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Il mito svizzero

Nel corso del Novecento le fondamenta idealistiche della nazione elvetica sono mutate in un materialismo eccessivo, che ora sta mostrando la sua vera natura.
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«Helvetii, a Romanis profligati, omnium rerum inopia ad desperationem adducti, suis rebus diffisi, ad Caesarem legatos de deditione mittunt». 

Gli Elvezi, sbaragliati dai Romani, spinti alla disperazione per la penuria di tutte le cose, temendo per le loro cose, inviano a Cesare ambasciatori per trattare la resa. Nel Capitolo I del De Bello Gallico, commentario della campagna romana contro i popoli dell’Europa centrale, si racconta della disfatta elvetica del 58 a.c. ad opera di Giulio Cesare nella famosa battaglia di Bibracte. 

Proprio questo evento costituisce uno dei momenti fondativi della moderna nazione Svizzera, nonostante la sconfitta e la successiva diaspora delle tribù. Eppure, dalla fine del Medioevo, ma soprattutto nel XIX secolo, fu forte il bisogno di richiamarsi ad antenati fondatori, unificatori, emblematici e se possibile eroici. Si preferì, però, più ricordare la vittoria di Agen contro le truppe guidate dal console Lucio Cassio Longino che non la disfatta di Bibracte. Eppure, i Confederati si riconobbero spiritualmente negli Elvezi, fieri e coraggiosi, oggetto di riscoperta da parte di Aegidius Tschudi nel Rinascimento, coniando per l’appunto il termine Helvetia. Se fino all’età romantica il mito fondativo svizzero (o elvetico) riconosceva alla triade Divico, Guglielmo Tell, Arnold Winkelried il ruolo di demiurghi dell’epopea di un popolo, la mutevolezza spirituale del Novecento trasforma l’idealismo delle origini in materialismo conclamato

La direzione, così, della storia di un popolo non è più tracciata da una dialettica di stampo hegeliano ma dall’irruzione del capitalismo come ordine ontologico nuovo fondato sulle strutture della produzione di ricchezza. Il mito del popolo fiero e combattente si trasforma nel mito del custode della ricchezza degli altri popoli. Rapporti di produzione e scambio economico fagocitano le sottostanti e presupposte relazioni umane in cui le prime rappresentano la struttura evoluta delle seconde (per il marxismo) in una incessante progressione positivista in cui il meccanicismo della ragione priva di senso ogni produzione ideale.

In tale chiave prospettica, alla luce della rivoluzione che l’ha investita, nel secolo scorso la Svizzera, neutrale e stabile, è stata il rifugio, tornato di moda a metà anni Duemila, per i possessori di ricchezza. Anche dopo la caduta del segreto bancario.

È ancora tutto da valutare l’impatto che la crisi di Credit Suisse avrà sui mercati ma soprattutto sugli investitori, tanto istituzionali quanto retail. Certamente, la caduta della seconda banca svizzera, colosso europeo, espone ad una riflessione non solo economisti ed operatori della finanza. Come nei romanzi di Martin Suter, la vicenda bancaria elvetica ci consente di dragare l’anima sociale elvetica in tutta la sua vastità.

Il 19 marzo 2023 ogni azione di Credit Suisse viene così valorizzata al prezzo di 0,76 franchi, ben al di sotto della quotazione di chiusura di venerdì (1,86 franchi).

Dopo l’annuncio del principale azionista, Saudi National Bank, di non ricapitalizzare a seguito delle perdite certificate dal crollo di valore delle azioni. La credibilità della banca è stata definitivamente macchiata da investimenti nella società finanziaria britannica Greensill Capital e nella statunitense Archegos Capital Management, entrambe collassate nel 2021. Questo, unito a scandali extra finanziari, tra i quali la condanna per aver consentito a trafficanti di riciclare i proventi di attività illeciti, ha costituito la base del crollo. In tre anni circa (2020-2022) i più influenti amministratori e alti funzionari, tra i quali due CEO, sono stati costretti alle dimissioni: Tidjane Thiam, Urs Rohner, Antonio Horta-Osorio e Thomas Gottstein.

Eppure, Credit Suisse è stata fondata nel 1856 dall’industriale Alfred Escher per finanziare il sistema ferroviario elvetico, un pilastro fondamentale della rinascita industriale del Paese. Gli azionisti e obbligazionisti retail proprio per questo motivo avevano criticato le scelte di “finanza creativa” degli ultimi tempi.

Così, poiché troppo grande per fallire “too big to fail”, con l’assenso della triade – la Banca nazionale svizzera, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e il Dipartimento delle finanze – si è arrivati alla fusione con UBS. L’operazione comprende anche un intervento della Banca nazionale svizzera (BNS), che fornirà 100 miliardi di franchi di liquidità a UBS e Credit Suisse durante l’acquisizione. Il Governo elvetico ha accettato di fornire a UBS una garanzia fino a 9 miliardi di franchi svizzeri nel caso in cui dovessero venire a galla problemi molto specifici nel portafoglio di Credit Suisse.

Il prof. Chesney, professore all’Università di Zurigo, ritiene fallimentare la strategia della fusione Ubs – CS poiché, come lascia intendere nell’intervista alla TV svizzera swissinfo.ch, si è in presenza di un paradigma superato.

«Secondo me non si tratta solo del fallimento del Credit Suisse. È il fallimento di un sistema di finanza-casinò. È il fallimento della politica che non ha fatto nulla per 15 anni, o perlomeno nulla di serio. Ed è anche il fallimento dell’insegnamento della finanza in ambito accademico. Da molto tempo pubblico articoli d’opinione nei giornali in Svizzera per attirare l’attenzione sui rischi legati al Credit Suisse. Faccio parte di una piccolissima minoranza universitaria. Questa passività del mondo accademico è un problema».

Guardando in futuro la Paradeplatz di Zurigo sarà facile accorgersene: ci sarà il nome di una sola banca. Ubs, il titano, che da eterno secondo dagli anni Ottanta e Novanta diventa inarrestabilmente il padrone dell’Olimpo della finanza Svizzera rompendo quel duopolio che li aveva sempre visti al passo, senza mai fughe, mai scatti selettivi, senza mai godere neppure per un giorno del piacere di una tappa. Il Tour, così, finisce con la vittoria, stavolta, del gregario che ha saputo approfittare, con strategia e fortuna, del destino maledetto del campione, il cui ritorno, all’orizzonte, appare ancora lontano e tardo.

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