Carrozze rosa, per sole donne. È la nuova trovata che alcuni hanno avuto l’ardire di proporre, in risposta alla tragica vicenda di cui sono protagoniste due ragazze di Varese; una stuprata e l’altra fuggita in extremis. Non ci soffermeremo qui a discutere sul perché questa idea sia semplicemente inaccettabile, né faremo una lista degli innumerevoli femminicidi e stupri che ogni giorno dilaniano il Bel Paese. Siamo donne, abbiamo lottato per i nostri diritti, non ci faremo segregare in un vagone color confetto. Ancora oggi lottiamo, per avere le stesse opportunità degli uomini, e per non essere più vittime. Vittime non solo di violenti carnefici, ma vittime anche di una narrazione che ci relega a vivere sotto una campana di vetro, come fiori delicati, o come corpi-oggetto, dietro le vetrine dei nostri stessi telefoni. La violenza di genere si ferma con l’educazione e non certo con ulteriori divisioni. Per fare ciò, per educare alla parità di genere, le donne stesse devono riappropriarsi del loro potere e del loro valore.
La narrazione storica ci riporta immagini di grandi civiltà prevalentemente patriarcali, creando nei giovani la convinzione che sia sempre stato l’uomo a spadroneggiare e la donna a obbedire, tralasciando invece una lunga fase di dominio femminile: società matrifocali o comunque più egualitarie di quella attuale. Parliamo di epoche molto antiche, i resti di queste civiltà risalgono al paleolitico e al neolitico, ed è interessante osservare il modo in cui l’uomo riuscì a strappare il potere dalle mani delle proprie madri, perché è proprio lì che si annida l’insidia di genere. Volendo imbastire una riflessione su questo tema dobbiamo andare molto indietro, fino alle prime sculture di forma umana: una delle prime sculture di questo tipo è la Venere di Willendorf, datata 23.000 circa a.C., che rappresenta una donna fertile e formosa. È la più famosa di una serie di statuette femminili primitive, ritrovate in diversi luoghi dell’Asia Minore e dell’Europa. Queste statuette raffigurano divinità femminili e sono la prima testimonianza di “un sistema di credenze paleolitico incentrato sulla donna e la grande madre”, come scrive l’archeologo francese Leroi-Gourhan.
Nel libro Ancient Mirrors of Womanhood, partendo da queste sculture, la storica dell’arte Merlin Stone ricostruisce un percorso tanto particolare quanto sconcertante, spesso oscurato dalla storia: l’appropriazione da parte degli uomini di alcune tra le più popolari formule liturgiche primordiali, inequivocabilmente femminili. Trattasi di vere e proprie preghiere primitive, rivolte alle principali divinità femminili del tempo, che dimostrano la primigenia sacralità della donna, in quanto incarnazione della Dea madre di tutte le cose. Per fare un esempio, la Stone riporta la preghiera, scritta in caratteri cuneiformi, dedicata a Ishtar, Dea delle cosmogonie sumere, dove ella viene chiamata “Regina dei cieli, Signora dell’Universo”. Riflettendo su questa preghiera, Luciana Percovich, autrice del libro Oscure Madri Splendenti, ci fa notare come questo appellativo ‘regina dei cieli’ indichi chiaramente una dea celeste, dunque un vero e proprio “femminile investito di tutte le caratteristiche che poi saranno esclusiva prerogativa del maschio civilizzatore”, e non invece una semplice “figura materna, di grembo nutriente e creatore”. Una Dea, anzi, La Dea, che regge e regola l’intero universo. Le studiose che si sono impegnate in questa ricostruzione del potere femminile concordano nell’affermare che probabilmente fu proprio da quel “Regina dei cieli” che nacque successivamente il ben noto “Padre nostro che sei nei cieli”. La forza vitale nell’antichità era dunque femmina e a donare la vita e dispensare la morte era una Dea. Per spiegarci ancora questo percorso di inversione del sacro, la Stone ci presenta anche la triade di divinità femminili della penisola arabica in epoca pre-islamica: Allat, Al Uzza e Manat. Anche la triade infatti è un simbolo originariamente femminile che risale al paleolitico e richiama le fasi lunari (assenza, mezza luna, luna piena) e le fasi della vita (vergine, madre, vecchia). La triade quindi nasce come la più antica rappresentazione del sacro femminile, che richiama anche il ciclo vita-morte-rinascita. Anche il concetto di triade fu ripreso poi dal Cristianesimo e ripropostoappunto in chiave cristiana: Padre, Figlio e Spirito Santo. S’iniziò così, rubando le loro preghiere, i loro riti, subordinando le sacerdotesse ai sacerdoti, ma anche semplicemente invertendo i ruoli naturali: Zeus, per fare un altro esempio, relega la Dea madre nell’oblio, egli diviene il Padre di tutti gli Dei, ed è proprio lui che, contro ogni logica naturale, partorisce Atena, dalla sua stessa testa. Stappando così alla donna anche ciò che le apparteneva fin dagli albori, ovvero, appunto, il sacro. Le dee cambiano sesso e vengono sostituite dagli dei.
“Il passaggio delle celebrazioni sacre in mani maschili avviene per imitazione dei riti connessi con la celebrazione delle prime mestruazioni, che portavano le donne ad appartarsi in luoghi interdetti agli uomini. Un mito aborigeno australiano racconta come le borse e tutti i parafernalia necessari ai rituali femminili vennero rubati alle sorelle dai fratelli che, grazie a essi, poterono inventare e celebrare un rito analogo, che preveda la subincisione penica, con conseguente sanguinamento: prova per eccellenza della presenza del sacro”.
