Il nuovo anno si è aperto con qualche giovane reporter che ha passato la mezzanotte a documentare il rincaro dei prezzi in un’anonima pompa di benzina, effetto immediato della scadenza dello sconto sulle accise varato dal governo Draghi. Proprio questo video, nella sua desolante semplicità, è emblematico della bufera in cui il Governo si sarebbe trovato nei giorni seguenti, preda di attacchi e reprimende da ogni direzione. È pur vero che, come anticipato da alcuni organi di stampa, un nuovo sconto sulle accise è in fase di studio, per essere proposto entro marzo prossimo. Si tratterebbe di una soluzione temporanea, progettata per essere meno dispendiosa per le casse dello Stato rispetto alla misura precedente; ma di certo questa rassicurazione non risolve la discrepanza tra promessa ed azione che il governo Meloni si trova a dover affrontare.
Oltre al calo di credibilità derivato dagli assalti alla baionetta dalla maggioranza della carta stampata, il nuovo governo deve fare i conti anche con la delusione del suo stesso elettorato, che in buona percentuale si aspettava ben altra risolutezza sia dal punto di vista di politica interna che per quello che riguarda gli affari esteri. È vero che ad essere coinvolto in uno scandalo potenzialmente devastante è il PD – che però dalla sua ha sviluppato una resilienza invidiabile a questo tipo di situazione. Ma se Atene piange Sparta non ride: non è certo attraverso il dito puntato verso l’avversario che il governo consoliderà la propria posizione, anche se l’episodio in sé potrebbe garantire una piccola vittoria in ambito mediatico. Adesso l’Italia sembra essere in quella fase in cui tutti hanno bisogno di rassicurazioni, e sulle questioni economiche il governo Meloni è costretto a incassare altri duri attacchi: oltre alle accise, ci si mette anche il peggior nemico della premier, cioè proprio quel Mes che le è valsa una tirata di orecchie in diretta nazionale da parte dell’allora premier con licenza di attore Giuseppe Conte.
A strettissimo giro, il Mes è diventata un’incredibile occasione da non farsi sfuggire. O almeno così vuole Calenda, che addirittura avrebbe «chiamato al telefono» la Meloni per consigliarla di non rimandare oltre l’accettazione del Mes. Il Foglio va oltre, chiedendosi se la Meloni sia «male informata» sul Mes o se abbia deciso appositamente di dare informazioni «false e divisive». Per tacere delle sempre puntuali dirette di Renzi il quale dimostra una volta di più un’invidiabile faccia di bronzo. Pare quasi, a sentirli parlare, che l’Europa abbia chiamato la Meloni e le abbia proposto di regalarle dei soldi, e che il Premier stia tentennando. La fermezza nel non voler procedere alla ratifica del Mes è stata chiarita dalla Premier anche in studio da Bruno Vespa. «Firmo con il sangue», un’immagine che rilancia la postura da lady di ferro della Premier e che richiama al passato, alla politica fatta con i principi e non con i biechi sotterfugi. Questo è il linguaggio della Meloni, ed è, fuori da ogni dubbio, straordinariamente efficace. Bisogna infatti riconoscere quanto questo nuovo governo si sia dimostrato maturo nell’intraprendere scelte che sicuramente lo avrebbero reso impopolare, ed è probabilmente su questa maturità – e su questo sprezzo del pericolo – che si consuma la più grande vittoria del fenomeno Meloni.
Eppure questa reticenza nel ratificare il Mes sta stufando un po’ tutti, e non solo Renzi, Calenda e via discorrendo. Addirittura Klaus Regling – direttore uscente del Mes – si era offerto, il 4 ottobre scorso, di spiegare alla Meloni come il suo meccanismo serva all’Unione Europea tutta. Mariastella Gelmini, invece, in un tweet al veleno aveva fatto notare come l’Italia sia «l’unico paese che non ha ratificato il Mes». Un tipo di intervento che rende l’idea di quanto il clima attorno alla premier sia pesante anche su questo versante. Recentemente – il 28 dicembre – si è anche rivisto Roberto Speranza, che dopo una lunga latitanza ha lanciato sul governo strali avvelenati per la «strategia della Meloni di far finta che il Covid non esiste (sic) più». Sorvolando sulla consecutio temporum dell’ex ministro, il suo intervento era finalizzato ad avere risposte su come il governo intenda continuare la propria politica vaccinale, oltre che, dicono i maligni, a pubblicizzare il suo nuovo libro. Se sulla questione sanitaria il governo ha scelto una via piuttosto tiepida, i maggiori sforzi sembrano essere diretti verso la prossima stagione di riforme ed aiuti. Il blocco del Mes sembra, infatti, una mossa figlia di un esercizio strategico di vanità. Il 13 Dicembre, infatti, Giorgia Meloni aveva programmaticamente dichiarato:
«Il nostro obiettivo, piuttosto che più Europa in Italia, è più Italia in Europa, come si conviene a una grande nazione fondatrice».
Ed è in quest’ottica che vanno lette queste scelte particolarmente impopolari, ma che potrebbero potenzialmente portare un premio interessante in termini di peso internazionale e, di concerto, in termini di fiducia. Togliere il piano sconti varato dal governo Draghi per disegnarne un altro che sia meno gravoso sul bilancio dello Stato è una mossa da cui traspare la voglia del governo Meloni di fare le proprie regole. D’altro canto, rinviare la ratifica del Mes per prendersi il tempo di rianalizzare il PNRR è senz’altro un’indice di una grande attenzione del governo, ma può essere inteso anche uno statement per evidenziare la discontinuità fra un governo orgoglioso e proattivo nei confronti del precedente. Di certo, se così stanno le cose, la Meloni gioca a rialzare la posta, fidandosi molto del suo gruppo. Entro Marzo verrà presentato il nuovo piano sconti – che includerà senz’altro una ridiscussione, almeno parziale, sulla questione delle accise – ; ma già il mese prossimo, se non nelle prossime settimane, ci saranno importanti chiarimenti sul fronte dei rapporti con l’Unione Europea. E allora si vedrà se il gioco sia valso la candela.