Il potere può raccontarsi in vari modi, sopravvivere a qualsivoglia spirito del tempo, trovando sempre il modo di riproporre la propria essenza elitaria. Spesso l’uomo ha bisogno di scrivere storie per raccontarsi alcune verità che preferisce tacersi, rendendole suggestioni lontane da sé. Immaginare distopie è invece un esercizio catartico. E’ la consapevolezza di raccontare il futuro peggiore, prendendo ispirazione dalla realtà. Neuromante è il primo romanzo di William Gibson ed è considerato il capostipite del genere cyberpunk. Una fantascienza cruda, distopica, volgare, a tratti perfino scabrosa. L’universo gibsoniano è una sequela di schiaffi, calci e pugni sull’idea di galassie lontane, amici robotici ed eroi stellari senza macchia e senza paura. Il cyberpunk è sangue e merda, letteralmente. L’assunto che governa questo mondo accelerato e brutale è fondamentalmente, più che le tecnologie avveniristiche lo riempiono, l’idea che i sistemi di poteri sono diventati talmente influenti e proprietari assoluti del progresso da non doversi più nascondere. Le forme di governo, le istituzioni, l’ordine pubblico non hanno più ragion d’essere: il potente può mostrarsi nella sua vera natura. Chiusa, Esoterica, Violenta.
Nel mondo di Gibson c’è Sprawl, una megalopoli continua lunga tutta la East Coast americana e l’Asia, in particolare il Giappone, emblema dell’accelerazione incontrollata della tecnologia e di una disciplina sociale ferrea. Per dare un corpo all’idea cyberpunk del potere, lo scrittore canadese attinge proprio dalla cultura nipponica. A governare la società sono infatti le Zaibatsu: enormi conglomerati tecno-finanziari dalle relazioni tentacolari. Governi, lobbisti, hacker, mafiosi, eserciti. Enormi cloache di relazioni di potere così annodate da risultare indistricabili. Della contorta strutturazione finanziaria di questi grandi gruppi solo un elemento è ben noto anche al resto del mondo. Al vertice dell’azienda c’è un unica famiglia. La punta della piramide aziendale è accessibile solo al sangue dello stesso sangue. Esoterismo ed essoterismo convivono all’interno di esse. Se i tentacoli di questi grandi conglomerati industriali arrivano a lambire anche l’ultimo sobborgo di megalopoli fatiscenti, la loro testa è impenetrabile, coriacea, eleusina. Le Zaibatsu del futuro gibsoniano sono questo: entità pervasive, la forma reale del potere, quella più cruda. Tecnologia e misticismo. Potere e sangue. Ricchezza e famiglia. Creature lovecraftiane, putrescenti e sublimi, che hanno radici lontane.
Dalla seconda metà del Diciannovesimo secolo, il Giappone marcia verso l’industrializzazione della propria economia. Le società mutano, progrediscono, ricodificano i propri linguaggi istituzionali; il potere rimane invece sempre uguale a sé stesso. Inganna i cambiamenti, si scioglie per ricostruirsi identico, sfugge al passare del tempo, perché è esterno ad esso. Le Zaibatsu sono esattamente una delle tante forme che il potere assume nella storia. Le grandi famiglie dell’aristocrazia nipponica rielaborano la propria alterità, trasformandosi da nobiltà guerriera a oligarchia finanziaria. 財閥 sono due caratteri giapponesi e indicano il primo la parola denaro, “zai” , il secondo “batsu” quello che noi potremmo tradurre con “gruppo ristretto”. Zai-Batsu. Fuori dal controllo dello Stato, ma estremamente influenti nella gestione della cosa pubblica, questi grandi conglomerati finanziari hanno modellato sui propri interessi e sul proprio modello il capitalismo nipponico. Famiglia, nazione, influenza, denaro.
