OGGETTO: Il sole risorge ad Est
DATA: 15 Dicembre 2022
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Scenari
AREA: Asia
Le minacce di Pechino verso Taiwan spingono le altre potenze regionali fra le braccia del Giappone, che ha già avviato una politica del riarmo in barba ai patti sanciti dalla Seconda Guerra Mondiale.
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Non è proprio una notizia dell’ultim’ora che il Giappone abbia deciso di abbandonare la sua storica politica pacifista per riarmarsi. Da Junichiro Koizumi in avanti, sono anni che Tokyo ha lanciato la sua personale corsa agli armamenti nel tentativo di arrivare ad un cambio di paradigma che riguarda anche il sentimento popolare verso la guerra. Già era intuibile nel 2004 quando il Giappone decise di inviare un contingente in Iraq, violando uno principi cardine della sua Costituzione. La medesima che in linea teorica vieterebbe di dotarsi di un esercito. Così quella che doveva essere una sorta di “Svizzera dell’Est”, isolata, passiva e dipendente dagli americani, è diventata una potenza come le altre, ma con forti velleità imperiali, che in Europa ben si ricordano. Ciò è avvenuto principalmente perché c’è un punto interrogativo grande come un’isola nell’area, chiamato Taiwan. Se dovesse cadere sotto il controllo della Cina allora per il Paese del Sol Levante sarebbero guai seri.

L’obiettivo non è per niente nascosto in primis da Xi Jinping, che più volte ha dichiarato di voler riunificare la Grande Cina. Per Tokyo questo vorrebbe dire perdere enorme influenza nella regione, principalmente a causa della caduta delle rotte marine nelle mani nemiche. Bene ricordare che il Paese è dipendente dalle importazioni per sostenere la sua industria, militare compresa. Dover rendere conto alla Cina invece che agli Stati Uniti sarebbe ben altra situazione rispetto allo status quo. Per questo Tokyo ha indicato Pechino come somma minaccia nel suo Libro Bianco sulla difesa del 2019. Va da sé che se già nel 2019 c’era preoccupazione, nel 2022 essa non possa che essersi moltiplicata esponenzialmente dopo i fatti ucraini. Il rientro improvviso nel campo delle possibilità di una vera invasione in territorio straniero, considerato succube dal nemico, non ha che accelerato un processo che era già in moto. Si parla di una spesa militare che dovrebbe passare dai circa 40 miliardi di dollari l’anno del 2022 ai quasi 300 miliardi nel 2027, per un aumento di circa dieci volte tanto. 

La strategia giapponese è dunque vincolata da quella cinese. Xi, però, si trova di fronte a problemi non indifferenti. Un basso indice di natalità mina le prospettive future di crescita, mentre una crescente classe media potrebbe portare altrettanto crescenti malumori verso il pervasivo potere pechinese, che si ramifica in un controllo distopico delle abitudini e dei comportamenti dei suoi cittadini. Già si è potuto assistere a primi sommovimenti in alcune delle principali città, ufficialmente causati dalle politiche restrittive anti-Covid, ma nei fatti motivate da qualcosa di più profondo. Xi, qualora si verificasse uno scenario in cui il potere gli sfuggisse progressivamente dalle mani, potrebbe vedersi costretto ad agire come il suo (ex) alleato russo, scaricando così esternamente – direzione Taiwan – le tensioni interne. Il Giappone in quel momento dovrà essere pronto. All’orizzonte ci sono però altri problemi sociali che potrebbero disturbare il piano quinquennale di Fumio Kishida. Il Paese vive la sua piena post-modernità e gli ideali di sacrificio, l’abnegazione, il lavoro, la società prima dell’individuo, stanno diventando pian piano sempre più difficili da far digerire alle nuove generazioni. Il numero dei suicidi è in aumento, mentre compaiono nuovi fenomeni inediti, come quello degli hikikomori, cioè giovani che rifiutano la società e le sue pressanti richieste, per rifugiarsi nella propria grotta, che spesso coincide con le quattro mura della propria stanza. Infine anche per il Giappone arriveranno problemi d’integrazione: nei prossimi decenni andranno modificandosi i rapporti fra il numero di nativi del Paese del Sol Levante e quello dei non autoctoni. Problemi alla fine non troppo diversi da quelli cinesi, che pur godono di migliori prospettive di crescita. Non deve stupire che le soluzioni adottate da entrambi non siano poi così dissimili.

Il riarmo giapponese passa principalmente per la volontà, già più volte espressa, degli Stati Uniti di abdicare parzialmente al loro ruolo di potenza egemone. Nei fatti “delocalizzando” nei limiti del possibile la necessità di difendere i confini dell’impero dalle minacce esterne. In questo disegno il Giappone è fondamentale. L’acquisto dei cinquecento missili Tomahawk americani va in questa direzione, così come la scelta di iniziare a cooperare con partner diversi da Washington. Fra questi rientra anche l’italiana Leonardo che s’impegnerà a rifornire Tokyo del materiale bellico richiesto e con cui è già cominciata una collaborazione per la costruzione di un aereo da combattimento di nuova generazione che verrà completato entro il 2035. Il punto principale è che il tempo potrebbe non essere sufficiente, il traguardo del 2027 per arrivare ai rifornimenti necessari rischia di essere troppo in là. E nel frattempo le cose nella regione potrebbe cambiare molto velocemente. 

Un aiuto al Giappone arriva, inaspettatamente, dagli altri attori della regione. Sorprende infatti la mancata presa di posizione in merito alla rinnovata politica di belligeranza da parte dei vicini coreani, filippini, e financo australiani. Specialmente per quanto riguarda i primi, che con il governo giapponese non hanno mai avuto relazioni troppo amichevoli, data le tristi vicissitudini che hanno legato le storie dei due Paesi nel corso del Novecento. Ma a conti fatti, specie se in funzione anticinese, ben venga il riarmo giapponese: questo è il pensiero che sembra serpeggiare nella regione del Pacifico. Un’egemonia cinese nell’area non è d’interesse per nessuno se non per i nordcoreani. In questa prospettiva Taipei ha già organizzato piani di evacuazione dell’isola con il governo di Tokyo nel caso la situazione precipitasse. Mentre un accordo con nippo-coreano sembra dietro l’angolo, anche a causa della continua instabilità portata dai vicini settentrionali, rimasti fermi al 1953. In buona sostanza che il dominio sulla regione venga preso da tutti, anche i giapponesi, ma non la Cina per favore.

È preferibile infatti essere sotto il controllo di uno Stato insulare, piccolo e direttamente dipendente dall’alleato americano, piuttosto che sotto l’incognita pechinese. Ciò sembra chiaro in tutto il Sud-Est asiatico, che con Tokyo potranno anche condividere un retaggio culturale minore rispetto a quello con Pechino, ma che di sicuro di un espansione militare cinese non vogliono nemmeno sentir parlare. A Manila come ad Hanoi, passando per Canberra e Bangkok. Per questo il riarmo è accolto con passiva accettazione. Perché una volta che gli Stati Uniti si faranno da parte, la palla dovrà necessariamente passare a qualcun altro.

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