In quello che rimane il film più importante di Alfonso Cuarón – I figli degli uomini – il protagonista, interpretato da Clive Owen, vive in un mondo che è la definizione di distopia. Il genere umano è prossimo all’estinzione, incapace di figliare e di trovare soluzioni ai problemi che lo circondano, mentre Londra rimane l’unico porto sicuro di un mondo che si avvicina a passo spedito verso il collasso, fra crisi migratorie e fazioni interne che si fanno la guerra. L’unica salvezza è rappresentata da una donna e dal figlio che porta in grembo: il nuovo, personificazione della capacità di voltare pagina, della speranza in un avvenire diverso. Oggi non sembra di essere troppo distanti da quel mondo immaginario, immersi come siamo nella policrisi descritta da Adam Tooze, attaccati da ogni direzione e con le vecchie soluzioni incapaci di aiutare. Il cambio di passo stenta, e noi di conseguenza.
Rimane così una considerazione: lo spirito del tempo potrebbe dunque essere la confusione, la medesima che emerge dagli antri più profondi della nostra anima di fronte a un codice inintelligibile, di cui si cerca inutilmente il bandolo. Alessandro Vergni, giornalista e scrittore, vive, suo malgrado, in questo tempo. Il suo ultimo libro – Perle false e cuori impavidi (Guerini e Associati, 2023) – è la recherche di donne e uomini che forse il Nuovo l’hanno già partorito senza che noi ce ne accorgessimo. Sono i cuori impavidi a cui si fa riferimento nel titolo, che Vergni interroga a lungo. Nelle interviste l’interrogativo è uno solo: posto che l’uomo, com’è naturale che sia, è in continua mutazione rispetto a sé stesso e a ciò che lo circonda, cosa ha senso tramandare? Quali usi e tradizioni donare a chi verrà e cosa invece lasciar cadere nell’oblio? In altre parole come distinguere le perle vere da quelle false?
Ci viene dunque proposta un’analisi dei nuovi comportamenti, dei nuovi valori, comparati a quelli che le vecchie generazioni hanno deciso di donare a noi, considerandoli perle dal valore inestimabile, ma che oggi per molti sembrano solamente catene dalle quali liberarsi. Identità, storia, sesso, radici, desiderio, guerra: fra una sigaretta e l’altra si cerca di tirare le fila di un’epoca bipolare e mal rappresentata.
Alla Professoressa Antonia Arslan, padovana e armena, Vergni chiede come sia possibile conciliare il bisogno di avere radici solide con il sentirsi a proprio agio in una comunità che non può non tendere versa la propria condizione globale. La risposta aiuta a capire che dove spesso vediamo conflitto, in realtà, può esserci una naturale conciliazione. Allora perché due idee che possono coesistere ci vengono presentate come ostili l’una con l’altra. Perché buttare giù le statue dei supposti malfattori di cent’anni fa in nome di un’uguaglianza per cui, in molti casi, gli stessi che oggi vivono sotto forma di acciaio o rame diedero la vita. Da dove nasce la cancel culture? Come capire un fenomeno che a prima vista appare barbaro e ingiustificato (ma che rimane senza dubbio vecchio, almeno come il mondo stesso)?
Si potrebbe andare avanti parecchio a trattare delle questioni sollevate da Vergni, degli interrogativi che affollano la sua mente. Perché di dubbi ce ne sono molti: il crescente e incessante desiderio di viaggiare, che sembra molto più uno scappare da piuttosto che un andare verso; il perdere dimestichezza con il conflitto, la sua onnipresenza nel mondo, la sua capacità di esprimersi nel piccolo nelle litigate che periodicamente affrontiamo con le persone che ci sono vicine; infine solo l’apparente dominazione odierna del desiderio corporale, quando nei fatti rimane un desiderio astratto: il concreto è appannaggio di una percentuale più risicata di quanto non si voglia credere.
Allora, riconosciute le perle false, come trovare quelle vere? La policrisi lascia incapaci di capire, soli e disillusi. Le soluzioni umane, quelle che provengono dall’idolo di turno, non sono la soluzione. Lo sostiene il Vescovo e teologo Massimo Camisasca, intervistato nell’ultimo capitolo, che vede nell’amore per il proprio fratello l’unica strada:
«Solo se si accoglie la propria fragilità e pochezza creaturale si diventa capaci di mettere i propri doni al servizio dei fratelli, riconosciuti come figli di Dio e perciò bisognosi di salvezza come noi. L’uomo nuovo è l’uomo concreto, reale, è ciascuno di noi quando si apre all’offerta di guarigione del cuore e della mente che Gesù rivolge a ogni persona.»