Pubblico e privato si mischiano e annegano, infine trascendono: la convinzione di essere coloro a cui spetta lo scranno più alto della società. Il confucianesimo che naviga fra i secoli, riproponendo il modello della gerarchia sociale secondo lo Zeitgeist dell’epoca contemporanea. Quando gli americani si troveranno, alla fine del secondo conflitto mondiale, a occupare il Giappone non a caso punteranno presto le grandi dinastie industriali nipponiche. Il cuore del potere, il vertice della piramide sociale. Lo scorporamento delle zaibatsu fu però impossibile da praticare nei fatti: anche perseguendo la cartolarizzazione coatta delle società madri, esse tornavano sempre, attraverso le ramificazioni tipiche del sistema industriale giapponese, sotto la famiglia a cui si era cercato di sottrarle. Lo spirito confuciano del Sol Levante portava inevitabilmente al riproporsi di modelli affini alle Zaibatsu. Ancora oggi le Keiretsu giapponesi sono aggregazioni industriali e finanziarie basate su un’etica e un’identità condivisa. Meno legate alla linea di sangue, ma comunque animate da una forte coesione dei suoi membri. La famiglia in sé d’altronde è una delle tante strutture che il potere può darsi. Non è necessario che scorra lo stesso sangue geneticamente. L’importante è far valere un’emologia dello spirito – d’altronde, già nell’antica Roma i principes iniziarono ad “adottare” i propri successori-.
“Chi è al potere è anche, necessariamente, il più ricco: chi sta in alto non gode solo di potere politico, ma di tutta una serie di privilegi”.
Vilfredo Pareto
Nella società odierna, il potere si conforma all’entità che lo spirito capitalista vede al suo vertice: il monopolio. In Giappone oggi le chiamano keiretsu, in Corea Chaebol, nell’occidente americano le chiamiamo Trust, Holding. Famiglie, di sangue o de facto, che esercitano il potere nella sua forma più pura: un affare privato che pervade anche la dimensione pubblica. Il Capitalismo si è rivelato elitario esattamente quanto i sistemi che l’hanno preceduto. Il tanto celebre dato, ormai diffuso nella cultura pop, che riporta come l’1 per cento più ricco delle famiglie possieda ben il 43 per cento di tutta la ricchezza personale globale, assume alla luce di questo ragionamento una spiegazione esplicita, radicata nel modello dello stesso sistema economico vigente. Come spiega il sociologo svizzero Vilfredo Pareto:
Il pensiero paretiano parte infatti dall’assunto che la Storia sia frutto della circolazione delle élite. Per quanto sulla carta democraticizzato e laicizzato, il potere si ripresenta sempre come appannaggio di cerchie più o meno ristrette. La peculiarità del Capitalismo è poi quella di essersi da un lato raccontato come il modello di società più aperto, scalabile e democratico che potesse esistere e dall’altro di aver prodotto l’élite più ristretta e irraggiungibile che si potesse immaginare. L’esercizio del potere esiste, in sostanza, per essere appannaggio di pochi o non sarebbe tale, poi che la corona venga posata sul re “Per volontà del Parlamento e della Nazione” invece che per designazione divina, questo è solamente una divergenza narrativa. Corporation, holding, trust, hedge funds, banche d’investimento, continuano spesso a portare nomi e cognomi, a rappresentare forzieri finanziari di singole famiglie o anche a sviluppare sistemi di governance etica altri rispetto alla società esterna, descrivendosi come mondi a parte.
William Gibson è oggi riconosciuto dalla critica mondiale come l’uomo che anticipò con straordinaria lucidità l’avvento di Internet. Nei suoi libri uno degli elementi fondamentali è infatti il Cyberspazio, descritto come un’allucinazione collettiva consensuale molto simile ad una realtà virtuale. Ma nell’immaginario consacrato dalla Trilogia dello Sprawl (Neuromante, Giù nel CyberSpazio, Monna Lisa Cyberpunk) il padre della fantascienza cyberpunk ha descritto, attraverso una riproposizione in salsa accelerazionista delle Zaibatsu, la vera natura del Capitalismo e la sua fisiologica evoluzione. Ogni società d’altronde deve dotarsi di una grande epica distopica collettiva, funzionale a raccontarsi a bassa voce la realtà del presente, servendosi dell’artificio del futuro.