Ciò che salta all’occhio del pubblico ogni volta che il Presidente della Repubblica Mattarella parla dal Quirinale è la presenza di due figure che si stagliano immobili alle sue spalle. Non parliamo dei corazzieri, ma di due consiglieri che sembrano i suggeritori nel teatro di fine Ottocento, attenti a tutto ciò che si dice e pronti a soccorrere il protagonista quando la memoria sembra mancare. Il suggeritore, una figura ormai scomparsa negli spettacoli contemporanei, aveva un ruolo importantissimo nella messa in scena. Le compagnie avevano poco tempo per provare le nuove piece, e quindi la presenza di una persona che, nel momento opportuno, attacca la battuta, era di vitale importanza per la riuscita di uno spettacolo. Nel Manuel du Souffleur, mai edito in Italia, un suggeritore di professione mette per iscritto le regole base dell’arte del sibilare, e come incipit utilizza dei versi che sembrano avere la funzione di un vero e proprio monito:
Non gli si vede che la testa,
Tutto il suo lavoro è di testa,
E certo, è alla sua testa
Che più di un successo è dovuto:
Quando un attore perde la testa, ritrova, nella sua testa,
Quello che la testa [dell’attore] ha perduto.Dal Manuel du Souffleur di Thibaut Thibaut
Leggendo queste parole, sembra che i ruoli tra attore e suggeritore vengano invertiti: è quest’ultimo il vero protagonista della scena, lui che da dietro le quinte ordina, e l’attore pedissequamente esegue la pappardella imboccata. Un lavoro di testa, per persone intelligenti e scaltre che si muovono nell’ombra e sanno prima degli altri quello che sta per accadere. Se i consiglieri di Sergio Mattarella hanno il medesimo ruolo, quanto, anche in questo caso, le parti vengono invertite? Siamo di fronte a un attore navigato che ha bisogno solo di un attacco per poi procedere autonomamente oppure ci troviamo in mezzo a una corte di sobillatori, ognuno portatore di qualche interesse, che simula e dissimula per accompagnare il capo inconsapevole verso determinati obiettivi?
Prima di lanciarci in ardite speculazioni faremmo bene a presentare l’identità dei consiglieri. Il gruppo più stretto di collaboratori viene definito il “parlamentino del Quirinale” e, forse, uno dei motivi è la passata carriera del suo leader: il Segretario Generale del Presidente della Repubblica Ugo Zampetti. La chioma bianca e setosa che incornicia la sua testa può sembrare segno di calma e bonarietà, in realtà ci troviamo di fronte uno degli uomini di potere più longevi della Repubblica. Segretario parlamentare dal 1976, sotto la presidenza Violante viene nominato Segretario Generale della Camera dei Deputati, ruolo che ricoprirà per quindici anni fino al 2014. Per la sua scrivania passano tutte le leggi approvate, assiste personalmente il presidente della Camera durante le sedute e intrattiene i rapporti con il Quirinale, il Senato e la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Zampetti svolge la sua funzione durante la Seconda Repubblica e, nonostante l’alternanza di presidenti e governi (ben 6 in meno di 15 anni), rimane inamovibile al suo posto. Nel 2013, con l’irruente entrata nel parlamento della marea grillina che scardina i vecchi equilibri del periodo berlusconiano, Zampetti è uno dei pochi grands commis che riesce a intravedere le future convergenze e pone sotto la sua ala protettiva il giovane Di Maio, da poco nominato vice-presidente della Camera.
