Non è un pensatore serio, Nick Land. Non c’è nulla di rigoroso nei suoi scritti filosofici che danno piuttosto l’impressione di una rilettura di Deleuze sotto anfetamine. E neppure è un pensatore frequentabile, Land, le cui idee affiorano con inquietante regolarità tra i riferimenti dei più violenti estremisti del pianeta, dai suprematisti bianchi dell’Atomwaffen Division americana all’autore del massacro di Christchurch in Nuova Zelanda. Eppure, il testo che tenete tra le mani merita di essere letto perché concentra in poche pagine una visione del mondo e del futuro la cui portata va ben al di là delle idiosincrasie del suo autore. In un certo senso si potrebbe dire che Nick Land sia l’enigmatico, misconosciuto punto d’incontro delle due ideologie più pericolose del nostro tempo: quella che anima alcuni dei principali protagonisti della Silicon Valley americana e quella che è alla base del progetto tecno-autoritario del Partito comunista cinese.
Profeta lisergico di un’era post-democratica nella quale i progressi della tecnologia avranno ridotto la vicenda umana a mera postilla nella storia della matrice macchinica, Land è partito da un piccolo laboratorio sperimentale ai margini dell’accademia britannica, la Cybernetic Culture Research Unit (CCRU) della Warwick University, che aveva per oggetto lo studio applicato della letteratura cyberpunk e delle droghe sintetiche, è passato dalla Silicon Valley libertaria di Peter Thiel e di Mencius Moldbug, per approdare finalmente a Shanghai alla metà degli anni duemila, da dove lancia tuttora occasionali proclami, stando ben attento a non urtare mai la sensibilità dei suoi ospiti cinesi, per i quali gli capita di tanto in tanto di redigere qualche prosa insipidamente agiografica sul China Post. Per come emerge da questo manifesto e dai testi più accademici che l’hanno preceduto, il suo Illuminismo oscuro può essere articolato in cinque punti che provo a riassumere brutalmente.
Primo: il Mondo Nuovo sta arrivando. La combinazione del progresso tecnologico e dello sviluppo capitalistico sta facendo piazza pulita di ogni residuo di trascendenza ancora presente nella nostra società. La razionalità implacabile delle macchine “lacera le culture politiche, cancella le tradizioni, dissolve le soggettività e hackera gli apparati di sicurezza tracciando un tropismo senz’anima”. L’approdo inevitabile è l’avvento di un mondo nuovo, nel quale la fusione tra uomini e macchine sarà completa e il sistema sarà governato in forme integralmente razionali. C’è chi prova a ricondurre questo processo a categorie conosciute, ma attenzione, scrive Land, perché “ciò che l’umanità crede essere la storia del capitalismo è in realtà l’invasione di un ambiente artificiale intelligente che viene dal futuro e che deve assemblarsi interamente a partire dalle risorse del nemico”. Dove per “nemico” si intende evidentemente l’umano.
Secondo: resistere non serve a niente. Inutile dire che di fronte a evoluzioni di questa portata, il peso di qualsiasi forma di critica, sia essa accademica o politica, non può che rivelarsi del tutto insignificante. Una “mera ridondanza priva di qualsiasi conseguenza”, secondo la definizione di Land. Al contrario, l’unica rivoluzione possibile, sostiene l’autore sulla scorta di Deleuze e Guattari, piuttosto che combattere il processo, consiste nell’andare più lontano, accelerandolo “finché la terra diventi talmente artificiale che il movimento di deterritorializzazione crei necessariamente da se stesso una nuova terra”. È questo il Credo degli “accelerazionisti”, dei quali Land è uno dei principali ideologi.
Terzo: la democrazia non ce la può fare. E tanto meglio, scrive Land, perché la democrazia non è semplicemente in crisi, è proprio un male in sé: perché è un sistema intrinsecamente corrotto, nel quale i leader politici si appropriano delle risorse dello Stato e ne usano una parte (quella che non tengono per sé) per corrompere le fasce più improduttive della popolazione con rendite e benefici che penalizzano gli individui più capaci e riducono l’efficienza del sistema fino a condurre, in molti casi, alla completa paralisi.
