Lo scenario globale, per come abbiamo avuto modo di conoscerlo nel corso di questo trentennio, sta attraversando una fase di inesorabile cambiamento i cui effetti sono riscontrabili nelle perturbazioni in ambito geopolitico che interessano i vari scacchieri. Tale cambio di paradigma sta anche ridisegnando le catene del valore che tendono ad accorciarsi in un’ottica di tutela e contenimento dei rischi derivanti da future perturbazioni globali. All’interno di questo nuovo contesto, il Mar Mediterraneo continua ad acquisire una sempre maggiore centralità geo-economica dettata sia dall’incremento dei traffici che dai processi di reshoring. Per meglio comprendere i sommovimenti legati al comparto dello shipping, su cui è improntata la globalizzazione economica e dei mercati, e chi effettivamente ne detiene il controllo e ne determina l’indirizzo, abbiamo intervistato il Prof. Renato Midoro – Ordinario dell’Università di Genova e già Direttore del Centro Italiano di Eccellenza per la Logistica Integrata (CIELI) dell’Università di Genova – con il quale abbiamo anche approfondito le eventuali opportunità che l’Italia potrebbe cogliere in questo nuovo contesto.
-Gli ultimi periodi caratterizzati da guerra e pandemia hanno fortemente inciso anche sul settore dello shipping. Potrebbe tracciare un quadro sui nuovi equilibri, sulle dinamiche che si sono innescate e sui maggiori protagonisti che le stanno determinando?
Nel biennio 2020/2022, per effetto della pandemia e della successiva guerra, abbiamo assistito alla capacità delle linee containerizzate di rispondere con efficacia al calo della domanda di trasporto e al rallentamento delle operazioni logistiche, a tutti i livelli, attraverso un rigoroso controllo della flotta. Ciò ha significato una riduzione drastica dei servizi di linea, un allungamento dei tempi di transito e un sensibile peggioramento della qualità del servizio. Basti pensare che vi è stato un poderoso calo del tasso di affidabilità dei servizi di linea container che dal 78% del 2019 è passato al al 35,8% del 2021. Per contro, la riduzione controllata dell’offerta di stiva ha comportato un aumento dei noli senza precedenti. Nel 2021 l’indice composito, che considera l’andamento delle otto maggiori rotte marittime mondiali, ha evidenziato un picco di 6.257 dollari per Feu, il 293% in più rispetto al 2020. Attualmente assistiamo ad un ridimensionamento delle rate di nolo. Le conseguenze in termini di risultati gestionali per i maggiori liners sono stati lusinghieri, toccando utili miliardari. Ciò ha determinato nuovi equilibri sul mercato. Il grado di concentrazione si è ulteriormente rafforzato. I top cinque global carriers (MSC, Maersk, Cma-Cgm, Cosco, Hapag Lloyd) controllano il 70,9.2% della flotta. Se poi consideriamo le tre principali alleanze strategiche (2M/Maersk Line, MSC; OCEAN ALLIANCE/Cma-Cgm + APL, Cosco, Evergreen; THE ALLIANCE/Hapag Lloyd, Yang Ming, ONE) il controllo della flotta supera l’80% e sfiora la quasi totalità della stiva offerta nelle rotte Est/Ovest e nelle mega portacontainers.
Visto il grado di condizionamento del mercato, si può parlare ormai di mercato oligopolistico. Il potere dei trasportatori globali viene amplificato, visti anche i capitali a loro disposizione, dalle capacità che essi hanno di controllare o integrare attività terminalistiche e logistiche a terra. Ciò ha determinato le reazioni delle imprese globali importatrici/esportatrici e degli spedizionieri, entrambi utilizzatori di stiva, che si sono mossi per chiedere agli Stati di attenuare le normative, specialmente quelle fiscali, per favorire l’ingresso dei top liners nelle catene logistiche. Ma soprattutto, di fronte all’effetto congiunto di costi elevati e bassa affidabilità, si sono impegnati in una sensibile modificazione delle catene di fornitura, attraverso nuove organizzazioni e accorciamenti delle stesse (reshoring). Dal lato del più importante fornitore delle linee, le imprese terminalistiche portuali, abbiamo notato una crescita esponenziale degli investimenti per ricevere le mega portacontainers e una corsa dei top cinque terminalisti globali (Cosco, PSA, APM, Hutchinson, DP World) alle acquisizioni di terminal. Essi controllano, oltre il 54% della quota di mercato.
