La geografia politica è sempre fonte di equivoci e misfatti finemente cartografati e curiosamente avvallati prima, dimenticati poi, dalla storia – che fa nascere per il puro gusto di uccidere le sue creature. Questo in breve sono gli Stati da un punto di vista visivo concettuale. Tutti gli Stati, quelli presenti, quelli passati, e quelli futuri, entrano a vario titolo in questo schema. Impossibile davvero fuggire dalla dittatura della linea che traccia il solco, sacro fondamento degli Imperi, linea che diventa confine, che diventa mappa, che diventa identità ed appartenenza, che muore male e si dimentica per far spazio ad altro.
Tutto è una linea su una terra che mette in moto uno Stato, lo distrugge, lo consegna alla storia e all’oblio. Questo paradigma dovrebbe e tendenzialmente spiega il meccanismo osceno della geografia, arte umana di codifica degli spazi naturali che se ne infischiano sempre allegramente delle barriere invisibili che l’uomo tenta di darle. A questo paradigma si sottrae davvero un solo Stato, che vive di leggi che la fisica non sa spiegare e la chimica non ha nessuna intenzione di indagare. Un unico solo Stato che ha deciso che per sopravvivere alla storia bisognava ingannarla, come fanno tutti del resto, ma ingannarla fin dal suo fondamento, fin dalla linea che traccia il confine, fin dall’essenza stessa dello Stato. Uno Stato senza Stato. Affermazione che può essere usata per qualsiasi ramo del sapere e al convegno di qualsiasi categoria professionale, ma che nel caso specifico è un’affermazione tanto d’effetto quanto mai puntuale e dettagliata.
Siamo nel cuore di Roma. Città nota per essere capitale di tante cose, a volte troppe, a volte troppo poche. In questo caso c’entra l’erede di Pietro di Galilea, ma non in maniera diretta. Il Vaticano, come noto, è uno Stato, ha le sue linee e i suoi confini pacificamente delineati in attesa di ampliarli in future e più prospere ere. Lo Stato non Stato in questione è il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, per gli amici e per le targhe delle auto diplomatiche sfreccianti per Roma, SMOM. Quand’anche le basi di questo Stato odierno fossero legate al divino, è il fascino terreno ciò che cattura e conquista di questo capolavoro a-geografico, a-spaziale, a-fisico, uno Stato nel cloud quando ancora non esisteva il cloud, il primo e unico Stato virtuale della storia. Intrighi, misteri, leggende, cronache farlocche e vicende mal riportate, si può parlare a lungo e con grande inutilità di cosa sia davvero questo Stato, senza raggiungere nessuna conclusione che non faccia difetto.
Eppure ci sarà qualcosa in merito a questo Stato senza Stato di rilevante da riportare. Prendiamo un avvenimento recentemente accaduto per provare a capire. Terremoto in Marocco, sveglia nel cuore della notte, la terra trema, ordinaria amministrazione per un terremoto, ordinario caos per un Paese nord africano. Paese nord africano mussulmano. Non molto mussulmano, non poco mussulmano, quanto basta per definirlo solo con questa religione e con nessun altra, con il benestare dei Berberi che hanno accettato la sconfitta dagli Arabi e vanno avanti con la loro religione. Eppure in questo evento terrestre di faglie che shakerano la superficie terrena con vista atlantica, nell’intricato caos della geopolitica degli aiuti umanitari che il Re ha inconsapevolmente messo su, a lui che il terremoto l’ha solo visto in tv dalla Villa in Costa Azzurra in cui soggiornava beatamente, è emerso un dettaglio molto curioso: uno dei primi attori sul terreno ad essere intervenuto, con un ruolo forse simbolico, ma sicuramente scenografico, è stato l’Ordine di Malta.
Un ordine religioso, sempre più legato al Vaticano, con la spietatezza e arguzia che contraddistingue Francesco I, ormai uno Stato para-Vaticano a tutti gli effetti pilotato a distanza da Santa Marta, quanto di più Romano Cattolico Apostolico si possa pensare, eppure era lì, in prima fila, tra le macerie marocchine, in prima fila a tessere legami dove gli altri vedevano una disgrazia. E non era solo la sua presenza immediata sul terreno a lasciare perplessi, ma anche chi erano i soggetti che dirigevano le operazioni, quali mani stringevano e con chi preferivano non farsi fotografare insieme, neanche nelle photo opportunity più plateali e inutili. Un avvocato lussemburghese che con il primo volo da Bruxelles era arrivato in Marocco in meno di cinque ore dall’evento, degno cavaliere con spiccate finalità benefiche fino a prova contraria. Un parlante francese con chiaro accento svizzero tedesco, arrivato nella serata del giorno dopo, con valigette diplomatiche contenenti beni di prima necessità non meglio precisati, sicuramente iconografia religiosa cristiana, di professione ignota, ma con una curiosa zoppìa che poco si confa a un soccorritore di zone terremotate.
A questi due delegati in missione per conto di Dio, o chi ne fa le feci da via Condotti, erano affiancate persone che palesemente non avevano alcuna idea del gioco in cui erano inserite, e semplicemente erano ignari volontari di una beneficenza ai loro occhi casta e veritiera. Le meraviglie di uno Stato senza Stato, che è presente in missione ufficiale e diplomatica in molti Stati, sono davvero tante, ma per non irritare troppo uno Stato senza Stato, con timore e reverenza per un esercito senza esercito ad esso legato, meglio soprassedere i fatti marocchini e concentrarsi su un’ultima questione. Questo Stato virtuale, fatto di cavalieri con cavalli virtuali e passaporti reali, con il suo nobile scopo e la sua incredibile storia arrotondata e abbellita ma pur sempre millenaria, può davvero ridursi a mero McKinsey parallelo sempre più assetato e sempre meno lungimirante, senza sospettare che prima o poi anche gli Stati in cloud debbano pagare l’abbonamento al server e rivedere le condizioni di servizio?