L’ideologia, anche durante la cosiddetta “fine della storia”, è ancora la grande lente con cui gli uomini leggono, interpretano, comprendono e trasformano il mondo. Una lente che può sembrare rischiaratrice ma in realtà impedisce di vedere il mondo com’è realmente, nella sua complessità e pluralità intrinseca filtrandolo tramite un pensiero politico. Un pensiero politico, pensante e militante, orientato e parziale che vuole spiegare, vincere e convincere, del “perché”, del “come” si devono svolgere le scelte e le azioni di una forza politica per plasmare una società e risolverne le contraddizioni.
Per comprendere veramente che cosa sono le ideologie è necessario leggere l’ultimo saggio del professor Carlo Galli: “Ideologia” (Il Mulino). Un testo fondamentale e straordinario con cui il filosofo modenese non traccia solo una ricostruzione e una genealogia dell’ideologia, ma ne compie una diagnosi, anatomia e analisi che ne indica ed indaga gli aspetti più contraddittori, la storia e come essa non ha mai smesso di influenzare e plasmare il nostro tempo scrivendo sul tema parole definitive. Dall’illuminismo al mondo della fine delle ideologie (o del trionfo dell’unica vincente) passando per l’alba di un nuovo mondo frammentato in cui non esiste più la società ma soltanto un insieme di casi personali. Per comprendere meglio che cosa sia l’ideologia e come funzioni abbiamo intervistato il Professor Carlo Galli, studioso, saggista e docente tra i massimi studiosi italiani del pensiero filosofico e politico.
-Perché “Ideologia” e come nasce questo suo saggio?
Il libro fa parte di una collana della casa editrice “Il mulino”, chiamata “Parole controtempo”, che raccoglie testi incentrati su termini e concetti che oggi hanno un significato provocatorio o che riguardano temi desueti la cui forza viene considerata svanita nel presente. L’obiettivo di questa collana è di spiegare come queste parole siano invece attuali e necessarie per comprendere il nostro mondo e dimostrare quanto questi termini, che racchiudono concetti di un pensiero politico “forte”, non solo non sono stati superati, ma anzi sono ad oggi fondamentali. A me è stato chiesto di scrivere due saggi riguardo due termini: “Sovranità” e “Ideologia”.
-Che cosa sono “Sovranità” ed “Ideologia”? E che relazione esiste tra questi due concetti?
La “sovranità” è una manifestazione della politica moderna nel suo attuarsi concreto, è un concetto giuridico-politico attraverso il quale passa la pratica della politica. L’ideologia è, invece, un modo di pensare la politica che ha effetti anche sulla prassi. Se vogliamo, l’ambizione di ogni ideologia è farsi sovranità, ovvero di prendere il potere e di plasmare politicamente una società sulla base delle proprie idee di riferimento. L’ideologia è, quindi, un pensiero intorno alla politica, ma soprattutto un pensiero politico. Non è solo quindi una filosofia, una interpretazione della realtà o una teoria dell’ottimo Stato, ma a tutte queste definizioni aggiunge un dato fondamentale: non vuole solo “pensare”, ma anche “convincere” e poi “realizzare”.
-Alla luce di questa definizione che cos’è, quindi, l’ideologia?
È un pensiero pensato. Un’ideologia è sempre un insieme, tra lo schematico e il dogmatico, di idee, di tesi e di proposizioni politiche di per sé non originali, che hanno come obiettivo di decifrare la realtà in modo parziale a partire da uno specifico punto di vista, da una prospettiva parziale, cioè a partire da quella che reputa una contraddizione fondamentale della società. Un problema che si osserva, si studia, ma soprattutto che si vuole risolvere e la cui risoluzione è connessa agli interessi di una classe o di un soggetto politico di riferimento. L’ideologia si differenzia così dalla filosofia politica, che è pensiero pensante, perché non ha la propensione parziale e immediatamente pratica dell’ideologia, ma ha l’ambizione di comprendere la politica in generale.
-Ma perché le filosofie politiche non sono “orientate”?
Ovviamente tutte le filosofie sono pensieri orientati, soprattutto in politica, ma si tratta di un orientamento diverso, epocale, più mediato, meno preoccupato della prassi; le ideologie, al contrario delle filosofie politiche, nello specifico non hanno come fine la conoscenza, bensì la mobilitazione delle forze sociali per inverare una prassi politica.
