OGGETTO: Il Pd non è un piccolo partito
DATA: 06 Giugno 2023
SEZIONE: Politica
FORMATO: Analisi
AREA: Italia
In attesa del sostegno da oltreoceano, Elly Schlein è costretta a equilibrismi sovrumani per conciliare la propria vocazione radicale con le logiche di palazzo.
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Nel corso di un’intervista rilasciata a Tommaso Labate sul Corriere della Sera, lo “spin doctor” di Damiano Tommasi e Giacomo Possamai, freschi di trionfo rispettivamente a Verona e Vicenza per il Partito Democratico, ha voluto dare un suggerimento a Elly Schlein. Giovanni Diamanti – a detta di molti, il responsabile delle uniche scintille positive in una tornata elettorale che per la sinistra sarebbe altrimenti da dimenticare – si è così espresso sulla leader democratica:

“Ha vinto le primarie rompendo gli schemi e dovrebbe continuare a farlo, evitando quella normalizzazione che da segretaria ti imporrebbe di occuparti di altre cose, tipo la costruzione delle alleanze. Per carità le alleanze sono importanti, e lo saranno nelle tornate amministrative che verranno. Ma se dovessi darle un consiglio, ecco, le direi di continuare a insistere sulle caratteristiche sue personali che non sulla figura della segretaria del Pd”

Il punto è che le caratteristiche personali della Schlein potrebbero proprio essere il problema di fondo. Sì perché lo scorso marzo il principale partito d’opposizione ha ufficialmente cambiato guida. Nei pronostici, le dimissioni di Enrico Letta avrebbero dovuto portare alla nomina di Stefano Bonaccini, Presidente dell’Emilia-Romagna e uomo della continuità politica. Meno accademico del suo predecessore, ma sorretto da una forte legittimazione politica, che avrebbe trovato la coronazione nell’ascesa alla guida del suo movimento. Se gli iscritti hanno sposato in piena tale narrativa, gli elettori, affamati di novità, non l’hanno pensata allo stesso modo: Elly Schlein prende così il volo, sorprendendo prima di tutto sé stessa. Non è servito molto tempo per capire che le cose si sarebbero complicate prima del previsto.

In un’epoca in cui il dibattito pubblico ruota tutto attorno alla ricerca del consenso politico, è naturale che i leader cerchino d’intercettare il vento del cambiamento. La personalizzazione dell’arena ha portato l’elettorato a cercare l’avvenire nei volti, piuttosto che nelle idee. È un fenomeno tutt’altro che nuovo, portato a compimento da Silvio Berlusconi, ma che sta vedendo solamente negli ultimi anni la sua totale degenerazione. Elly Schlein rappresenta effettivamente il nuovo: è tramite un oculato uso di una terminologia che rimanda a nuove battaglie che l’attenzione del grande pubblico si è gradualmente spostata verso il suo nome. Non quella della maggioranza del Paese, è bene sottolineare. Ma comunque in numeri sufficienti per far naufragare la generale apatia maturata nel segno di una prospettiva Bonaccini. La domanda che sembra stagliarsi nel lungo termine è la stessa che ha visto perire le speranze di Matteo Renzi. C’è dunque altro oltre a una campagna elettorale da click-bait?

Perché la politica, non lo scopriamo oggi, è fatta solo in minima parte di slogan. Come qualsiasi spin doctor potrà confermare, le strategie di marketing possono aiutare a superare l’ostacolo elettorale, ma alla lunga qualsiasi bluff salta fuori. È presto per dire se Elly Schlein sarà un bluff. Ed è pur vero che la situazione di confusione nella quale versa il partito è responsabilità solo in minima parte sua: è da anni infatti che manca una solida proposta politica che non si limiti unicamente a specchiare atteggiamenti spregiudicati provenienti dall’altra parte della barricata. Va detto tuttavia che pure lei ci sta mettendo del suo: la Schlein si pone in una posizione ambigua, a metà fra la necessità di ricompattare le truppe (facendo pace con il centro e con il medesimo establishment che le avrebbe preferito Bonaccini) e la volontà di far saltare il tavolo, nel nome della “giustizia climatica” e della lotta alla discriminazione “omotransfobica”. Perché la tentazione di giustificare la propria vita politica con la necessità di portare al grande pubblico temi divisivi è grande. Ed è grande perché può funzionare. Negli anni della polarizzazione essere estremi può regalare le luci della ribalta. Quelle che sono mancate a Letta, Zingaretti, Franceschini, Martina e Bersani. 

Ma è una ricetta che può funzionare in un piccolo partito che si candida a fare lo stesso percorso che Fratelli d’Italia ha compiuto (pur con tutte le conseguenze ideologiche del caso). Il Pd, purtroppo per Schlein, non è un piccolo partito. Ed è questa contraddizione che sta portando la segretaria a cercare di compiere equilibrismi al limite del sovrumano. Nei fatti è come se fosse necessario mutare forma nello stesso modo in cui Giorgia Meloni ha mutato forma per darsi un tono da capo di governo. Con l’unica differenza che quest’ultima ha avuto mesi per abituare i suoi elettori, mentre Schlein già pare nell’occhio del ciclone dopo poche settimane. Non serve essere spin doctor navigati della politica per capire che certe metamorfosi caratteriali, nella vita così come nelle opere di fantasia, richiedono naturalezza. Altrimenti si rischia di perdere il proprio pubblico di riferimento, o, ancora peggio, i propri generali all’interno del partito. Scrive Luigi Bisignani su Il Tempo del 4 giugno che Lorenzo Guerini, Luca Lotti e Salvatore Margiotta sarebbero in procinto di lasciare, mentre altre voci si levano, specie dopo la brutta figura alle amministrative, affinché si lavori per allargare il campo, non per chiuderlo verso posizioni più radicali. Senza vittorie e senza alleati è difficile resistere. L’unico salvagente lanciato in direzione della segretaria arriva da oltreoceano, dove sempre con interesse si osserva al laboratorio italiano.

Social Changes è l’azienda americana che ha seguito Barack Obama e diversi candidati democratici negli Stati Uniti, oltre alla campagna elettorale di Elly Schlein alle elezioni regionali in Emilia-Romagna. L’ascesa della neo-segretaria si deve anche al suo direttore creativo, Arun Chaudharye, conosciuto pochi anni fa. Non è un mistero che il sostegno statunitense sia andato crescendo negli ultimi mesi, per colei che nei fatti rimane una cittadina americana, figlia di un politologo che ha insegnato anche negli States. I contatti sono pronti a essere rinsaldati, si aspetta solo una mossa forte della diretta interessata, che forse potrebbe arrivare in occasione delle future europee, in programma fra un anno esatto. Schlein avrà credito fino ad allora, ma intanto il partito necessita di essere pacificato, di placare i propri mal di pancia placati, e di avere una direzione ben chiara da intraprendere.

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