-In termini economici, come si posiziona l’Italia in questo rinnovato contesto? Quali valori genera l’economia marittima nel Paese?
Per valutare la competitività marittima di un Paese occorre procedere ad una analisi dell’efficienza dei terminal. Il risparmio di tempo della sosta nave significa più tempo di viaggio profittevole, minori spese portuali e maggiore efficienza per la supply chain. Il tempo medio di una nave nei porti italiani nel 2021 è stato di 1,34 giorni (nel 2018 era di 1,25 giorni), maggiore della media mondiale che è stata pari ad 1,05 giorno. Le portacontainer sostano 0,96 giorno, nel mentre la media mondiale è pari all’0,8. Esiste, dunque, la possibilità di migliorare l’efficienza nei terminal container. Ancor di più si deve fare per quanto riguarda i tempi e i costi della logistica. Il Logistics Performance Index (LPI) della World Bank pone l’Italia al 19° posto tra i 160 considerati.
La competizione internazionale tra porti si basa, quindi, su terminal efficienti e su una capillare accessibilità terrestre in termini di connessioni ferroviarie e stradali da/per il porto, in un’ottica di catena logistica integrata door-to-door efficiente e sostenibile. Nel 2021 per la prima volta in tutti i porti italiani si sono superati gli 11 milioni di TEU, di cui 4 di transhipment, con Gioia Tauro che si conferma al 1° porto italiano di trasbordo, con la movimentazione di 3,1 m.ni di TEU, posizionandosi al 7° posto in ambito Mediterraneo, dietro Tanger Med, Valencia, Pireo (gestito dai cinesi), Algeciras, Port Said e Barcellona. La recente acquisizione da parte di MSC sembra foriera di sviluppi operativi assai significativi. Detto ciò, per meglio comprendere gli equilibri sullo scacchiere, vorrei richiamare l’attenzione su un dato significativo: il solo porto di Shangai con 47 milioni di Teu supera tutto il troughtput del Mediterraneo stimato in 42 milioni.
-Negli ultimi anni, tuttavia, il Mediterraneo è tornato al centro della scena geoeconomica globale. A suo avviso, il nostro Paese, anche a fronte della privilegiata posizione geografica di cui gode, sta sfruttando pienamente le opportunità che il nuovo scenario le sta offrendo?
In generale, l’economia del mare rappresenta in senso lato oltre il 3% del reddito prodotto in Italia e dà lavoro, tra occupazione diretta e indotto, a oltre 450.000 lavoratori. Tornando ai traffici, com’è noto, nel Mediterraneo transita il 20% di tutte le merci trasportate via mare. In particolare, per quanto riguarda le merci ricche containerizzate sino agli anni ’80 le rotte Far East/Europa vedevano poche fermate portuali all’interno del bacino, mentre negli anni successivi si è assistito ad un forte sviluppo del trasbordo. Oggi nell’ambito portuale si svolge un’approfondita riflessione su due temi strategici: la decarbonizzazione e la digitalizzazione. I green ports sono fondamentali per i porti italiani in larga parte situati in aree a forte urbanizzazione, ragion per cui l’emissione nei porti delle attuali 1200 tonnellate di CO2 non è più sopportabile. Il PNRR stanzia 700 milioni di euro per il cold ironing, elettricità alle navi ormeggiate, e 270 milioni di euro per gli interventi per la sostenibilità ambientale dei porti in relazione con le città. Risorse importanti che non devono essere assolutamente sprecate.
I soggetti pubblici e privati che partecipano al ciclo logistico portuale sono numerosi e lo sforzo che va fatto è quello di metterli in rapporto tra loro in tempo reale, con una continua innovazione digitale, per aumentare l’efficienza e i tempi delle operazioni portuali e logistiche. Oggi esiste una pletora di documenti in capo a numerose amministrazioni pubbliche che fanno perdere ore lavorative e miliardi di euro all’anno. L’applicazione tecnologica informatica e telematica alla portualità e alla logistica appare, dunque, essenziale per l’aumento dell’efficienza complessiva. Il PNRR prevede un intervento di “Digitalizzazione dei sistemi logistici”, finanziato con 250 milioni di euro che ha lo scopo di semplificare procedure, processi e controlli attraverso un sistema digitale interoperabile tra istituzioni pubbliche e private. Se si realizzeranno in modo virtuoso le politiche menzionate, il sistema logistico italiano potrà approfittare a pieno titolo dell’accorciamento delle catene di approvvigionamento che le imprese manifatturiere importatrici ed esportatrici stanno mettendo in atto.