-Perché non esistono anche ideologie pre-moderne e in cosa si estrinseca il carattere “moderno” dell’ideologia e della filosofia politica?
Esiste una filosofia politica premoderna, ma non una ideologia premoderna. La filosofia politica moderna ha in comune con l’ideologia l’idea che la politica è concepita come un ambito problematico e caotico, non ordinato, come un disordine informe che va plasmato. Il filosofo politico moderno e l’ideologo non vedono, infatti, la realtà come l’esito di una corruzione di un ordine preesistente, ma come un’informità che va corretta, orientata, modificata in vista del futuro. Dante, invece, guardava la società del suo tempo e ne riconosceva le contraddizioni e i disordini, però non li considerava come il carattere e l’attributo di una realtà caotica e disordinata nella sua essenza, ma come il risultato del peccato, della corruzione di un ordine naturale e divino preesistente che andava ristabilito. Nel mondo antico ed in quello medievale la causa della corruzione di tale ordine non è da considerarsi come la regola, ma come una conseguenza del peccato e della propensione al male, insita nella natura umana corrotta. Non c’è bisogno di ideologie per porvi rimedio: basta ritornare sulla retta via. Un filosofo moderno invece parte dalla constatazione del disordine e non crede che esso sia la corruzione di un ordine precedente, ma che sia una condizione naturale. Il pensiero filosofico-politico moderno si configura quindi come il tentativo di costruire un ordine nuovo artificiale per eliminare tale disordine. L’ideologia (solo moderna) usa materiali nati nell’ambito della filosofia, semplificati, ed è lo strumento con cui tale ordine nuovo si invera nella realtà. Ma l’ideologia è sempre plurima: pretende di essere la soluzione dei mali della società, ma avrà sempre al proprio fianco, e di fronte, e contrapposte, altre ideologie, diverse e concorrenti. La modernità non ha un unico modello di ottimo Stato, dal punto di vista filosofico, né un unico modello di prassi politica giusta e né un unico soggetto come attore della politica. Non può dire “basta tornate sulla retta via”.
-Come nascono le ideologie? Quale è la genealogia delle ideologie?
Se l’ordine è un’invenzione, un artificio umano, bisogna capire che tipo di ordine nuovo si vuole edificare e sull’interesse di quale soggetto politico deve essere fondato. La modernità è, infatti, il periodo in cui si considera la realtà come una rappresentazione, come il prodotto e il riflesso di una teoria. Le ideologie sono tentativi politici concreti di produrre un’immagine del mondo adatta ai bisogni di una determinata classe sociale, di dare un’interpretazione delle cause del disordine e di come esso vada superato. Per tracciare una genealogia delle ideologie possiamo considerare diversi momenti fondamentali. I punti cruciali per la nascita delle ideologie sono stati – dopo l’affermarsi delle nuove filosofie nel Seicento – il Settecento, con la formulazione della prima ideologia politica, l’illuminismo, applicazione politica del pensiero razionalistico. Lo snodo politico fondamentale è la Rivoluzione francese perché in essa vi è la demolizione dell’ordine politico tradizionale e la formazione di tutte le ideologie moderne. L’Ottocento e la prima metà del Novecento sono dominati dalle ideologie, che accompagnano la storia politica occidentale, rispondendo di volta in volta alle sue crisi, o producendone di nuove.
-Come viene interpretata nella contemporaneità l’ideologia? E come viene analizzata?
Oggi l’ideologia è oggetto di un campo di studi, gli ideology studies, che la affronta a partire dai contenuti del discorso politico. Ma i contenuti delle ideologie sono sempre gli stessi (soggetto, Stato, libertà, uguaglianza, popolo, alienazione, partito), benché si leghino e assemblino in maniera diversa in base al soggetto politico di riferimento, alle idee che lo conformano, al momento che le ha generate. Ma è la genealogia più che lo studio dei loro contenuti che caratterizza veramente l’identità delle ideologia. In generale i due momenti genetici sono la nascita della modernità e la crisi dell’Ancient regime, in cui si innestano nella società e nel pensiero nuovi soggetti politici e nuove interpretazioni della realtà ad essi collegate.
-Come si muove e si realizza nella pratica una ideologia e come influenza il nostro modo di percepire il reale?
