OGGETTO: I dannati della gogna
DATA: 21 Maggio 2021
Cosa significa essere vittima del circo mediatico-giudiziario. Il libro di Ermes Antonucci
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Cosa significa essere vittima del circo mediatico-giudiziario. Ermes Antonucci li ha definiti in un libro dal titolo “I dannati della gogna” (edito da Liberilibri). Più che una miscellanea di casi giudiziari, l’autore passa in rassegna “la vita degli altri”, imputati poi rivelatisi innocenti, coloro che sono stati catapultati nel tritacarne della spettacolarizzazione prima ancora del processo, e con loro i famigliari, i genitori, gli amici. Perché il tribunale dei media non necessita prove, né di discussioni, e ai fini del sensazionalismo le ipotesi di reato, diventano inevitabilmente nell’immaginario collettivo segni di colpevolezza. Nel libro non vengono trattati solo quei casi eclatanti rispetto ai quali la faziosità delle posizioni politiche difficilmente lascerebbe spazio a un giudizio oggettivo: se da un lato l’autore ha saggiamente scelto di occuparsi anche di “pesci piccoli”, dall’altro non si è tirato indietro di fronte alle questioni più note e spinose. Parlare di “pesci piccoli” non significa prestare attenzione a casi giudiziari meno esemplari e significativi, anzi. L’aggettivo “piccoli” si riferisce esclusivamente alla minore notorietà delle persone coinvolte e all’eco mediatica che questi processi hanno avuto. In ogni caso, Ermes Antonucci ci fa capire molto bene che dal punto di vista dell’assoluzione tutti i diretti interessati sono “pesci piccoli”: infatti, l’attenzione mediatica rivolta all’avvenuta assoluzione (e alle varie fasi del dibattimento processuale) è pressoché nulla. Molto spesso sono gli avvocati difensori ad assumere su di sé l’onere di comunicare alle principali testate giornalistiche italiane l’avvenuta soluzione; nella maggior parte dei casi il risultato, ahinoi, è molto scarso (qualche trafiletto di sfuggita).

Le principali questioni toccate riguardano tutte i diritti dell’imputato: la rinuncia alla prescrizione come causa dell’allungamento dei tempi del processo, il mancato pagamento delle spese processuali da parte dello Stato, l’impossibilità di difendersi adeguatamente data la fattispecie della carcerazione preventiva, imputati che non vengono nemmeno ascoltati, danni economici delle vittime e dei suoi parenti, l’adozione da parte del pubblico ministero di argomentazioni morali in assenza di fondate argomentazioni giuridiche, cioè in assenza delle prove di reato, il completo ribaltamento delle sentenze da parte di giudici differenti in assenza di un corrispondente mutamento delle prove acquisiste. Tutto ciò è naturalmente documentato dall’autore in maniera dettagliata. La questione della giustizia e dei diritti dell’individuo è posta e trattata nei termini dello schema giustizialismo-garantismo. La conclusione che se ne può trarre è la seguente: in ognuno di noi, in ogni momento, vive e opera un piccolo diavoletto giustizialista che bisogna costantemente tenere a bada. “Qualcosa c’è sempre sotto!”, “Ma va’ a sapere come stanno in realtà le cose”, “se ne parlano tutti, qualcosa in fonda avrà fatto, mica sono tutti Enzo Tortora”.

Uscendo per un momento dai termini dello scontro-confronto fra giustizialismo e garantismo il punto trattato da Ermes Antonucci può essere riformulato utilizzando categorie diverse: le costanti tentazioni del piccolo giustizialista che è in ognuno di noi possono essere spiegate in maniera più generale dalla volontà di abbandonarsi remissivamente all’opinione altrui. Di fronte alla spettacolarizzazione di notizie-accuse sensazionali che sembrerebbero svelare la ragione profonda di tutte le dinamiche politiche, economiche e sociali del nostro Paese, è molto più facile affidarsi remissivamente alle conclusioni dei ragionamenti altrui, senza prendere in esame gli argomenti e le ragioni oggettive addottate in sostegno della tesi enunciata o, in termini processuali, le prove acquisite dall’accusa. Sedersi, adagiarsi e convincersi della fatalità gattopardiana che nulla possa cambiare porta, apparentemente in maniera contraddittoria, alla subitanea presa di coscienza della necessità dell’applicazione di una giustizia rapidissima, onnipotente e infallibile. Questa comoda indolenza richiede naturalmente molte meno energie rispetto all’esame razionale e obiettivo di ogni singolo caso. Il raziocinio e la libertà richiedono dedizione e disciplina continue. In un contesto simil-democratico questa suona come una banalità bella e buona, ma la costante applicazione di questa massima giuridico-morale è molto spesso vittima di logiche e modi di ragionare più semplici, diretti e, purtroppo efficacissimi.   


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