OGGETTO: Gli Stati disuniti d'Europa
DATA: 05 Giugno 2024
SEZIONE: Politica
FORMATO: Analisi
AREA: Europa
Alla vigilia delle elezioni europee, emerge chiaramente che l'Unione rimane una realtà complessa, sospesa tra il sogno di unità e le persistenti divisioni nazionali. Mentre gli sforzi per un'integrazione pacifica continuano, con iniziative educative e politiche comuni, la mancanza di un esercito unificato e una visione geopolitica condivisa evidenziano i limiti di questo progetto. La storia del continente unito, ancora influenzata dall'ombrello americano, riflette le difficoltà nel realizzare appieno il suo stesso progetto.
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Alla vigilia dell’appuntamento elettorale – ritenuto – più importante all’interno dell’alveo delle nazioni dell’Unione Europea, ciò che emerge e che gli eventi della formazione e del consolidamento della stessa, hanno confermato a più riprese, è che di un sogno, di un’utopia, di un’illusione si possa ancora parlare. Forse, tale rimarrà in eterno.

Laddove i programmi di educazione civica, di formazione scolastica, di seminari, conferenze, abstract, studi, dottorati, insistono sul processo di integrazione europea, sottolineandone l’apporto – discutibile – alla pacificazione tra gli Stati europei e la progressiva diluzione delle identità nazionali e delle rispettive sovranità, verso i famigerati “Stati Uniti d’Europa”, esiste un’altra storia, molto meno esaltante. Certamente una storia più realistica della formazione di questa presunta unità europea.

Posto che gli Stati, per dirsi tali, non nascano (solo) a tavolino, ma siano piuttosto il risultato di secolari processi di formazione, aventi un ceppo dominante, una lingua, una cultura di riferimento, spesso come risultato di violente imposizioni, di conquiste e di guerre, l’Unione Europea si è intestata un lodevole cambio di prospettiva

L’idea sinceramente perseguita dai padri del processo di integrazione europeo, è sempre stata quella di trasformare mediante la costruzione pacifica di un apparato semi-politico unitario, di una burocrazia, di una moneta comune e abolendo formalmente dazi e dogane, realtà culturali storicamente divise e spesso e volentieri rivali, in un unico organismo politico. Sognando magari – anche legittimamente – di opporre tale realtà tanto agli Stati Uniti quanto alle altre potenze globali, quali Cina e Russia.

Ad oggi non esiste europeista che non desideri in questi termini che tale processo venga portato a termine. Che gli Stati Uniti d’Europa sovrastino ed inglobino le reticenze degli Stati nazione. Salvo constatare, con un certo fastidio, che gli Stati nazione non hanno alcuna intenzione di sciogliersi in questo super-Stato, che le stesse elezioni del Parlamento europeo siano percepite solo strumentalmente come europee, piuttosto che come ideale termometro per valutare l’umore degli elettori nel proprio Paese. 

Infine che due degli elementi cardine alla costruzione di una Europa sovrana, ovvero un esercito e una coscienza geopolitica comuni, siano del tutto assenti. Quasi impossibili. 

Il primo sarebbe possibile solamente incardinato sulle due principali potenze militari del continente, Francia e Polonia. Salvo costituire, al netto di un sedicente esercito europeo, poco più che un ampliamento degli eserciti francese e polacco.

Laddove proprio la Francia e la Polonia vedono, al di là dei proclami, nell’Unione Europea solamente uno strumento di ampliamento di potenza

Inoltre un esercito europeo esisterebbe solo incastonato nelle forze della NATO. Dunque come forza al servizio e a supporto degli Stati Uniti. Va da sè che qualunque iniziativa per la formazione di una simile forza militare sia sottoposta al giudizio e all’eventuale accettazione da parte americana.

Questo permette di riallacciarsi al secondo elemento di debolezza, che è l’assenza di una visione geopolitica e strategica comuni. Un punto che è il prodotto della storia della cosiddetta integrazione europea, processo che al netto della bontà d’intenti degli europei che vi hanno creduto, nasce su spinta e su concessione americane.

La storia dell’integrazione europea è la storia della sconfitta e dell’autodistruzione tra il 1914 e il 1945 del continente. Della fine dell’indipendenza dell’Italia e della Germania. Della demolizione degli imperi francese e inglese, sedicenti vincitori eppure sconfitti al pari delle potenze dell’Asse, data la dissoluzione della loro potenza nel mondo. 

Nella vulgata, la transizione democratica tedesca occidentale e l’integrazione nella CECA con la Francia avrebbero annichilito quasi un secolo di rivalità tra le due potenze nel cuore dell’Europa. Incluse, invero, nella sfera d’influenza americana, sarebbe più corretto attribuire a quest’ultima il merito di aver posto fine alla contesa franco-tedesca. Nessun impero permetterebbe ai propri vassalli di farsi la guerra.

L’integrazione europea nasce così sotto l’ombrello militare americano, nella finzione di un’alleanza alla pari quale non è mai stata la NATO. Sul solco di un flusso enorme di risorse, dal nome Piano Marshall, tali da assoggettare gli Stati europei nella catena di produzione americana da cui non sono più usciti. Infine, nella riuscita speranza statunitense di conquistare le coscienze europee con il benessere, rendendo conveniente il far parte del blocco occidentale.

Una simile propensione economicista, devota al consumismo, al miglioramento della propria vita, declinato in un potenziamento illimitato di diritti sociali e poi civili, oggi negli ambiziosi programmi dell’Agenda 2030, scandiscono il passaggio dell’Europa verso una dimensione quasi eterea.