-I numeri dei traffici rivelano che in Italia sia cresciuto in maniera netta il transhipment fortemente trainato dal porto di Gioia Tauro. Tale crescita, tuttavia, presenta delle ricadute irrilevanti sul territorio. Quali potrebbero essere gli elementi da mettere in campo per generare un’inversione di tendenza?
In effetti un porto di solo trasbordo dalla nave madre alla nave feeder non genera ricchezza indotta dai sistemi logistici attraverso i servizi a valore aggiunto alle merci. Già in passato, potendo contare su ingenti finanziamenti, si sono attrezzate aree industriali nella Piana di Gioia Tauro. Purtroppo gli insediamenti di imprese a forte vocazione import/export sono risultati deludenti. Oggi si potrebbero utilizzare, attraverso politiche non di corto respiro, le opportunità offerte dal PNRR anche attraverso l’istituzione delle ZES. Un’attenzione a parte merita la disponibilità meritoria per la realizzazione di un rigassificatore.
-Il programma di investimenti previsto per Genova, in cui è contemplata anche lo spostamento della diga foranea, sarà sufficiente a rendere l’infrastruttura portuale all’altezza delle nuove sfide globali? In tali processi, quanto potrebbe incidere la carenza di spazi per un adeguato retroporto, anche a fronte della sua ubicazione all’interno di un tessuto urbano?
La Liguria rappresenta, con due AdSP e i maggiori terminal hub di Genova e La Spezia, il 60% dei traffici containerizzati nazionali di hinterland. Percentuale destinata ad aumentare con l’entrata in vigore del terminal di Vado ligure. La sfida che si deve lanciare è quella che consentano ai porti liguri di diventare la porta di accesso mediterranea delle merci in import/export per e dall’Europa.
Il nuovo piano regolatore portuale di Genova, in fase di redazione, prevede lo spostamento di circa 500 metri al largo della diga foranea con l’obiettivo di ampliare le capacità di accoglienza delle navi giganti, in specie di quelle dirette al terminal Sech, ubicato a ridosso della città. Si prevedono forti incrementi della capacità di movimentazione di Teu, ragion per cui appare essenziale non soltanto potenziare gli ingressi autostradali. La vera sfida è rappresentata dal potenziamento e dall’elettrificazione dell’ultimo miglio e la realizzazione delle connessioni ferroviarie ad alta capacità con il cosiddetto Terzo valico in via di costruzione, per completare la parte italiana del corridoio transeuropeo Genova-Rotterdam. In questa chiave, e affinché si possano realizzare le potenzialità occupazionali e reddituali del sistema logistico genovese, vanno ampliate ed erette a sistema le articolazioni retroportuali del basso alessandrino, a cominciare dall’interporto di Rivalta Scrivia, con la costruzione di distripark, magazzini, e così via.
Oggi il porto di Genova genera un flusso giornaliero di mezzi pesanti pari a 5.500 unità. Se si raggiungeranno i 3 milioni di Teu nel 2025 diventeranno 7000, un numero insopportabile. Bisogna vincere la guerra del ferro, pena il soffocamento della città.
-Nonostante gli investimenti destinati al potenziamento delle varie infrastrutture, a suo avviso quanto incide in termini di competitività l’assenza di un organismo istituzionale nazionale atto a coordinare e gestire la politica logistica e portuale del Paese?
In effetti la riforma vigente prevede l’esistenza di un organismo nazionale a cui vanno inviati i PRP (piano regolatore portuale). Essi quindi vengono esaminati e approvati dalla Direzione Generale per la Portualità e la Logistica del MIT avendo presente – si spera – un quadro di programmazione dello sviluppo complessivo. A tutt’oggi questo Piano Generale dei Trasporti e della Logistica non esiste. Di recente si sono colti dei segnali che fanno pensare ad una volontà di varare una nuova riforma portuale. Auspico che essa sia in grado di assicurare maggiore autonomia e capacità di azione manageriale alle 16 APdS.
Si potrebbe anche riprendere un mio vecchio progetto, avanzato oltre venti anni fa, cambiando la forma societaria delle APdS in Società per azioni, con azionisti enti locali, entità pubbliche e regioni, nonché offrire alle stesse la possibilità di poter reinvestire una quota parte di iva prodotta per la realizzazione di sistemi logistici regionali e nazionali.