Nel frattempo, Matteo Renzi è riuscito a prendere il potere del Partito Democratico (parliamo di qualche anno fa ovviamente) e del governo e non si lascia scappare l’occasione di esautorare il longevo Zampetti, non rinnovandogli la carica di Segretario Generale della Camera. Poco male, perché giusto un anno dopo il neo-eletto presidente Sergio Mattarella lo richiama dalla pensione e gli propone di diventare il suo più stretto collaboratore. La scelta ha destato molto stupore ma, come ci suggerisce l’autore ignoto del libro Io sono il potere (Feltrinelli, 2020), deveessere letta in una maniera ben precisa. Zampetti, il primo in grado di intuire il peso politico del Movimento Cinque Stelle, è l’uomo capace di dialogare con la forza pentastellata e istituzionalizzarla. Che in parte sia riuscito in questa impresa è dato dal fatto che le due figure più istituzionali del partito di Beppe Grillo, Giuseppe Conte e Roberto Fico, collaborino ormai da anni con discepoli di scuola Zampetti. Lucia Pagano, successore di Zampetti e sua ex Capo Segreteria, assiste l’attuale presidente della Camera ed è stata un anello importante nella connessione tra Quirinale e Montecitorio, mentre Alessandro Goracci, il capo di Gabinetto di Conte, è il figlio di Carlo Goracci, vicesegretario generale della Camera ai tempi di Zampetti.
Gli altri due suggeritori molto tenuti in considerazione da Mattarella sono Simone Guerrini, capo Segreteria, e Francesco Saverio Garofani, consigliere esterno agli affari istituzionali. Entrambi hanno un profilo più politico rispetto a Zampetti e in passato hanno militato nelle file del Partito Democratico e dei Giovani Democristiani. Guerrini, amico di infanzia di Enrico Letta, ha già collaborato con Mattarella, essendo stato suo capo segreteria già al ministero della Difesa e alla vicepresidenza del Consiglio negli anni Novanta. Garofani, invece, ha occupato un seggio parlamentare per dodici anni, dal 2006 al 2018, e si può ricondurre all’Area Dem di matrice franceschiniana. Il legame che lega l’attuale ministro dei Beni Culturali al presidente della Repubblica è molto stretto e risale alle elezioni per il colle del 2015. Sembra che l’idea del nome Mattarella non sia stata renziana, ma un’azione organizzata proprio da Franceschini che, in questo modo, si è assicurato un forte e decisivo alleato. Se, come si vocifera, tra le ambizioni di Dario Franceschini c’è soprattutto il palazzo quirinalizio, allora forse la crisi arrivata a ciel sereno si potrebbe rivelare un’ottima occasione per lui.
Uno dei papabili candidati alla successione di Mattarella è Mario Draghi (dopo il passaggio da Palazzo Chigi, in perfetto stile Ciampi), che ormai da molti mesi riceve endorsment da quasi tutti gli schieramenti del Parlamento. Se dovesse riuscire a completare la squadra e a governare fino all’anno prossimo Draghi sarebbe fuori dai giochi per il Quirinale e, in questo modo, compatibilmente alla resistenza dell’alleanza tra PD, 5Stelle e Leu, Dario Franceschini avrebbe il campo libero da concorrenti ingombranti e tutto il tempo per architettare una sua candidatura. Forse tra i vari suggerimenti che sono sibilati in questi giorni qualcuno racchiudeva le trame di questo scenario. Ma è già tempo del prossimo monologo, il presidente si appresta a parlare, che inizi il terzo atto di questa legislatura.
Stiamo creando una “cellula redazionale di media intelligence” che faccia ricerca e sviluppo, monitoraggio e produzione di contenuti, che sia strettamente collegata all’attualità profonda, che dialoghi in codice con attori più o meno istituzionali, che sia in grado di capire i retroscena e indicare gli scenari del futuro, in politica estera come in politica interna, fino a controllare la scacchiera informativa. Raccogliamo candidature su questo indirizzo postale scrivipernoi@lintellettualedissidente.it. Mandateci una mail con le seguenti informazioni: 1) CV allegato 2) Un commento all’articolo che trovate sul sito intitolato “Il linguaggio del potere” 3) La vostra rassegna stampa quotidiana nazionale ed internazionale 4) Le vostre letture sul tema del “linguaggio del potere” 5) Un contatto telefonico. Sarà nostra cura rispondervi personalmente, ed eventualmente ricontattarvi.