Ciò che forse è incomprensibile agli occhi dell’americano, e che invece l’asiatico capisce molto bene, è la frammentazione densa dei popoli europei. Lo spazio europeo stesso si autorappresenta come un puzzle di personaggi sempre uguali a sé stessi, che di fronte alle sfide (vecchie e nuove) reagiscono in modo organico – e per questo atteso – al proprio carattere.
All’interno di uno spazio relativamente piccolo come quello del nostro continente, è profondamente radicato il gioco delle identità, l’attribuzione reciproca di qualità tra le diverse famiglie. L’Europa è un mosaico di popoli profondamente diversi, e questo è senz’altro vero, ma sono tutti accomunati dalla consapevolezza di partecipare a questo gigantesco gioco di maschere. La personificazione di un popolo – e, se ci si pensa, l’idea stessa di popolo – intorno ad alcune sue qualità o meriti storici è senz’altro una delle strategie comunicative (inteso nel senso di modalità con cui si comunica con l’esterno) più antiche a disposizione dell’essere umano, e dall’intreccio di cronaca storica, aneddoti informali e esperienza individuale sorge una raffigurazione dell’altro ricca e sfaccettata. Se questo succede ovunque, in Europa il gioco affonda le sue radici molto in profondità, e gli attori sono-per così dire- gli stessi da sempre, e così le identità sono sempre quelle. Visti da fuori, ad esempio, gli Italiani sono esteti, vanagloriosi, litigiosi, gelosi, territoriali.
È quasi rassicurante quando le raffigurazioni mentali, le maschere nazionali con cui si immaginano gli altri trovano un’eco nella realtà. Dove poteva scoppiare una rivoluzione se non in Francia? Dove scommettere contro il popolo può diventare pericoloso per antonomasia, se non nella patria del regicidio?
Se, per lo storico Roland Lombardi, la Francia si trova davanti a una situazione pre-insurrezionale, il merito è di un’élite sorda alle esigenze della popolazione – quasi un cliché – che attualizza la figura di Maria Antonietta e le sue leggendarie brioche, in una ripetizione mitica del sentimento rivoluzionario francese. La giusta domanda che ci si dovrebbe porre a questo punto è: quando arriverà la rivoluzione, chi interpreterà Maximilien de Robespierre? Chi sarà immortalato a seno nudo sulle barricate dal nuovo Delacroix?
La nuova riforma delle pensioni presentata dal presidente come un affare già fatto, scavalcando il parlamento in virtù di un controverso articolo della Costituzione, è stata giustificata come importantissima, ma, se le ragioni finanziarie che hanno spinto Macron ad agire in un modo così impopolare potrebbero anche essere confortate dalla necessità, ciò non rende meno acuta la voragine che si è creata tra il popolo francese e l’Eliseo, anzi. Secondo Roland Lombardi, intervistato da Panorama, la maggioranza dei francesi è esasperata: «[…] dai tempi di de Gaulle, mai un presidente aveva attirato così tanto odio su di sé. Ma per de Gaulle si trattava di una minoranza[…]Macron,invece, suscita l’odio nella maggior parte dei francesi[…]».
Di certo, l’attuale presidente può contare su una discreta riserva di “buona stella”. Otto giorni fa il parlamento ha votato la sfiducia, e lui e il suo gruppo di governo hanno ottenuto la vittoria per nove voti. Ancora meglio, alle elezioni dello scorso anno a salvarlo era stato Jean-Luc Mélenchon quando, estromesso dal ballottaggio per una manciata di voti, aveva chiesto ai suoi di «[…]non regalare nemmeno un voto alla signora LePen[…]», suggerendo in pratica un esodo di massa di schede verso il presidente uscente.
L’appello di Mélenchon voleva portare alla nascita di un apparato debole, privo della maggioranza assoluta in parlamento e inviso alla maggioranza della popolazione, irreversibilmente minato in termini di credibilità, nei suoi membri (Il portavoce del governo, ed ex ministro della sanità Olivier Véran è stato definito ieri dal quotidiano Liberation “Lanceur de Bullshit Professionnel”). Probabilmente, il fatto stesso che il bacino di voti sia di Mélenchon sia di LePen si riconosca in grandissima percentuale nelle proteste anti-governative ha fatto pensare al leader di La France Insoumise di poter sfruttare a suo vantaggio un fronte unito nell’odio al presidente, quando invece una LePen al potere lo avrebbe costretto a strategie complesse per convincere i suoi elettori a far fronte comune con Macron.
È presto per valutare quanto i Lepenisti saranno sedotti dalla versione barricadera del politico di Tangeri, ma è indubbio che potrebbe essere lui in prima persona a beneficiare dell’attuale situazione. Anzi, secondo il giornalista Emmanuel Razavi, Mélenchon non farebbe altro che sfruttare un bacino di persone esasperate per portare avanti il suo disegno politico che poco ha a che fare con le vere paure del popolo francese: «La gente ha paura dell’immigrazione incontrollata, dell’islamismo radicale, dell’aumento della delinquenza, dell’incertezza derivante dalla guerra in Ucraina. Di tutto questo ne approfitta il 71enne ex-trotzkista, ex-socialista Mélenchon[…]».
A questa analisi sembra risultare che sia proprio Mélenchon il candidato ideale a un ruolo di primaria importanza quando la stagione delle proteste prenderà una forma più definita, e si riuscirà a riconoscere ad esse una proposta omogenea. Certo, il vecchio leone dovrà far valere tutta la sua esperienza per cavalcare con attenzione il malcontento popolare, cercando di compattare intorno a sé le istanze più congeniali alla sua visione politica (eco-socialismo, anti-atlantismo, creolizzazione della Francia) e marginalizzando progressivamente le proposte opposte (comunisti, movimenti identitari, anarco-primitivisti) con cui si trova a condividere, provvisoriamente, il campo di battaglia.
L’eterogeneità del fronte delle proteste è un ulteriore prova di come Macron sia riuscito, come solo i migliori politici riescono, ad inimicarsi praticamente qualunque forza politica e para-politica, sia nella Francia metropolitana che nei territori d’oltremare. Il politologo Jérome Jaffré ha evidenziato come la più grande debolezza di Macron sia quella della sua inettitudine comunicativa: «[…]La sua inesperienza lo ha portato a fare battute arroganti, offensive[…]» come quando asserì che la NATO si trovava in uno stato di «morte cerebrale» attirandosi critiche feroci e risate di scherno. L’immagine di inettitudine che Macron si è cucito addosso sembra imprigionarlo nel ruolo di regnante crepuscolare, destinato esclusivamente al fallimento all’alba di un grande stravolgimento.