L’emergenza sanitaria che ha coinvolto la popolazione mondiale in questi due anni, con annessi protocolli per affrontarla, mette al centro delle sfide politiche attuali e future – ambiente, globalizzazione, migrazioni nonché un rinnovato paradigma biopolitico, favorito dalla sempre più crescente medicalizzazione della vita e dalle biotecnologie – il corpo. Negli ultimi anni un rinnovato interesse per l’ente corpo ha infatti investito a fondo la riflessione filosofica, scientifica, giuridica relativamente alle istanze di cui si è accennato. Raffaella Sabra Palmisano nel libro Corpo (edito da Mimesis), analizza le nuove sfide a partire da questo dato: il corpo non rileva tanto e quanto fatto in sé evidente, ma si dà come costruzione: nella relazione con la realtà, il processo di significazione del corpo è destinato a subire (o ad imprimere) nel mondo circostante continue trasformazioni.
Ciò dipende dalla specificità del corpo, che risiede nella capacità di dire che è sempre un dire performativo, cioè plasma la realtà attraverso narrazioni accettate come vere in un determinato momento e da un determinato gruppo. Essere corpo significa sostanzialmente essere relazione: dunque esso non è preso in considerazione come dato oggettivo, cioè come mera evidenza, in quanto non riesce ad andare oltre l’alternativa tra esserci o non esserci: non come verum et factum ha senso, ma come verum et fieri, vivendo in un rapporto di co-costruzione con la realtà attraverso il dire e l’immaginare. A partire dal mito, passando dall’analisi dell’istituzione della famiglia, del rapporto con il potere fino ad arrivare al transumanismo e al capitalismo con cui si relaziona, la realtà e il corpo che in essa e con essa vive è, potremmo dire, perennemente under construction. Il dire infatti è poietico e in quanto relazione il corpo è politico, un attore sociale:
«Affermiamo così che la realtà si rivela e costruisce attraverso il dire, ovvero è manifestata e si manifesta attraverso il dire che è sempre performato e performante. Questo dire è il dire detto dall’uomo, che è locità del dire e dunque dell’ermeneutica come il dire è locità del reale, poiché nel dire si manifesta ed è manifestato. […] Il dire agisce sul corpo, crea il corpo. Dal dire io-tu ai discorsi di potere, dalle speculazioni filosofiche all’azione politica, la parola crea e modifica i corpi nella misura in cui ne parla.»
Il punto centrale del discorso sui corpi, è relativo al rapporto tra sapere e potere e a come la tecnologia influisca in maniera determinante sul processo di conoscenza degli individui: con Lyotard, Palmisano ci dice che con l’avvento della società post-industriale e della cultura post-moderna, anche il sapere scientifico assume i contorni di una specie di discorso. La pervasività dei mass media ha poi amplificato una gestione delle informazioni, dunque del discorso, secondo la logica del mercato dando luogo ad un controllo capitalistico delle stesse: Derrida, che ricorre all’esempio degli attentati dell’11 settembre 2001 e al modo in cui l’amministrazione americana ha gestito le informazioni da dare e da tacere, parla di controllo del faire-savoir che inevitabilmente determina il savoir-faire della politica.
C’è un’espressione vituperata, ma senz’altro efficace per descrivere quanto detto dalla Palmisano fino ad ora, cui noi ci permettiamo di ricorrere che è quella di “padroni del discorso“. Infatti, chi gestisce le informazioni, rectius, chi le possiede, ha il potere di determinare il corso della realtà che ci circonda. Genera quotidianità e futuro, può addirittura alterare il passato, per il solo fatto che alla parola viene attribuito questo enorme potere performativo, senza che si riconosca mai una realtà data, cioè radicalmente altra rispetto a sé. Si tratta della totale relativizzazione di ciò che noi definiamo realtà e ciò dovrebbe costituire il presupposto di una società aperta in cui la politica abbia piena cura del relazionarsi degli attori sociali. Poiché anche la scienza, con siffatte premesse, si configura come un “dire performativo” interpretatbile dal punto di vista politico, in quanto narrazione che crea linguaggio e struttura dei legami, secondo Palmisano sistema politico e concezione del corpo sono strettamente correlati perché le modificazioni corporee – che avvengono per i più svariati motivi, siano essi tribali, religiosi, giuridici, medici – sono attuate per motivi essenzialmente politici.
Il Lebenswelt (lett. ambiente di vita) è dunque di volta in volta determinato dalla parola. La Storia si presenta, con questa premessa, come cronologia di narrazioni, di trame costituite che si modificano nel corso del tempo , ma non è chiaro come il corpo, inteso come attore sociale, che non sia quello di chi gestisce le informazioni plasmando la realtà, partecipi a questa costruzione. È una partecipazione attiva o passiva al processo performativo? Probabilmente la seconda opzione è quella più realistica, trovandosi a subire scelte altrui. Le conseguenze dell’impostazione del discorso intorno ai corpi in questi termini, si propone – come già accennato – la realizzazione di una società aperta (chiamata società dell’amore) in cui si abbia piena consapevolezza della mancanza di un assoluto come riferimento, e l’auspicato “non giudicare” consentirebbe di avvicinarsi agli altri sapendo che non esiste una conoscenza definitiva.
Un auspicio che però confonde il giudizio di fatto con il giudizio di valore: cioè mette sullo stesso piano il giudizio di natura cognitiva con quello di natura morale, che invece devono rimanere distinti. Il giudizio di fatto è quello che ci consente di orientarci nel reale, permettendoci di distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. Il giudizio di valore, attenendo alla morale, riguarda la distinzione tra giusto e sbagliato. Mentre si proclama una vittoriosa mancanza dell’assoluto, si finisce più realisticamente ad assolutizzare il relativo, a seconda che in un determinato tempo, le forze che gestiscono la narrazione riescano ad imporsi sugli altri. Il “non giudicare” evocato, richiama al pensiero quel concetto che gli scettici codificarono con il termine epochè, ovvero la sospensione di qualsiasi giudizio vista l’impossibilità di pervenire ad una verità altra, cioè esterna al pensiero stesso, oltre il predicato. Ma se non c’è nulla che trascenda la narrazione, perché un Truman Burbank, interpretato nel celebre film da Jim Carrey, si dà pena per uscire dal Truman show?