OGGETTO: Il tramonto di una controffensiva fallita
DATA: 20 Dicembre 2023
SEZIONE: Geopolitica
AREA: Russia
Si raccolgono i cocci mentre si cerca di capire a che punto sia la guerra. Assuefatto e annoiato, l'Occidente non ha idea di come far finire questa guerra, mentre altri dossier vanno acquisendo maggiore priorità. Il distacco è doloroso per Kiev. Putin guarda e sorride, ma comunque sa che, salvo miracoli, verrà consegnato alla storia come l'uomo che ha perso l'Ucraina.
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A est di Dnipro, poco oltre la piana del fiume Samara, c’è lo svincolo tra la E105 e la E50. Una scende a Zaporizhzhya, verso Melitopol e il Mar d’Azov – obiettivo principe dell’offensiva estiva per gli americani – l’altra corre verso il Donetsk, il fronte di Bakhmut – più volte dichiarato dallo stesso Zelensky quale pivot simbolico della guerra. È iniziata così l’offensiva primaverile ucraina – in realtà estiva dato il ritardo per mancanza di risorse. Ogni obiettivo strategico viene comunque obliterato in pochi giorni dalla riconosciuta impossibilità di avanzare a grandi passi nei campi minati russi, sotto il fuoco dei droni e preceduti dall’intelligence in quasi ogni manovra.

Un sistema mediatico ormai assuefatto alla spettacolarizzazione della guerra l’aveva celebrata come la manovra decisiva, il punto di svolta della guerra, simbolo del bene che dall’unione (occidentale) dei giusti trae forza per respingere l’invasore. In autunno invece si sono raccolti i cocci. Sono emersi i contrasti a livello operativo, il sottofinanziamento dell’offensiva, la sottovalutazione delle difese russe – su tutte la profondità delle linee fortificate e minate – e la rovinosa superiorità russa nell’Electronic Warfare, fino all’inadeguatezza degli addestramenti occidentali. Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate ucraine, ripiega sulla speranza di una cosiddetta rivoluzione negli affari militari, un Santo Graal tecnologico che venga scoperto, applicato, finanziato, costruitoe insegnato in tempo per la fine del conflitto, e in grado di stravolgerne il canovaccio tattico; wishful thinking spinto testimone di un bilancio tattico.

Gli Stati Uniti avrebbero potuto passare all’incasso chiedendo trincee e fortificazioni, riempendo gli arsenali ucraini di mine e droni, e puntellandone le capacità antimissile. In questo modo avrebbero chiuso la guerra realizzando il massimo vantaggio strategico: dissanguamento tecnico e umano dell’avversario; truppe ucraine ancora in buone condizioni numeriche e di equipaggiamento, in grado di blindare il territorio in loro possesso, e di infliggere ulteriori perdite in caso Mosca necessitasse di ulteriori offensive.

Ma nelle guerre per procura, per definizione, sul campo ci va qualcun altro; chi commenda può consigliare, pressare, ma non può telecomandare i reparti sul terreno. E così la Casa Bianca ha scommesso su un’ulteriore avanzata, su una vittoria strategica che riuscisse a tagliare il corridoio verso la Crimea, ma fatta secondo dettami operazionali ucraini, con organizzazione tattica ucraina.

Un’offensiva peraltro dichiarata con grande anticipo e chiarezza dagli americani quale ultima manovra di questa guerra. Una mossa quantomeno peculiare, dato che un conflitto non è una partita di calcio, e dunque non c’è un arbitro (a stelle e strisce), che una volta scaduti i novanta minuti fischia la fine facendo rientrare disciplinatamente le squadre negli spogliatoi.