L’ideologia è polemica, poiché vi è insita l’idea del nemico. La crisi e il disordine hanno un colpevole, il disagio sociale e l’oppressione hanno un colpevole che va identificato e definito come nemico (il capitalista, il controrivoluzionario, lo Stato, l’ateismo, l’antico regime, la tirannide, ecc.). A tale vocazione polemica va affiancata l’idea che c’è una classe, un gruppo o una nazione oppressa che subisce il disordine, ma considera tale condizione naturale, normale e ne subisce gli effetti passivamente. In risposta a tale rassegnazione e oppressione l’ideologia ha una funzione “pedagogica” perché deve rischiarare le menti e risvegliare gli uomini dal loro stato di minorità. Essa non solo vuole identificare e colpire il Nemico, ma vuole anche spiegare quale sarà la società futura; l’ideologia infatti oltre a un elemento polemico e pedagogico implica il progetto, la costruzione di un ordine politico, economico, istituzionale e di una egemonia culturale ad esso collegato. Una ideologia deve, in sostanza, criticare, vincere e convincere. Produce cultura, riforme, idee, istituzioni capaci di esprimere le nuove idee e dimostrare come l’interesse del soggetto politico di riferimento collimi con l’interesse generale.
Queste sono in sostanza in modo astratto i lineamenti ed i caratteri di quello che sono il socialismo, il conservatorismo, il fascismo, il liberalismo, la democrazia. Ci sono tante ideologie diverse, ma la struttura che le accomuna tutte è questa che vi ho descritto.
-Nel libro poi ci sono una sequenza di analisi sulle diverse tesi che caratterizzano le ideologie. Può parlarcene?
Nel mio io testo ho raggruppato le ideologie in tre famiglie diverse.
La famiglia marxista-socialista che per prima ha teorizzato e mostrato l’esistenza della questione ideologica (anche se il nome nasce dagli “ideologues” che sono stati gli illuministi di quarta generazione) e il loro uso strumentale nella politica. Il pensiero socialista (Marx e Engels nello specifico) adopera la parola ideologia in senso negativo come la falsa coscienza dell’obiettività e la sottopongono a una critica che la mostra come una falsa idea del reale che impedisce agli esseri umani di capire come vivono, come funziona il mondo. Una falsa coscienza che è superabile solo dal partito comunista, che ha la missione di costruire un ordine nuovo che conduca alla fine della storia nel bene di tutte le classi produttive.
Analizzando l’ideologia socialista troviamo tutte le caratteristiche che abbiamo illustrato in precedenza: un soggetto politico trainante, l’individuazione di un nemico (i capitalisti), una interpretazione errata e capziosa della realtà (la cultura liberale e borghese), la necessità della costruzione di un nuovo ordine di cui tutti possano beneficiare, l’identificazione del bene di tale soggetto col bene comune, la necessità di un risveglio pedagogico. Però per Marx e Engels ideologia non è il marxismo, ma il pensiero e le istituzioni democratiche e liberali che sono prodotte dalla borghesia per legittimare sé stessa, mentre il marxismo definisce sé stesso come “verità”. Per la seconda famiglia politica, che è analizzata nel testo, l’ideologia non è solo quello che Marx e Engels definiscono come tale, ma è ogni pensiero politico che elabora teorie per legittimare sé stesso. Questa è la tesi degli elitisti italiani, Mosca, Pareto e Michels. La terza posizione sull’ideologia è, invece quella che va da Nietzsche fino ad Heidegger ed Hannah Arendt. Secondo tale visione l’ideologia è la tendenza generale che per tutta la storia dell’Occidente produce la duplicazione del mondo in una realtà empirica ed una realtà razionale e migliore che devi inverarsi nella realtà empirica. Per Nietzsche tutta la storia dell’Occidente è quella del “dover essere” che vuole governare l’ “essere” tramite la religione, la morale, la scienza e le ideologie politiche. L’ideologia è quindi la coazione a pensare che non si può fare a meno del “dover essere”, la coazione a non vivere in modo naturale e spontaneo nell’immanenza, ma a cercare una trascendenza ordinata, che eterodirige l’uomo. Il pensiero di Nietzsche è in antitesi sia con il liberalismo e con il razionalismo, sia con la dialettica, perché vi vede forme di coazione accomunate dalla stessa tendenza di fondo. Una idea radicale con i suoi pregi e i suoi difetti. Perché da una parte è una analisi molto acuta dell’ideologia, dall’altra è, invece, una visione che può essere percepita come un controsenso.