Quarto: il futuro appartiene al governo-azienda. L’ideale sarebbe farne proprio a meno, dello Stato, ma se questo non fosse possibile, bisognerebbe almeno “curarlo della democrazia”, come sostiene il sodale di Land Mencius Moldbug, un ingegnere informatico che è diventato con lui il fondatore dei neo-reazionari americani (NRx), nonché uno dei principali teorici dell’ascesa di Trump. Lo Stato, propongono Moldbug e Land, dev’essere gestito come un’azienda, i cui azionisti siano non i cittadini, bensì le forze produttive più avanzate che hanno il compito di “run an efficient, attractive, vital, clean and secure country, of a kind that is able to draw customers”. I clienti, cioè i cittadini, privi di ogni potere, se non quello di rivolgersi altrove, ad un altro “governo-azienda”, in caso di mancata soddisfazione delle loro esigenze.
Quinto: gli übermensch ringraziano e salutano. Per quanto Land difenda l’idea del governo-azienda, sa che le sue chances di realizzarsi sono limitate e quindi difende il diritto della superclasse a fare secessione, com’è peraltro nella tradizione anglosassone. Peter Thiel che finanzia progetti di isole nell’Oceano sottratte alla giurisdizione degli stati e Elon Musk che punta a rilocalizzarsi su Marte si iscrivono evidentemente in questa tradizione, così come i loro colleghi miliardari che costruiscono bunker anti-apocalittici in Nuova Zelanda. In prospettiva, però, la secessione decisiva delle élite non avverrà tanto sul piano spaziale quanto su quello genetico. In Illuminismo oscuro, Land ipotizza una progressiva divaricazione del genere umano, con le classi dominanti che ricorrono a massicce dosi di bioingegneria per accrescere la propria potenza e quella dei loro discendenti.
Al contrario di quanto non facesse nei suoi testi accademici, Land espone queste idee con una certa linearità in Illuminismo oscuro. Certo, poi il testo contiene anche altro. In particolare una interminabile digressione sul ruolo dei neri nella società americana nella quale, con il pretesto del racial realism, Land approda a conclusioni identiche a quelle che il filosofo razziale Gobineau traeva alla metà del XIX secolo:
“Ecco ciò che ci insegna la storia. Essa ci mostra che ogni civilizzazione deriva dalla razza bianca e che nessuna può esistere senza il concorso di tale razza, che una società è grande e brillante solo fino a quando conserva più a lungo il nobile gruppo che l’ha creata e che questo gruppo appartiene esso stesso al ramo più illustre della specie”.
Joseph Arthur de Gobineau
Per quanto provi a mascherarla con una certa dose di ironia, la questione razziale è manifestamente un’ossessione, per Land, e sono certo gli ampi stralci di Illuminismo oscuro dedicati a questo tema che hanno valso al suo autore l’adesione entusiastica della destra alternativa americana e delle frange più estremiste dei movimenti identitari e suprematisti di mezzo mondo. Ma se ci fermassimo a questo, rischieremmo di perdere di vista la parte più pericolosa della filosofia di Land. Del resto, è stato lui stesso a liquidare l’alt-right americana con malcelato disprezzo: “uno sviluppo prevedibile (e previsto) della democrazia di massa che sta entrando nella fase del crollo terminale”.
Cosa volete che importi al profeta della matrice macchinica globale di qualche skinhead decerebrato, pur se dotato di sorprendenti agganci ai piani alti del trumpismo di governo? La vera potenza dell’Illuminismo oscuro nasce dalla convergenza di forze ben più colossali. Da una parte, la logica del capitalismo della sorveglianza made in California, che trasforma ogni gesto, e presto ogni pensiero, in un flusso di dati misurabile e gestibile al fine di controllare e orientare i comportamenti degli individui, ridotti alla condizione di semplici componenti dello sciame. Un sistema fondato sullo scambio tra autonomia e comodità, nel quale siamo scivolati senza quasi accorgercene e che già si è fatto irreversibile. Una mobilitazione totale e continua, al servizio di un’intelligenza collettiva per adesso ancora benevola, generosa, piena di promesse di nuovi comfort e nuove sicurezze, da pagare in comode impercettibili rate di libertà e di fantasia.