Paradiso in terra, fuori da ogni ragionevole dubbio. In termini di diritti, di opportunità, di ricchezza. Paragonabile a pochi altri attori in giro per il mondo. Eppure avente ancora in sè, rimpolpata dalla missione imperiale americana, il sogno di convertire il mondo al proprio Eden. 

Secondo taluni ambienti – e nel nostro italiano, specialmente a livello accademico – il mondo convergerà sempre più verso tale unità. Le differenze etniche, religiose, culturali europee sarebbero già in via di diluizione, favorite dalla mobilità, dagli Erasmus e dalla moneta e dal mercato comuni.

Un’unica lingua, l’inglese – scandita dagli act della politica comunitaria – diverrà veicolo imprescindibile. 

Strumentalmente anche potenze “revisioniste” fanno uso dell’inglese, per vendersi agli occhi di uno stordito Occidente. 

Paradossale è, invece, che una lingua parlata in Unione Europea solo in Irlanda – e su imposizione inglese – sia considerata la lingua (semi)ufficiale di un’organizzazione che vorrebbe farsi Stato, ignorando completamente il sostrato culturale millenario delle diverse nazioni e provando a creare artificialmente qualcosa di inesistente. 

L’assenza di una lingua nazionale “realmente” europea si aggiunge ad un’altra debolezza. Incatenata nel sistema americano e atlantico, semplice scudiero della strategia statunitense in Eurasia, l’Europa non controlla neppure i dati dei propri cittadini. Salvo meritevoli iniziative volte alla tutela della privacy o del diritto d’autore, l’approccio europeo in termine di rapporti con le multinazionali, specialmente rispetto a quelle della Silicon Valley è puramente orientato al lato economico e civile.

Mancante di propri social network, i “cittadini europei” sono attualmente inclusi nelle banche dati statunitensi e, parzialmente, in quelle cinesi mediante TikTok – da cui non a caso, sempre su spinta americana, l’Unione Europea sta cercando di divincolarsi. 

Il potere regolatore dell’Unione è enorme, ma solo limitatamente all’ambito economicistico, in termini di regolamentazioni indubbiamente utili alla vita dei propri cittadini, ma incapaci di costituire un elemento realmente distaccato dal più ampio impero americano.

Le multinazionali, di cui si decanta lo strapotere, sono del tutto asservite agli imperi che le hanno prodotte. TikTok alla Cina. I giganti della Silicon Valley agli Stati Uniti, di cui sono un diretto prodotto.

Diverso il discorso per realtà prive di reale sovranità come gli Stati europei, riuniti nell’utopia comunitaria ed incapaci di opporsi alle multinazionali perchè impossibilitati ad opporsi al dominatore statunitense che le controlla.

Nata per contenere la riunificazione tedesca, accettata con medesimo intento dai francesi, necessaria a garantire il proprio debito nel caso italiano, l’Unione Europea è dunque un’organizzazione che al di fuori del proprio potere economico e delle proprie – presunte – libertà politiche e civili, non ha la statura nè per farsi unitaria, nè per farlo in opposizione agli Stati Uniti di cui sono diretta emanazione e dipendenza.

Un forum entro cui comunicare e garantire – o non garantire – la propria posizione e le proprie esigenze. Un enorme mercato, favorevole specialmente alle esportazioni tedesche e una preziosa proiezione di potenza per francesi o polacchi. 

Un luogo fuori dal tempo, che considera la guerra una parentesi e non – purtroppo – la tragica normalità nel confronto tra le potenze globali. L’Europa occidentale è arrocata come un giardino sfarzoso, incantato e ricchissimo, in un mondo in piena tempesta. Desiderosi e convinti di rappresentare il fine ultimo della storia, gli Europei – qui sì, probabilmente, uniti nella diversità – non riescono a guardare al resto del mondo fuori dalla propria prospettiva. 

Roma, Aprile 2024. XVI Martedì di Dissipatio

Senza rendersi conto che l’aver appaltato la propria difesa agli americani è l’unico motivo della scomparsa della guerra dal Vecchio Continente (almeno in Occidente). 

All’inizio del IV secolo a.C. il re persiano Artaserse stabilì una “pace comune” tra le litigiose città della Grecia, favorendo una sorta di autonomia di cui si faceva garante il re di Persia. Questo sistema, adottato e migliorato successivamente dalle città egemoni di Sparta, Atene e Tebe, in seguito da Filippo di Macedonia e infine da Roma, rappresentò lo strumento, da parte di attori esterni alla Grecia, per intervenire nelle vicende locali in piena legittimità.

Aggregata sottoforma di lega alla “missione” macedone di riconquistare e liberare le città elleniche in Asia Minore, infine nel solco di una più ampia civiltà greco-romana, la penisola greca fu unificata solo quando perse formalmente e poi effettivamente la propria indipendenza.

Convinti di essere il cuore della civiltà, più dei propri dominatori romani, gli ex stati ellenistici finiranno per accettare di essere parte dell’impero di Roma solamente nella finzione di costituirne in qualche modo la “guida” spirituale.  Salvo dissolversi, infine, nell’universalismo romano in nome della propria prosperità.

Come gli stati ellenistici, siamo il gioiello di un più vasto impero e null’altro. Convinti del valore delle elezioni della nostra piccola confederazione, mentre l’impero ammassa legioni contro i suoi grandi nemici, proteggendoci – finchè ne avrà voglia e se ne avrà ancora la forza – dal ritorno della Storia.

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