Con il mio edicolante di fiducia, ormai lettore della prima ora de L’Intellettuale Dissidente, abbiamo fatto un esercizio investigativo o meglio un “sondaggio di mercato” per capire quanti ragazzi sotto i 30-35 anni acquistassero quotidiani o periodici. Per una settimana, da lunedì 14 a lunedì 21 dicembre, si è segnato su un foglio di carta quanti di loro fossero usciti dalla sua bottega con un giornale o una rivista sotto braccio. Il numero è desolante. Pochi, pochissimi. Qualcuno di questi ha acquistato l’ultimo numero di Limes, altri copie sparse delle principali testate italiane. Fin qui, cose che più o meno già sapevamo. I più giovani per lo più leggono notizie in rete, la maggior parte delle volte a caso, in sintesi non si preoccupano nemmeno di fare una rassegna stampa sistemica e sistematica. In realtà nulla di scandaloso, il giornalismo tradizionale non è più in grado di fare opinione a differenza delle nuove e vecchie forme di comunicazione, dai podcast ai libri, dalle serie televisive alle conferenze, che ancora riescono ad avere un pubblico eterogeneo, composto di persone non necessariamente addette alla materia.
La colpa è non è tanto di chi di non segue “i fatti, bensì di chi informa sui fatti”, come diceva trent’anni fa il filosofo francese Jacques Derrida, ripreso da Carmelo Bene in quella epocale intervista al Maurizio Costanzo Show. Del resto la verità non puoi comprarla in edicola a soli 2 euro, 2 euro e 50. Le informazioni, nel vero senso della parola, si pesano come l’oro, oppure restano confidenziali, gratuite, dunque per pochissimi. Tuttavia quelle informazioni che pesano veramente, e che si possono trovare ancora nei quotidiani, tutte le mattine, rappresentano forse l’1 per cento della totalità giornaliera delle notizie pubblicate sulla carta stampata. Il restante 99 per cento è cartastraccia. La capacità di individuare quel punto percentuale sta tutta nella capacità del lettore di conoscere le meccaniche profonde, di avere una visione di insieme del contesto della geografia politica e culturale, ma soprattutto di parlare il linguaggio del potere. È un’arte raffinatissima capace di interpretare i non detti, leggere tra le righe, decodificare i vari livelli di lettura di un articolo. È anche l’arte di saper distinguere chi scrive sui giornali per alimentare quello che è un vero proprio “marchettificio” di tipo editoriale (menzogne) come chi per farsi leggere da altri giornalisti (mezze verità), da coloro che lo fanno per passare dei messaggi ad attori più o meno istituzionali (verità orientate), ovvero nel riuscire ad afferrare quel dialogo invisibile all’interno di quell’1 per cento che dialoga in codice, a distanza, seppur pubblicamente, su un filo binario che collega esoterico ed essoterico.
Ora, di quel campione di ragazzi e ragazze sotto i 30-35 anni, che hanno acquistato quotidiani e periodici, quanti di loro conoscono il linguaggio del potere? Quanti di loro sono in grado di individuare quelle notizie che pesano e incidono pesantemente nel dibattito politico profondo? Quanti di loro riescono a collocarle in una geografia culturale, in una mappatura di apparati, in un sistema clanico di relazioni? Il segreto è nella capacità di quei pochi attenti osservatori capaci di rispondere a queste precise domande. Quando fondammo L’Intellettuale Dissidente, volevamo raccontare quello che nessuno aveva il coraggio di dire, ora vogliamo anche comunicare con quel linguaggio del potere. Parlare allo Stato profondo dello Stato profondo. Abbiamo già costituito una micro-redazione di 5 persone organizzata in un gruppo Telegram e vorremmo aprirla ad altre 10 persone selezionatissime, capaci di svolgere il seguente lavoro di intelligence politico-editoriale: costruzione di mappature, rassegna stampa quotidiana, individuazione dell’1 per cento delle notizie pertinenti in politica interna e internazionale, collocazione delle notizie dentro a quelle mappature, archiviazione di una parte delle notizie, produzione di contenuti tra l’approfondimento e il retroscena, ed infine anticipazioni di movimenti e macchinazioni dentro e fuori le centrali di potere. Se “la storia è un cimitero di aristocrazie” occorre ricostruire l’albero genealogico di quelle aristocrazie, di sangue e di potere. Se leggete L’Intellettuale Dissidente probabilmente già fate parte di quell’1 per cento, ma se entrete questa micro-redazione dove ogni informazione pesa come oro significa che oltre che a capirlo il linguaggio del potere, sapete anche parlarlo. Scrivetemi in privato al seguente indirizzo postale seb.cap92@gmail.com con queste informazioni: 1) CV allegato 2) Un commento all’articolo che avete appena letto 3) La vostra rassegna stampa quotidiana nazionale ed internazionale 4) Le vostre letture sul tema 5) Un contatto telefonico. Sarà mia cura rispondervi personalmente, ed eventualmente ricontattarvi.