Luciana Percovich
La donna e il suo corpo erano la porta di accesso a questo mondo, l’utero nel grembo femminile rappresentava “una soglia tra ciò che è e ciò che ancora non è”, il canale di connessione tra il mondo materiale e quello animico. Il parto, come atto di compimento della creazione della vita, era un evento sacro anch’esso, e proprio per questa sua componente sacra, in molte culture, agli uomini era fatto divieto di presenziarvi. Questo divieto valeva anche per le prime mestruazioni, che sancivano l’inizio della vita da donna: durante quei momenti le donne si ritiravano in isolamento, spesso in compagnia di anziane, per celebrare la sacralità del femminile. L’uomo prese tutto ciò e lo capovolse: il corpo della donna venne definito ‘impuro’ e quindi non idoneo al sacro, la donna, affermarono gli uomini, non si isola per celebrare il suo sangue, si isola perché impazzisce quando ha il ciclo – narrazione di cui ancora oggi noi donne paghiamo lo scotto. Eppure, anche il rito delle mestruazioni viene rubato alle donne, la circoncisione infatti non è altro che questo, il sacrificio di sangue che l’uomo deve infliggersi artificialmente, un’affermazione della sua rinascita come uomo. Celebrare oggi il rito del menarca in una società che ha perso ogni sacralità sembrerebbe triviale ai più, in certe culture parlare di mestruazioni è ancora un tabù, eppure l’educazione alla parità di genere passa anche da qui, dall’accettazione di quel sangue, segno di fertilità, che rende le donne tali e che le rende diverse dagli uomini.
Nel paleolitico, nelle terre tra il Tigri e l’Eufrate, prima dell’avvento del patriarcato, erano le donne ad avere la carica sociale più alta, quella appunto di sacerdotesse, in quanto incarnazione sacra della Dea Madre. Le sacerdotesse sceglievano ogni anno un uomo con cui unirsi nel rito dello ieros gamos: tramite questo rituale propiziatorio, per auspicare l’abbondanza dei frutti della terra, il maschio diveniva re, ma la sua carica durava solo un anno. Nel lungo periodo di transizione dal matriarcato al patriarcato, il potere maschile ci mise parecchio tempo prima di sentirsi libero dalla legittimazione femminile, ma pian piano riuscì a scalzare la figura della sacerdotessa, finché coi Dori la carica di re, da elettiva e temporanea, divenne ufficialmente ereditaria. Il vincolo di sangue maschile esautorò quello sacro femminile. Anche i miti egizi portano le tracce di questa transizione, come ad esempio la storia di Iside e Osiride: Osiride (che da morto diviene Horus), è figlio di Iside e viene ucciso da Seth. Seth ne semina i resti sulla terra, allora la madre Iside va a raccogliere tutti i pezzi dilaniati del figlio Osiride per tentare di ricomporne il corpo, e li trova tutti tranne i genitali. Seth infatti ha gettato i genitali di Osiride nel Nilo, fiume sacro agli Egizi per le sue acque fertilizzanti. Questa storia, secondo la Percovich, è un chiaro richiamo all’antica tradizione di cui parlavamo sopra, infatti il re in carica annuale veniva poi sacrificato alla fine del suo mandato e le sue membra venivano seminate per rendere le terre feconde. Un’altra cosa che va detta è che nelle società matrifocali la morte faceva parte della vita e proprio dalla morte si generava altra vita, come dalle piante morte che concimano nascono nuove piante e come ci insegna la ciclicità delle stagioni; così dopo la morte di un uomo egli sarebbe nato di nuovo in un altro corpo. Anche questo aspetto ciclico viene stravolto fino ad arrivare al Cristianesimo che non crede nella reincarnazione.
“Queste testimonianze raccontano di un originario potere sacro femminile, legato a una visione ciclica dell’universo, in cui alla fine della vita corrispondeva la certezza della rinascita, perché tutto nella natura funziona in questo modo”.
Luciana Percovich
Questi sono solo piccoli pezzi di un puzzle che racconta una storia antica fortemente incentrata sul dominio delle donne, dominio che fu strappato a loro dagli uomini, e che fu possibile ricostruire anche grazie agli studi di antropologhe e archeologhe donne, che in quanto donne hanno saputo cogliere l’importanza di una visione non unicamente patriarcale sulla storia. L’inversione del potere di genere si compì in Occidente con il Cristianesimo, quando il figlio – non la figlia, ovviamente – di Dio nasce sulla terra, e quando la Bibbia ci dice che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Poi dalla sua costola ha creato la donna, destinata così ad essere a lui sempre subordinata.
Nel ‘900 le conquiste femministe hanno permesso alla donna di riappropriarsi di molti diritti fondamentali che le erano stati negati, nel nuovo millennio invece lottiamo per non farci più uccidere dai nostri ex amanti, per non farci più stuprare sui treni, per avere salari uguali a quegli degli uomini, per farci prendere sul serio nel lavoro, e queste lotte, che, come dicevamo, passano per forza attraverso l’educazione, devono riappropriarsi anche della narrazione storica. Forse si potrebbe cominciare dando più spazio alle donne importanti della storia e parlando di più di quelle epoche lontane in cui la donna dominava sull’uomo. Il potere femminile è una cosa antica quanto la storia umana, gli uomini hanno fatto un buon lavoro di pulizia e le donne se ne sono dimenticate, ma qualcosa si muove, forse stiamo attraversando un’altra fase di transizione del potere di genere. Il passato ci aiuta a comprendere il presente e a plasmare il futuro.La conoscenza come sempre è la chiave di volta.