siamo passati dal falò delle leggi al falò delle regioni centromeridionali?

Io credo non succederà niente poiché è impossibile fare l’autonomia differenziata. Poiché l’autonomia differenziata è un tema che appartiene solo al rumore mediatico. Perché il quotidiano del sud in totale solitudine ha raccontato il bluff della spesa storica, con cui decine di miliardi ballano da una regione all’altra violando i diritti di moltissimi cittadini, che ora sono un tema di pubblico dominio aperto dagli scandali del nostro giornale. Infatti prima di fare i livelli essenziali di prestazione sono necessari che  le regioni del Nord rinuncino a questa sottrazione indebita. Ora proprio queste regioni promuovono l’autonomia differenziata proprio per avere ulteriori fondi da trattenere per il bilancio regionale quindi credo che di fronte alla realtà questa strada scellerata verrà abbandonata. Un frazionamento dell’Italia che poi paralizzerebbe ancora di più il Paese e che non ci possiamo permettere. Se vogliamo poi considerare questa e eventualità contro cui sono contrario concettualmente dovremmo prima risolvere la problematica delle diseguaglianze economiche tra regioni ricche settentrionali e il Mezzogiorno, che i fondi del PNRR potrebbero appiattire dando un maggiore equilibrio al divario nazionale.

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