Da qui dunque, dove si va? Il fallimento dell’ultima scommessa lascia l’Ucraina nella posizione peggiore. Le truppe sono esauste, e nemmeno il morale può ora sostenerne la fibra vitale. Sotto-equipaggiate, data la capacità finanziario-industriale occidentale, irreversibilmente rachitica rispetto all’intensità del conflitto. In previsione di avanzamenti mai realizzatisi, è difficile immaginare che l’esercito abbia potuto consolidare in profondità delle linee difensive vicine alla linea di contatto. Nessun segnale finora ci dice che i russi siano in grado di ribaltare il fronte, e la loro iniziativa ricalca le fattezze striscianti di quella ucraina dell’estate, ma è ben probabile che un riassestamento più stabile costerà territorio.

Ma è il quadro politico più ampio che deve spaventare maggiormente Kiev. I fondi sono arrivati (appena) a preparare l’offensiva, ma non a sostenerla. Il pacchetto da 50 miliardi dell’UE è in parte rimasto nei proclami, mentre il pacchetto USA – oltre 100 miliardi – è stato degradato a materia di scambio nelle contrattazioni della vetocrazia statunitense. Kiev, che ha scarsa produzione militare propria, e che non è nemmeno lontanamente autosufficiente dal punto di vista finanziario, dipende da questi aiuti per potersi mantenere in vita politicamente.

È qui che interviene il fattore geopolitico a sostanziare il ragionamento strategico. Ogni operazione militare, per quanto attentamente ideata, si basa sempre su alcune semplici quanto determinanti premesse (scommesse) politiche. Come Mosca pensava di non incontrare resistenza a Kiev nel breve termine, pensa ancora di poter ribaltare il minor peso produttivo con l’inevitabile sopraggiungere del disinteresse e disimpegno occidentali. Ad oggi l’ex-KGB sta ancora sulla riva del fiume, ad attendere che la carcassa della dignità occidentale trascini inevitabilmente con sé anche quella dell’arrendevolezza ucraina.

Da tempo Putin ha infatti sostanzialmente raggiunto gli obiettivi operazionali minimi – corridoio terrestre verso la Crimea e consolidamento del Donbas – ma non quelli strategici. Al di là della retorica da public diplomacy, la demilitarizzazione dell’Ucraina come premessa alla sua neutralizzazione a lungo termine rimane il target politico centrale del Cremlino. Ebbene, se la tendenza al disimpegno occidentale dovesse proseguire, Putin potrebbe ora tornare a credere che il momento migliore per sedersi al tavolo sia ancora di là da venire. Nessuna offensiva in grande stile – come ad esempio quella che sta ora investendo Avdiivka per motivi tattici qui superflui – ma un approccio minimale che esaurisca il tessuto umano e tecnico rimanente dall’altra parte.

La posta strategica è alta: se il Cremlino non arriva a costringere l’Occidente – per mancanza di volontà politica – ad accettare un compromesso neutralista in Europa dell’est, allora questa sarà l’ultima volta che cambierà gli equilibri europei armi in mano. La polarizzazione geopolitica riempie i vuoti: ogni lembo di terra non controllato dal Cremlino correrà sotto l’ombrello americano.

Roma, Dicembre 2023. XIII martedì di Dissipatio

E per ottenere il risultato politico deve allungare la guerra, e non di poco; deve depoliticizzarla e slegarla dai risultati di prestigio. Possibile ma non scontato. L’Occidente, che ha improvvisamente deciso di mettere in gioco la sua identità, rischia ancora una volta di trasformare superiorità geopolitica in fallimento politico, dunque ancora in trauma.

Il terzo scenario è che Putin “si accontenti” di aver fatto sentire la propria voce all’Occidente, pur con effetti geopolitici pressoché nulli; di averlo costretto a tornare in una dimensione relazionale, pur se in realtà fittizia, dato che il dialogo e la concertazione non sono mai esistiti. L’agognato riconoscimento quale pari ha virato verso il paria; solo scambi d’artiglieria, per ricordare all’altro che si esiste quando ci si sente ignorati, ma ammantati di iperrazionalità strategica.

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