-Oggi sono finite le ideologie o è solo una astuta “menzogna”, generata dall’unica ideologia trionfante?
Le ideologie non sono finite affatto. Si dice, però, che le ideologie hanno concluso la loro funzione, poiché un tempo erano il modo con cui la politica e la società esprimeva sé stessa e le proprie contraddizioni, in vista di un cambiamento possibile; ma se la storia è finita, come afferma Francis Fukuyama, sono finite anche le ideologie. Se Raymond Aron diceva che le ideologie “sono le idee dei miei avversari”, e se il neolibersimo democratico non ha più avversari allora non ci sono neppure ideologie. Come diceva Margareth Thatcher, non esiste nessuna alternativa al “neoliberismo”, il che significa che questo è la verità, incontrovertibile.
Non c’è spazio per politiche diverse; al più, ci sono solo problemi tecnici da risolvere. È chiaro che questi schemi sono tipici dell’ideologia; e il neoliberismo lo è, come tante altre, sulle quali ha trionfato pur senza cessare di essere “ideologia”. Il neoliberismo nasce con il marginalismo austriaco, ha la propria massima teorizzazione con l’opera di un grande filosofo come Hayek , e viene diffuso e volgarizzato con i mezzi di comunicazione di massa nella seconda parte del Novecento, dopo la crisi del keynesismo. Secondo la sua visione non esiste la società, né gruppi sociali tra loro contrapposti, ma esiste soltanto l’individuo. Per il neoliberismo il mondo è inteso come un brodo primordiale di individui atomizzati e separati, in cui ciascuno è portatore di un progetto di vita, di un proprio interesse, dei propri meriti e non esiste una dimensione pubblica, ma solo una quantità infinita di privati che si regolano tra di loro seguendo le regole dei rapporti economici. In questo scenario tutti i soggetti che fanno parte della società hanno una posizione di partenza uguale che è il coinvolgimento nel Mercato. Ma questa visione oggi è in crisi, dopo gli eventi del XXI secolo: contro questa realtà, il neoliberismo, e contro questa cultura dominante, il pensiero unico, sono nate delle contro-ideologie che ho diviso in: mentalità; quasi ideologie; ideologie vere e proprie.
-Quali sono queste reazioni ideologiche, microideologiche o paraideologiche al “neoliberismo” e come stanno influenzando il nostro tempo?
Il neoliberismo oggi è in crisi, ma ha lasciato come eredità la mentalità dell’individualismo, ovvero l’abolizione della dimensione pubblico-politica della società. Non si contesta più l’ordine costituito come gruppo, classe o comunità, bensì come privato. L’enorme spazio del web, ad esempio, ha favorito questa deriva poiché negli enormi spazi dell’infosfera gli odi e i furori degli utenti non riescono a farsi forza aggregante in una forza politica concreta, ma si sfogano inutilmente in invettive. È come se alla fine dell’Ottocento gli operai sfruttati invece di dare vita ai partiti socialisti fossero rimasti a casa a maledire i loro padroni. Su questa mentalità hanno trovato terreno fertile delle abitudini collettive e non formalizzate che chiamo “quasi-ideologie”: il politicamente corretto e il complottismo. Le quali sono strettamente legate ad una visione individualistica della società. Le quasi-ideologie individuano i problemi, ma trovano ad essi delle soluzioni bislacche, di fantasia. Il complottismo manca di capacità analitiche e di una reale comprensione della realtà. Il politicamente corretto è, invece, l’idea che ciascun micro-gruppo debba affermarsi e avere il diritto di definirsi con un nome di propria scelta, opposto a quello dispregiativo o convenzionale in voga, e che questo (che è giusto) basti per risolverne un problema.
Poi ci sono vere ideologie, o se si vuole neo-ideologie (che si distinguono dalle vecchie perchè sono poco formalizzate) come il femminismo, i movimenti antirazzisti, il populismo e il sovranismo. Dei pensieri politici che si incaricano di individuare una contraddizione nella nostra società vista da un gruppo sociale di riferimento e di indicarne le vie di lotta e risoluzione per favorirne un loro superamento.
-Quali sono le caratteristiche di queste “neo-ideologie” e cosa le definisce? Soprattutto nel caso del populismo e del sovranismo?