Dall’altra parte c’è il tecno-autoritarismo cinese, nel quale le stesse tecnologie sono messe al servizio di un sistema esplicitamente totalitario, il cui aspetto più spaventoso risiede nel fatto che differisce dal nostro solo per la sua intensità: una questione di gradazione, più che di sostanza. Anche in Cina lo scopo è l’ottimizzazione, il governo razionale della collettività. Anche lì l’adesione dei singoli al sistema del controllo totale è legata al comfort e alla massimizzazione delle opportunità produttive e di consumo. L’unica differenza è che la griglia di notazione è centralizzata e risponde agli interessi del Partito Unico, anziché a quelli di una pletora di strutture pubbliche e private. E che, nei rari casi nei quali la moral suasion dell’algoritmo non è sufficiente, la mano d’acciaio dello Stato garantisce la soppressione dei comportamenti devianti.
Difficile non vedere che questi due fronti costituiscono i due bracci di un’unica tenaglia nella cui morsa c’è il modello della democrazia liberale, già malmenato da tante evoluzioni degli ultimi anni, e oggi irrimediabilmente obsoleto agli occhi dei tecno-razionalisti di Palo Alto e di Pechino. Accompagnare il “desiderio macchinico”, diventare il suo strumento assecondandone la logica che è comunque irresistibile: la forza dell’Illuminismo oscuro non promana tanto, o non solo dallo stile volentieri apocalittico, quanto soprattutto dalla logica spietata che sottende gli argomenti di Land. Leggendolo, si ha l’impressione di entrare in un tunnel senza uscita, in fondo al quale si intravedono solo i bagliori fosforescenti del futuro postumano.
In questo senso Land fa propria la logica inesorabile degli approdi marxiani del pensiero dei Lumi. Il processo che annuncia ha il fascino dell’inevitabile, guidato come appare dalla marcia della razionalità tecno-scientifica. Ma anziché sfociare sugli orizzonti radiosi promessi dal marxismo, l’illuminismo oscuro di Land sbocca sulla fine della storia umana e la sua sostituzione con la “matrice macchinica astratta post-carbonica”. A ben guardare, però, per quanto una parte delle analisi di Land sia corretta, le sue analisi sono sempre tagliate con una fortissima dose di ideologia. Si è detto del razzismo – ma lo stesso potrebbe dirsi delle sue profezie sociotecniche.
Le grandi sciagure del ventesimo secolo hanno sempre preso avvio come “progetti che avrebbero voluto mettere sotto controllo il corso della storia a partire da un’unica centrale operativa”. Ma gli apprendisti stregoni dell’organizzazione planetaria hanno dovuto sperimentare che l’incalcolabile anticipa i calcoli strategici di un’intera dimensione. Come diceva Lord Keynes, “Ciò che accade, in fin dei conti, non è l’inevitabile, ma l’imprevedibile”. Quanto al profeta dell’Illuminismo oscuro, sembra non rendersi conto della contraddizione nella quale è andato a infilarsi: il desiderio macchinico non ha bisogno delle sue gesticolazioni concettuali; anzi tende inesorabilmente ad abolirle, o per lo meno a rigettarle nell’alveo di quelle “ridondanze prive di conseguenze” del quale Land stesso si fa beffe. Per quanto si proclami il profeta dei tempi nuovi, dunque, Land resta in fondo una figura paradossalmente novecentesca, finendo per assomigliare a quei raffinati eruditi nazisti o stalinisti che nel XX secolo hanno messo la loro intelligenza e la loro cultura al servizio di processi politici totalitari: mosche cocchiere, il più delle volte finite in pasto ai Moloch implacabili che loro stessi avevano evocato. Pare quasi di vederlo, Nick Land, in un bilocale un po’ malridotto di Shanghai, stracolmo di carte e di libri, solo la maggior parte del tempo, che fissa uno schermo giorno e notte, mentre lo spirito del mondo gli passa accanto, a cavallo di un algoritmo, e neppure si accorge della sua scalpitante presenza.