Presentiamo oggi un estratto del saggio “La grande tempesta in arrivo. La nuova geopolitica tra vaccini, cambiamenti climatici e crisi finanziarie”, il saggio del professor Aldo Giannuli e di Andrea Muratore uscito per Piemme e dedicato alle ricadute geopolitiche della pandemia, della sfida ambientale ed energetica e dell’incertezza finanziaria che possono destabilizzare l’ordine globale. In questo passaggio si parlerà con particolare attenzione del tema della geopolitica della transizione energetica, vera e propria grande questione dei nostri tempi.
La pandemia di Covid-19 è stato un fattore di perturbazione del sistema economico globale e ha accelerato diverse dinamiche riguardanti il suo sviluppo. Come si riprenderà, nel lungo periodo, l’economia globale dalle conseguenze della pandemia? Che scenari aprirà l’intersezione della crisi pandemica con l’altra grande questione dei nostri tempi, la crisi ambientale e climatica? Si sta avvicinando una nuova “Grande Tempesta” per i nostri sistemi economici? Lo storico dell’economia Adam Tooze, professore alla Columbia University ed ex direttore del dipartimento di International Security Studies dell’Università di Yale (ruolo in cui è succeduto a uno studioso del calibro di Paul Kennedy), ha affermato che a suo avviso, nelle maggiori economie del pianeta, le questioni ambientali «difficilmente potranno causare uno shock paragonabile a quello pandemico del 2020», ma «possono convergere localmente» con crisi già esistenti, come la stessa pandemia, «per produrre “tempeste perfette” in ambito locale, come dimostrano chiaramente dai problemi emersi durante la recente ondata di incendi in California. I roghi sono divampati in un periodo in cui l’ondata di Covid ha svuotato i ranghi delle squadre anti-incendio formate da detenuti, una componente chiave della strategia di tutela dello Stato, a causa dei lockdown imposti a diverse prigioni per la diffusione del contagio. La cosa interessante, che tengo a sottolineare, è che in un orizzonte di venti o trent’anni la massima sfida per l’ambiente e i cambiamenti climatici, più che globale, sarà regionale o al limite macroregionale».
Secondo Tooze, però, ad aggravare le cose c’è il fatto che «le sfide ambientali si concentreranno nelle regioni più povere del pianeta, dall’India al Medio Oriente, dai Caraibi alle aree più depresse degli Usa. Da tifoni devastanti a siccità prolungate, da crisi energetiche a roghi incontrollati, queste sfide si manifesteranno in forme molto diversificate». Anche questo contribuisce a fare della questione ambientale una saliente e strategica questione geopolitica. I Paesi hanno obiettivi divergenti in relazione alla transizione e ai suoi effetti, e molti degli Stati in via di sviluppo si trovano nella scomoda e difficile condizione di essere, al contempo, i più interessati dall’utilizzo di risorse fossili e di metodi in via di superamento e quelli su cui il cambiamento climatico potrà ripercuotersi con maggior forza.
Tutto ciò è affiorato palesemente alla conferenza globale COP26 sul cambiamento climatico, tenutasi a Glasgow nel novembre 2021. L’incontro partiva dall’obiettivo di verificare, come per un “tagliando”, le prospettive aperte dagli Accordi di Parigi del 2015. In quell’occasione, per la Cop21, per la prima volta 195 Paesi avevano concluso un accordo per impegnarsi a mantenere l’aumento delle temperature medie globali entro la fine del secolo al di sotto di 1,5 gradi, con un limite massimo di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Secondo gli scienziati dell’International panel on climate change (Ipcc), i due gradi sono la soglia critica per la sopravvivenza di alcuni degli ecosistemi terrestri, nonché per l’innesco di eventi meteorologici catastrofici. Ciononostante, come ha ricordato Natalie Sclippa, «la temperatura media globale ha continuato a crescere, facendo registrare negli ultimi cinque anni un aumento tra gli 1,06° e gli 1,26° rispetto ai livelli preindustriali. Di questo passo, c’è una probabilità solo del 40 per cento che nei prossimi cinque anni si apportino cambiamenti tali da contenere l’aumento fatidico di 1,5° previsto entro fine secolo. Per centrare l’obiettivo, l’Ipcc ha fissato il raggiungimento della neutralità carbonica, ovvero emissioni nette zero, entro il 2050».
Con la COP26, però, ci siamo resi conto che i Paesi del mondo hanno raffinato la propria concezione politica e strategica delle questioni climatiche, e molte potenze hanno confermato quanto da tempo si poteva cogliere implicitamente: la questione ambientale viene sfruttata a fini geopolitici. In sostanza, vale per il clima quanto sottolineava a inizio pandemia il presidente della Consob ed ex ministro Paolo Savona circa le problematiche in materia di Covid-19: i modi per affrontare crisi di questa portata devono «essere decisi cooperando a livello globale», ma la pandemia – come la tempesta ambientale – si abbatte sul pianeta in «un momento in cui le relazioni internazionali si trovano al minimo postbellico e post caduta del comunismo sovietico». Ad esempio, la sfida ambientale è uno dei fronti su cui gli Stati Uniti stanno provando ad arruolare l’Europa contro la Cina, in questa nuova fase di aperta rivalità. I “dazi verdi” proposti dall’Unione Europea a sostegno del piano Fit for 55, che vanno oltre gli Accordi di Parigi e i loro obiettivi di prospettiva, colpendo le produzioni inquinanti, sono stati notevolmente apprezzati a Washington.
Estratto del libro “La grande tempesta” è stato pubblicato per gentile concessione di Mondadori (per il marchio Piemme), in accordo con l’Agenzia Letteraria Edelweiss