Tiene banco l’approvazione della legge di bilancio 2022, come ogni anno una corsa contro il tempo per scongiurare lo spettro dell’esercizio provvisorio, oggi ancora più serrata in virtù delle elezioni autunnali, che hanno ridotto il margine temporale a disposizione di esecutivo e parlamento per la disamina degli oltre tremila emendamenti presentati dai vari gruppi. Al netto delle multiple questioni di politica economica, austerità garantita e spauracchi europei che tirano la cinghia spingendo ad una nuova discussione del MES (la Corte Costituzionale tedesca ha rivisto le sue posizioni in merito), ciò che fa discutere è ciò che ruota attorno alla questione dei pagamenti. Nello specifico, il dibattito si è acceso sull’innalzamento del tetto all’uso del contante, nonché al limite minimo di obbligo di accettazione dei pagamenti elettronici tramite POS, che il precedente governo aveva completamente azzerato. È essenziale capire come sviscerare questi temi, per la loro rilevanza legata, nel primo caso, all’approvvigionamento delle catene produttive e retribuzione delle prestazioni occasionali, mentre dall’altro lato i pagamenti restano una questione cara al sostegno ai consumi e in materia di turismo.
L’innalzamento al tetto massimo di uso del contante, ad oggi fissato a 2000 euro, vorrebbe essere portato fino a 10mila, mentre l’esecutivo è parimenti al lavoro per portare a 60 euro il limite minimo per l’obbligo da parte degli esercenti di accettare pagamenti elettronici (carte di credito o debito, sistemi legati alla finanza digitale come PayPal, Satispay et similia). In entrambi i casi le opposizioni sono insorte, condannando entrambi i provvedimenti in quanto incentivanti – almeno secondo le loro posizioni – economia sommersa ed evasione fiscale, con specifico riferimento all’IVA. L’argomentazione è in linea di principio supportata dai fatti, che vedono l’Italia detenere la maglia nera dell’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, con circa un terzo del totale dell’IVA evasa nell’Ue (circa 26 miliardi di euro, potenzialmente il valore di una finanziaria). I dati 2020, gli ultimi riportati dalla Commissione europea, sono viziati dalle misure straordinarie adottate per far fronte alla crisi economica causata dalla pandemia, registrando dunque una riduzione complessiva del fenomeno dell’evasione, che in Italia resta comunque a livelli allarmanti. Procediamo con ordine a motivare le scelte e indirizzare le migliori pratiche in merito.
L’innalzamento del tetto al contante è stato legittimato dall’Unione Europea, in virtù del confronto con altri Paesi europei, che hanno una franchigia più elevata rispetto all’attuale disposizione italiana. A ben vedere, in un regime business-to-business, e dunque imposizione intermedia, l’innalzamento di tale soglia potrebbe non avere gli effetti nefasti predicati dalle opposizioni, alla luce del fatto che i meccanismi di evasione si perpetrano principalmente sull’emissione di fatture false e la creativa contabilizzazione di acquisti e vendite in virtù dell’azzeramento dell’extragettito tra un passaggio e l’altro. A nessuno, in regime B2B, conviene evadere fatture, essendo l’IVA un’imposta generale, neutra ed indiretta. Allo stesso modo, l’aumento della circolazione del contante stimola l’economia, soprattutto in regime di scambi tra privati (di natura non commerciale), agevolando pratiche di riutilizzo e di economia circolare. Negli Stati Uniti non esiste l’IVA, ma la Sales Tax, che in un certo qual modo scongiura la perdita secca statale da evasione sulla produzione, caricando l’onere della riscossione solo sulla rivendita al consumatore finale.
Per quanto riguarda invece l’innalzamento della franchigia minima per obbligare gli esercenti all’accettazione di metodi di pagamento elettronici, la situazione sembra differente. Portare il limite minimo a 60 euro potrebbe rivelarsi una scelta sbagliata sotto vari punti di vista. Sotto la lente dell’evasione fiscale, il problema si ripercuote già sull’IVA, in quanto l’utilizzo del contante contribuisce alla mancata emissione dello scontrino fiscale, caricando sul consumatore finale un’imposta che di fatto resta nelle tasche dell’esercente che, non solo non verserà la tassa, ma non pagherà le tasse sul reddito conseguito, perché tale transazione è come se non fosse mai esistita. Le principali lamentele da parte dei piccoli esercenti riguardano i costi di transazione. Il possesso e la fruizione del servizio del POS prevedono delle commissioni che oggi sono interamente a carico del commerciante, che vede dunque in maniera tangibile, intaccati i propri ricavi. Poco senso ha avuto, ad esempio, la possibilità data ai tabaccai di rifiutare pagamenti elettronici sull’acquisto di tabacchi e derivati. D’altro canto, ridurre in questi termini l’incentivo all’utilizzo dei pagamenti può causare una riduzione ai consumi di piccola entità soprattutto nella fascia della popolazione attiva, che detiene conti correnti e carte di pagamento.
C’è un dato che non viene (quasi) mai portato nel dibattito pubblico, che riguarda dinamiche di politica economica molto spesso sottovalutato ma che, di base, crea numerosi problemi ai tentativi di stimolare l’economia. Negli ultimi anni, nonostante l’impegno a spingere le esportazioni, che hanno registrato comunque una crescita nonostante i vari ostacoli del Covid, si è puntualmente mancato l’obiettivo di stimolare la domanda interna. Il salario reale (ovvero il livello di salario che esprime l’effettivo potere d’acquisto del consumatore) è calato maggiormente in Italia che altrove, dal 2008 a oggi. Questo ci suggerisce che politiche che stimolino i consumi delle famiglie non sono state attuate nella maniera che ci si aspettasse dai governi che si sono susseguiti negli ultimi anni.
Nello scenario presentato, quindi, politiche che possano favorire la circolazione della moneta sono da accogliere con favore, nell’ottica in cui l’equazione tra utilizzo del contante ed evasione fiscale sia fallace nella misura in cui la componente legata all’evasione fiscale sia conseguenza di un comportamento fraudolento del contribuente. L’evasione fiscale è un comportamento endemico in Italia, legato a componenti di sfiducia nei confronti della spesa pubblica per servizi al cittadino, che è percepita come inefficiente ed inefficace. In altre parole, il cittadino insoddisfatto del servizio pubblico è disincentivato a pagare le tasse. Similmente, la pressione fiscale in Italia registra livelli insostenibili, assorbendo quasi metà del salario lordo.
Cosa, dunque, potrebbe essere una soluzione ideale nello scenario presentato? Accanto ad un incremento del controllo sulla virtuosità dei contribuenti e una certezza della pena per l’evasione, sicuramente lasca e poco efficace da parte degli organi preposti, sarebbe auspicabile adottare delle politiche di riduzione delle commissioni di incasso dei pagamenti elettronici, che sicuramente fungono da deterrente contro l’evasione dell’IVA, ma costituiscono un costo aggiuntivo per la gestione dei ricavi. Infine, l’utopia delle utopie del sistema Italia, finanziare un taglio deciso e netto del cuneo fiscale, che lascerebbe più soldi nelle tasche di tutti, nella speranza che anche il più stoico dei detrattori dello Stato possa convincersi a contribuire alla spesa pubblica nazionale. Inutile incolpare chi vuole usare il contante o chi conduce la propria battaglia contro l’evasione dello scontrino. Mettere tutti nelle condizioni di godere dei vantaggi della tecnologia e della macchina statale significa lasciare a tutti la libertà di giovare dei frutti del proprio lavoro senza scatenare guerre tra poveri, presunti furbi e veri criminali.