Il populismo vede la società come un sistema gerarchico dove le élites opprimono il popolo e quindi vanno spazzate via in quanto parassitarie e illegittime. In questa visione c’è una affinità col neoliberismo perché non considera il conflitto che si manifesta nella produzione, ma risolve la conflittualità in modo superficiale, attraverso una protesta immediata e moralistica. Il sovranismo, invece, è l’ideologia più robusta fra quelle elencate perché più delle altre vuole agire decifrando e trasformando il mondo che osserva. Secondo tale visione oggi le contraddizioni economiche, politiche, sociali esistono e permangono, ma non hanno più un punto di imputazione perché non esistono più i corpi Intermedi e soprattutto lo Stato ha perso il suo ruolo: un tempo, attraverso i suoi poteri e le sue istituzioni si poteva pensare di risolvere le contraddizioni insite nella società. Nel mondo del neoliberismo, invece, in cui esiste il primato del mercato e dell’economia tale visione non è più possibile. Per l’ideologia sovranista bisogna tornare allo Stato e alla sovranità per risolvere le contraddizioni che riguardano la società. Il sovranismo poi ha più sfumature e posizioni diverse al suo interno.
Mentre il politicamente corretto, il complottismo e il populismo scatenano guerre esclusivamente culturali, il sovranismo, invece, quando è di sinistra o democratico, scatena anche conflitti distributivi ed economici, mentre se è reazionario o di impostazione liberista invece scatenerà solo conflitti culturali che mirano a ridimensionare le istanze del politicamente corretto. A queste ideologie va aggiunta una ulteriore ideologia che è quella dell’ establishment, cioè non tanto del politicamente corretto, ma del politicamente vincente. È l’ideologia del mainstream che consente di dire che ogni forma di governo che non sia la liberaldemocrazia è sbagliata a priori, che divide il mondo in buoni e cattivi, giusti e criminali, democratici e totalitari. Questa è l’ideologia nascosta, non perché sia velata, perché anzi parla attraverso i media, l’opinione pubblica, l’establishment è manifesta ed onnipresente, ma perché non vuole definirsi come ideologia ponendosi in definitiva come verità. Si tratta di ideologie tra loro diverse per soggetti, idee e soluzioni, e corrono il rischio di restare intrappolate nella “guerra culturale”, come conflitto che non tocca le strutture economiche della società
-Secondo lei quindi ha ancora senso parlare delle ideologie e quanto possono essere utili per comprendere il presente?
Non è possibile fare politica senza l’ideologia. Però non sappiamo se saranno ideologie democratiche o autocratiche, tecnocratiche o libertarie, progressiste o reazionarie, o se non ce ne sarà nessuna che prevarrà nella nostra realtà o se semplicemente passeremo da una crisi all’altra. In ogni caso l’ideologia non è una parola impronunciabile o un disvalore, ma è un modo con cui si può comprendere le contraddizioni e le complessità del reale. Uno strumento insostituibile per comprendere la politica e per attivarla di cui non ci si può liberare con facilità e la cui importanza è ancora attuale.
-Secondo lei l’avvento delle micro-ideologie non certifica il passaggio verso un mondo neofeudale in cui la struttura neoliberista non viene mai messa in discussione, ma sono presenti solo delle eresie?
Sì, certamente; mentre alcune neo-ideologie sono importanti e colgono veri problemi, le microideologie persistono finché il neoliberismo esiste e mantiene una presa anche indiretta sulla società. Esistono poi grandi temi, invece, di cui non si può parlare e ci sono dei dogmi che vanno assolutamente accettati (è l’ideologia dell’establishment), e chi li mette in discussione, anche solo con “distinguo”, non viene trattato più come un avversario con cui dialogare, ma un eretico da sconfiggere. In questo senso concordo con la sua definizione.
–Progetti futuri e ultime pubblicazioni?
Ha visto la luce l’esito della mia prima traduzione integrale del “De iure belli ac pacis” di Ugo Grozio. La cui importanza teorica come opera cardine del pensiero filosofico politico occidentale è pari a quella del “Leviatano” di Thomas Hobbes e che verrà promossa e diffusa tramite le edizioni de “l’Istituto Italiano degli studi filosofici”. Poi sto scrivendo un libro sulla crisi della democrazia, che vedrà luce nei prossimi mesi